
In «Snowpiercer», su Netflix dal 25 maggio, il premio Oscar Bong Joon-ho adegua la sua distopia ai canoni hollywoodiani.Bong Joon-ho, regista coreano, è colui che, nel febbraio scorso, ha fatto la storia degli Oscar. Parasite, critica feroce al capitalismo occidentale, ha permesso al cineasta di vincere nella categoria più ambita - quella relativa al miglior film dell'anno - con un titolo in lingua non inglese. Mai nessuno, nella lunga storia dei premi americani, aveva potuto tanto. Bong Joon-ho è entrato nel mito. E tanto deve essercisi trovato comodo da pensare, una volta conquistato il favore degli Stati Uniti, di propinare al Paese un prodotto che ne fosse specchio. Snowpiercer, ben lontano dalla dialettica orientaleggiante del film omonimo, è il rifacimento televisivo della pellicola che Bong Joon-ho ha diretto nel 2013. Allora, il regista non si è inventato nulla. Tutto quel che ha messo in Snowpiercer lo ha tratto da un fumetto francese, Le Transperceneige, scritto nel mezzo degli anni Ottanta. Teorizzava, la graphic novel, un'apocalisse climatica. L'uomo, nel tentativo estremo di contrastare il folle innalzamento delle temperature, ha dato vita a un esperimento che si è poi tramutato in catastrofe. La Terra ha gelato, la vita è finita. Intere specie animali sono morte, la vegetazione è divenuta sterile. L'esistenza umana, così come era dato conoscerla, si è interrotta e i pochi sopravvissuti alla tragedia si sono imbarcati in un viaggio senza meta. È stato il signor Wilford, un tale con l'hobby della tecnologia, a ideare la soluzione al freddo. Wilford, che nella versione televisiva di fumetto e pellicola parla solo per mezzo della sua portavoce, il premio Oscar Jennifer Connelly, ha costruito un treno avveniristico, dove la vita umana potesse attecchire. Le carrozze, mille e una, sono organizzate come la più semplice delle piramidi sociali. In testa, stanno i ricchi, nel fondo, gli straccioni. La seconda e la terza classe dell'immensa macchina ospitano gli strati intermedi della popolazione. Sono famiglie, lavoratori, bianchi e neri. Hanno lasciato case e trovato vagoni, pagando a caro prezzo la possibilità di una seconda esistenza. Il signor Wilford, la cui magnanimità ha reso possibile la sopravvivenza del genere umano, non ha regalato niente a nessuno. Per salire sul treno, i passeggeri hanno dovuto pagare, ciascuno secondo le proprie disponibilità. I pochi che, dal binario, sono riusciti a sgattaiolare all'interno dell'abitacolo sono stati relegati nel Fondo, costretti a nutrirsi di sole barrette proteiche. Il Fondo è un luogo buio e umido, senza finestre a svelare il paesaggio circostante. Chi vi abita non ha diritti. I «fondisti», come i viaggiatori hanno preso a chiamarli, sono i paria di una società verticale, governata da un potere assoluto e dispotico. Perché il treno, nel fumetto come nel film originale, è metafora di dittature e autocrazie, delle storture umane e metafisiche che si portano appresso. Cosa, questa, che nella serie al debutto su Netflix lunedì 25 maggio un po' si perde.Snowpiercer, nel quale Bong Joon-ho ha voluto figurare come produttore esecutivo, si è trovato ad allungare il brodo e il proprio valore sociale con sotto-trame di diversa natura. L'iniquità distributiva delle ricchezze e l'oppressione di un sistema autoritario non sono sfociate nella rivolta del film. Non solo. Snowpiercer, nella sua versione televisiva, ha mescolato il germe della rivoluzione, che dal Fondo travolge il treno intero, con elementi propri del giallo. Protagonista della serie televisiva, è l'ideologico Andre Layton, il bravo Daveed Diggs. Layton, nella vita ormai passata, lavorava come detective. Sul treno, però, è finito nel Fondo, dove il cibo è razionato e ai dissidenti sono amputate le braccia. La sua sola occasione di riscatto si ha quando un omicidio brutale stravolge l'ordine della prima classe. Sean Wise, informatore del signor Wilford, viene trovato privo di vita e di arti, evirato dalla follia di un violento assassino. Layton, unico investigatore della carovana, viene chiamato a risolvere la mattanza. Ma le indagini, come spesso accade in materia televisiva, si rivelano preludio di altro. Droghe, cannibalismo, pazzia e ribellione permeano la trama di Snowpiercer, una serie che, già rinnovata per la seconda stagione, si scopre ben più americana di quanto Parasite avesse dato sperare. Intendiamoci. L'essere americano non ha nulla di sgradevole, anzi. La serie tv è un prodotto di alta qualità, dove una buona recitazione incontra una buona scrittura. Ma il regista coreano che, solo, ha saputo vincere l'autoreferenzialità degli Oscar avrebbe potuto osare di più. Forse, avrebbe dovuto. Perché l'aver indugiato in meccanismi già propri di Hollywood, senza inventare o rinnovare nulla, ha finito per produrre una serie dimenticabile, che, diversamente da Parasite, non farà la storia.
La storia della famiglia nel bosco accende i riflettori sul sistema degli allontanamenti. In Italia ci sono oltre 33.000 bambini tolti ai genitori. Ne parlano la professoressa Vincenza Palmieri e l'avvocato Angelo Di Lorenzo.
La maxi retata nelle favelas di rio de Janeiro del novembre 2025 (Ansa)
- Alcune cellule del famigerato Comando Vermelho sono operative in Portogallo. In tre anni il flusso di cocaina verso il Vecchio continente è cresciuto del 35%.
- I porti di Paesi come Sierra Leone, Senegal e Gambia sono sempre più cruciali per il passaggio della droga.
- L’esperto Antonio Nicaso: «L’uso sempre più sistematico di società di facciata e paradisi fiscali segna una discontinuità. Le autorità non hanno molto tempo per contenere questi sviluppi».
Lo speciale contiene tre articoli.
Franco Berrino (Ansa)
Il medico, colonna all’Istituto nazionale dei tumori: «Follia somministrarli senza sorveglianza attiva. Oggi molti indizi fanno pensare che abbiano aumentato la mortalità. Le riviste scientifiche obbediscono a ordini».
«Si chiama Il nostro veleno quotidiano e vuole riecheggiare un po’ “il nostro pane quotidiano”, che non è più buono come una volta» spiega Franco Berrino parlando del suo ultimo libro. Berrino è un’istituzione all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, dove ha diretto il Dipartimento di medicina preventiva e predittiva occupandosi di epidemiologia dei tumori e dello sviluppo del registro dei tumori in Italia.
(Ansa)
Il ministero degli Esteri «dal primo gennaio sarà anche un ministero economico». È la riforma della Farnesina spiegata dal titolare del dicastero, Antonio Tajani, ieri a Torino nel corso degli Stati Generali di Forza Italia sul commercio internazionale. «Le nostre ambasciate – ha sottolineato il vicepremier prima di partecipare ai lavori – si dovranno trasformare sempre più in piattaforme per favorire le nostre esportazioni e le nostre imprese. Ho deciso di fare una rivoluzione al ministero degli Esteri. Dal primo gennaio cambierà tutto. Per la prima volta nella storia d’Italia il ministero degli Esteri avrà una testa politica ma anche una testa economica».
«Il ministero – ha spiegato Tajani – diventerà un punto di riferimento per tutti gli imprenditori italiani che lavorano al di là dei confini nazionali. Ho dato disposizione a tutte le ambasciate italiane nel mondo di applicare questo concetto».






