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2025-01-26
Il genocidio dimenticato in Sudan
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Getty Images
La situazione in Sudan continua a deteriorarsi, con la guerra civile che si avvicina al secondo anniversario a metà aprile. Nonostante ciò, e benché più di 150.000 persone siano state uccise, 11 milioni di sudanesi siano stati costretti a lasciare le loro case e altri 26 milioni vivano in condizioni di grave insicurezza alimentare, il conflitto è rimasto in secondo piano, oscurato dall'attenzione concentrata su Gaza e la guerra in Ucraina.
Con una popolazione di oltre 48 milioni di abitanti, il paese è bloccato in una crisi di collasso statale, caratterizzato da un potenziale aumento della violenza, flussi migratori, traffici illeciti e contrabbando, che rischiano di riversarsi nei paesi confinanti, aggravando l'instabilità della regione. Oltre un milione di persone ha cercato rifugio nel Sudan del Sud dall'inizio della guerra nell'aprile 2023. Il conflitto è stato segnato da bombardamenti indiscriminati, esecuzioni sommarie e l'utilizzo della fame come strumento di guerra. La carestia è stata confermata a El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, situato nella parte occidentale del Sudan e i campi per sfollati interni risultano particolarmente vulnerabili.
A inizio gennaio, prima della fine del mandato, l'amministrazione Biden ha accusato le Rapid Support Forces (RSF), un gruppo paramilitare guidato dal noto signore della guerra Mohammad Hamdan Daglo Mousa, detto Hemedti, di genocidio. In risposta, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni sui visti per Hemedti ei suoi familiari, impedendo loro l'ingresso negli Stati Uniti. L’allora Segretario di Stato Antony Blinken, riferendosi alla responsabilità delle RSF nel genocidio, ha dichiarato: «Gli Stati Uniti non sostengono nessuna delle due parti in questa guerra, e queste misure contro Hemedti e le RSF non implicano alcun appoggio alle SAF», riferendosi alle Forze Armate Sudanesi guidate da Abdel Fattah al-Burhan. Blinken ha inoltre sottolineato: «Entrambi gli schieramenti coinvolti nel conflitto sono responsabili della violenza e della sofferenza in Sudan, e nessuno di loro possiede la legittimità per guidare un Sudan pacificato». Mentre scriviamo gli scontri tra l'esercito sudanese e le Forze di supporto rapido (RSF) proseguono nei pressi della raffineria di al-Jili, situata a nord della capitale Khartoum. Mercoledì scorso, l'esercito sudanese ha dichiarato di aver preso il controllo di questa area strategica, a seguito di un'offensiva condotta su diversi fronti nella regione settentrionale. Le ostilità non si concentrano solo nell'area della raffineria. A El-Fasher, le tensioni sono aumentate dopo che le RSF hanno imposto un ultimatum di 48 ore all'esercito per abbandonare la città. Alla scadenza del termine, l'esercito ha reagito con raid aerei contro le postazioni delle RSF, mentre violenti scontri sono stati riportati nei pressi del complesso edilizio Zarqa, situato a nord di di Khartoum.
Nella guerra in Sudan usate anche armi chimiche
Due settimane fa, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato l'intenzione di imporre sanzioni anche a Burhan, accusato di aver autorizzato l'impiego di armi chimiche in almeno due episodi contro le RSF. Parallelamente, le RSF e le milizie a loro affiliate sono state ritenute responsabili di un violento massacro avvenuto a El Geneina, capitale del Darfur occidentale, del reclutamento forzato nello stato di Gezira e di una spietata campagna volta a ridurre uomini e donne in schiavitù nel Darfur. Quest'ultima regione era già stata teatro di un genocidio nei primi anni 2000, quando centinaia di migliaia di persone persero la vita. Secondo alcun analisti, le sanzioni vengono percepite come quasi simboliche; per altri, sono considerate insufficienti e tardive. Cameron Hudson, esperto di questioni africane, ha dichiarato in un'intervista a Voice of America che l'approccio dell'amministrazione Biden nei confronti del Sudan «è stato moralista piuttosto che pragmatica». E in effetti la tempistica delle sanzioni, avvenuta solo poche settimane prima che Biden lasciasse l'incarico, suggerisce che queste misure non facessero parte di una strategia complessiva. Separate da obiettivi politici concreti, difficilmente quste misure potranno avere un impatto rilevante sulla violenza o sulla crisi umanitaria in Sudan.
Gli attori esterni che alimentano il conflitto
Diversi attori esterni hanno fin qui preso parte al conflitto, fornendo sostegno ai loro alleati attraverso finanziamenti, armamenti e assistenza logistica. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno appoggiato le RSF, mentre l'Egitto si è schierato a favore delle SAF. Russia e Arabia Saudita hanno cercato di mantenere relazioni con entrambe le parti, tentando di posizionarsi strategicamente con il possibile vincitore. Mosca punta a garantirsi l'accesso al porto del Sudan mediante un potenziale accordo con le SAF, mentre i mercenari dell'Africa Corps (ex Wagner Group) collaborano con le RSF e, insieme all'EAU, sostengono la manovra del Cremlino. Questo scenario ha portato a improbabili alleanze, con l'Iran che ha anche fornito armi alla SAF, compresi i droni. L'amministrazione Biden ha mostrato reticenza nel denunciare apertamente l'ingerenza degli EAU nel conflitto. Resta da capire come l'amministrazione Trump potrebbe affrontare la questione in Sudan. Per gli Emirati Arabi Uniti, il Sudan rappresenta un nodo strategico di grande importanza geopolitica, poiché l'influenza di Abu Dhabi nel paese facilita il traffico illegale di oro verso la Russia. Quest'ultima, da parte sua, ha intensificato la ricerca di risorse naturali per mitigare l'impatto delle sanzioni economiche imposte dopo l'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2022.
Una guerra che non vince nessuno
Il conflitto in Sudan ha attraversato fino a oggi fasi alterne, ma si è principalmente cristallizzato in uno stallo distruttivo per entrambe le parti, del tutto incapaci di ottenere una vittoria definitiva, ma comunque in grado di infliggersi danni reciproci. Di recente, la SAF ha ottenuto progressi significativi contro la RSF, riprendendo il controllo di Wad Madani, capitale dello stato di Gezira. Parallelamente, la RSF ha avanzato le sue posizioni negli stati del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, che confinano rispettivamente con il Sudan e l’Etiopia. Una delle complessità del conflitto sudanese risiede nel suo intrecciarsi con altre crisi nella regione dell'Africa orientale, che vedono il coinvolgimento attivo di attori internazionali. Tra le tensioni emergenti, vi è il futuro del Somaliland, dove l'Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti si contrappongono a Turchia ed Egitto, oltre alle dispute legate alla diga Grand Tyrolian Renaissance Dam (GERD), che si oppone Etiopia, Sudan ed Egitto. Gli Emirati Arabi Uniti si sono offerti di intervenire come mediatori in questa contesa. In diverse occasioni, la Turchia ha proposto di facilitare i negoziati per risolvere il conflitto in Sudan, mentre l'Arabia Saudita ha tentato di organizzare incontri diplomatici a Ginevra. Tuttavia, tali iniziative non hanno avuto alcun successo, con la SAF restia ad impegnarsi in soluzioni negoziate, preferendo perseguire una vittoria sul campo. Con l’insediamento di una nuova amministrazione negli Stati Uniti, si riaccende la speranza che Washington e altri attori internazionali possano dedicare risorse significative a negoziare per porre fine alle violenze. Ciononostante, permangono attori statali e non statali che continuano a fomentare le parti in conflitto.
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Riduci
La situazione in Sudan continua a deteriorarsi, con la guerra civile che si avvicina al secondo anniversario a metà aprile. Nonostante ciò, e benché più di 150.000 persone siano state uccise, 11 milioni di sudanesi siano stati costretti a lasciare le loro case e altri 26 milioni vivano in condizioni di grave insicurezza alimentare, il conflitto è rimasto in secondo piano, oscurato dall'attenzione concentrata su Gaza e la guerra in Ucraina.Con una popolazione di oltre 48 milioni di abitanti, il paese è bloccato in una crisi di collasso statale, caratterizzato da un potenziale aumento della violenza, flussi migratori, traffici illeciti e contrabbando, che rischiano di riversarsi nei paesi confinanti, aggravando l'instabilità della regione. Oltre un milione di persone ha cercato rifugio nel Sudan del Sud dall'inizio della guerra nell'aprile 2023. Il conflitto è stato segnato da bombardamenti indiscriminati, esecuzioni sommarie e l'utilizzo della fame come strumento di guerra. La carestia è stata confermata a El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, situato nella parte occidentale del Sudan e i campi per sfollati interni risultano particolarmente vulnerabili.A inizio gennaio, prima della fine del mandato, l'amministrazione Biden ha accusato le Rapid Support Forces (RSF), un gruppo paramilitare guidato dal noto signore della guerra Mohammad Hamdan Daglo Mousa, detto Hemedti, di genocidio. In risposta, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni sui visti per Hemedti ei suoi familiari, impedendo loro l'ingresso negli Stati Uniti. L’allora Segretario di Stato Antony Blinken, riferendosi alla responsabilità delle RSF nel genocidio, ha dichiarato: «Gli Stati Uniti non sostengono nessuna delle due parti in questa guerra, e queste misure contro Hemedti e le RSF non implicano alcun appoggio alle SAF», riferendosi alle Forze Armate Sudanesi guidate da Abdel Fattah al-Burhan. Blinken ha inoltre sottolineato: «Entrambi gli schieramenti coinvolti nel conflitto sono responsabili della violenza e della sofferenza in Sudan, e nessuno di loro possiede la legittimità per guidare un Sudan pacificato». Mentre scriviamo gli scontri tra l'esercito sudanese e le Forze di supporto rapido (RSF) proseguono nei pressi della raffineria di al-Jili, situata a nord della capitale Khartoum. Mercoledì scorso, l'esercito sudanese ha dichiarato di aver preso il controllo di questa area strategica, a seguito di un'offensiva condotta su diversi fronti nella regione settentrionale. Le ostilità non si concentrano solo nell'area della raffineria. A El-Fasher, le tensioni sono aumentate dopo che le RSF hanno imposto un ultimatum di 48 ore all'esercito per abbandonare la città. Alla scadenza del termine, l'esercito ha reagito con raid aerei contro le postazioni delle RSF, mentre violenti scontri sono stati riportati nei pressi del complesso edilizio Zarqa, situato a nord di di Khartoum.Nella guerra in Sudan usate anche armi chimicheDue settimane fa, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato l'intenzione di imporre sanzioni anche a Burhan, accusato di aver autorizzato l'impiego di armi chimiche in almeno due episodi contro le RSF. Parallelamente, le RSF e le milizie a loro affiliate sono state ritenute responsabili di un violento massacro avvenuto a El Geneina, capitale del Darfur occidentale, del reclutamento forzato nello stato di Gezira e di una spietata campagna volta a ridurre uomini e donne in schiavitù nel Darfur. Quest'ultima regione era già stata teatro di un genocidio nei primi anni 2000, quando centinaia di migliaia di persone persero la vita. Secondo alcun analisti, le sanzioni vengono percepite come quasi simboliche; per altri, sono considerate insufficienti e tardive. Cameron Hudson, esperto di questioni africane, ha dichiarato in un'intervista a Voice of America che l'approccio dell'amministrazione Biden nei confronti del Sudan «è stato moralista piuttosto che pragmatica». E in effetti la tempistica delle sanzioni, avvenuta solo poche settimane prima che Biden lasciasse l'incarico, suggerisce che queste misure non facessero parte di una strategia complessiva. Separate da obiettivi politici concreti, difficilmente quste misure potranno avere un impatto rilevante sulla violenza o sulla crisi umanitaria in Sudan.Gli attori esterni che alimentano il conflittoDiversi attori esterni hanno fin qui preso parte al conflitto, fornendo sostegno ai loro alleati attraverso finanziamenti, armamenti e assistenza logistica. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno appoggiato le RSF, mentre l'Egitto si è schierato a favore delle SAF. Russia e Arabia Saudita hanno cercato di mantenere relazioni con entrambe le parti, tentando di posizionarsi strategicamente con il possibile vincitore. Mosca punta a garantirsi l'accesso al porto del Sudan mediante un potenziale accordo con le SAF, mentre i mercenari dell'Africa Corps (ex Wagner Group) collaborano con le RSF e, insieme all'EAU, sostengono la manovra del Cremlino. Questo scenario ha portato a improbabili alleanze, con l'Iran che ha anche fornito armi alla SAF, compresi i droni. L'amministrazione Biden ha mostrato reticenza nel denunciare apertamente l'ingerenza degli EAU nel conflitto. Resta da capire come l'amministrazione Trump potrebbe affrontare la questione in Sudan. Per gli Emirati Arabi Uniti, il Sudan rappresenta un nodo strategico di grande importanza geopolitica, poiché l'influenza di Abu Dhabi nel paese facilita il traffico illegale di oro verso la Russia. Quest'ultima, da parte sua, ha intensificato la ricerca di risorse naturali per mitigare l'impatto delle sanzioni economiche imposte dopo l'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2022.Una guerra che non vince nessunoIl conflitto in Sudan ha attraversato fino a oggi fasi alterne, ma si è principalmente cristallizzato in uno stallo distruttivo per entrambe le parti, del tutto incapaci di ottenere una vittoria definitiva, ma comunque in grado di infliggersi danni reciproci. Di recente, la SAF ha ottenuto progressi significativi contro la RSF, riprendendo il controllo di Wad Madani, capitale dello stato di Gezira. Parallelamente, la RSF ha avanzato le sue posizioni negli stati del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, che confinano rispettivamente con il Sudan e l’Etiopia. Una delle complessità del conflitto sudanese risiede nel suo intrecciarsi con altre crisi nella regione dell'Africa orientale, che vedono il coinvolgimento attivo di attori internazionali. Tra le tensioni emergenti, vi è il futuro del Somaliland, dove l'Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti si contrappongono a Turchia ed Egitto, oltre alle dispute legate alla diga Grand Tyrolian Renaissance Dam (GERD), che si oppone Etiopia, Sudan ed Egitto. Gli Emirati Arabi Uniti si sono offerti di intervenire come mediatori in questa contesa. In diverse occasioni, la Turchia ha proposto di facilitare i negoziati per risolvere il conflitto in Sudan, mentre l'Arabia Saudita ha tentato di organizzare incontri diplomatici a Ginevra. Tuttavia, tali iniziative non hanno avuto alcun successo, con la SAF restia ad impegnarsi in soluzioni negoziate, preferendo perseguire una vittoria sul campo. Con l’insediamento di una nuova amministrazione negli Stati Uniti, si riaccende la speranza che Washington e altri attori internazionali possano dedicare risorse significative a negoziare per porre fine alle violenze. Ciononostante, permangono attori statali e non statali che continuano a fomentare le parti in conflitto.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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