2019-12-03
        Il gelo di Di Maio mette paura ai giallorossi
    
 
Il leader M5s non applaude Giuseppi alla Camera e diserta il Senato assieme a molti grillini. Infine lancia un segnale agli alleati: «Smentite le bugie, ma vogliamo rivedere la riforma». Pd nel panico: «Spieghi da che parte sta». Avrà il coraggio di votare contro?«Che c’entra Luigi Di Maio? Tutto il governo è impegnato a risolvere la questione Mes. Con Di Maio non ci sono screzi, ha espresso delle criticità per conto del M5s, ma in un negoziato così complesso è pienamente comprensibile». Nei corridoi di Palazzo Madama, a fine giornata, alla domanda dei giornalisti il premier Giuseppe Conte risponde più che irritato, quasi a voler nascondere che il problema M5s esiste, eccome. E si è visto ieri, alla Camera, plasticamente, durante l’informativa sul Mes di Conte: né un sorriso, né un applauso, tanto meno una pacca amichevole con il leader grillino. Il ministro degli Esteri è rimasto scuro in volto, come se il feeling con il «miglior premier possibile» fosse definitivamente sparito. Un gelo notato anche dal Pd, tanto che Alessia Rotta, vicepresidente vicaria del gruppo dem alla Camera ha chiesto a Di Maio di dire «chiaramente da che parte sta. Con chi vuole stare nell’euro o con chi vuole sfasciare tutto?». E alla fine dell’informativa sul Mes, neanche i saluti con Conte, né un passaggio al Senato, ma la decisione di riunire i pentastellati alla Farnesina per un vertice prima del Consiglio dei ministri. C’è un nodo politico che tiene sulla graticola il Movimento: votare senza esitazioni la riforma del Mes così com’è, cioè senza garanzie per l’Italia, significa dare una mano al centrodestra, non votare significa mettere a rischio il governo giallorosso. «Nel suo intervento alla Camera il presidente del Consiglio ha messo a tacere falsità e fake news diffuse dalle opposizioni in questi giorni, il che restituisce dignità al dibattito politico in corso, sul quale abbiamo apprezzato la posizione ribadita circa la logica di pacchetto come richiesto ieri al vertice di maggioranza dal M5s», ha affermato in una nota Di Maio. «A tal proposito, il M5s oggi più che mai è compatto di fronte alla necessità di dover rivedere questa riforma che, ad oggi, presenta criticità evidenti». Nessun cambiamento dunque dopo la riunione notturna di domenica. Ieri mattina anche il sottosegretario Manlio Di Stefano parlava della necessità di emendare il salva Stati e, in un’intervista radiofonica nel rispondere se il M5s avesse votato il Mes così com’è aveva ribadito: «No, ma non rimarrà così, siamo la maggioranza di governo».A Montecitorio la stessa posizione viene rimarcata nell’intervento del deputato Francesco Silvestri: «Chiediamo che l’Italia sia ascoltata. Non daremo alcuna luce verde all’eurogruppo sul Mes se prima non ci sarà la pronuncia del Parlamento». Il nervosismo era evidente alla fine dell’informativa definita dal M5s «totalmente sbilanciata sul Pd. Un chiaro scudo», l’accusa mossa al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, protagonista domenica notte di un duro braccio di ferro proprio con Di Maio sul Mes. Ieri si vociferava anche di un Alessandro Di Battista furente per un’informativa che «sembra appoggiare in pieno la riforma del Mes negoziata nell’estate scorsa». A confermare il malpancismo del gruppo grillino sul fatto che il Mef avrebbe negoziato con la Ue «senza il supporto politico del partito maggiore». Che le parole di Conte non avessero cambiato i termini della questione lo si è capito dall’assenza di moltissimi senatori grillini durante le spiegazioni del premier. Un’assenza fatta notare dal leader della Lega, Matteo Salvini, durante il suo intervento, proprio al premier «orfano della sua maggioranza». Peraltro se Conte col suo discorso si rivolgeva a Salvini, ma facendo intendere anche a Di Maio, l’ex ministro dell’Interno si è rivolto anche a Di Maio dicendo che «Il trattato va rinegoziato e solo alla fine si può votare in Parlamento. Sono necessarie delle modifiche, ogni parlamentare deve poter intervenire su questo trattato. Lì, sui banchi del governo c’è qualcuno che mente. Condivido le richieste espresse dai 5 stelle, vogliamo capire, vogliamo modifiche e non accettiamo nulla al buio…». Anche il leghista Claudio Borghi alla Camera gli aveva gridato «Di Maio vattene, dimettiti», mentre il capogruppo del Carroccio, Riccardo Molinari, aveva incalzato: «Dimostri di avere a cuore la Costituzione e se lei ha intenzione di votare questo nuovo fondo salva Stati senza un atto di indirizzo del Parlamento, rassegni immediatamente le dimissioni». Insomma sono in molti dentro il M5s a ritenere che «tante cose dell’Unione economica e monetaria vanno riviste» e Di Maio sa bene che anche in Ue i pentastellati sono combattuti tra possibile europeismo e nazionalismo. I 14 eurodeputati grillini, la scorsa settimana, non hanno infatti votato compatti per la squadra presentata dalla tedesca all’Europarlamento, ma si sono spaccati. Ora sul Meccanismo europeo di stabilità il governo è spaccato e a questo punto decideranno le Camere il prossimo 11 dicembre quando la maggioranza sarà chiamata a votare un risoluzione comune. Il M5s che ha invitato il Pd «a lavorare con noi a un’intesa», l’11 presenterà una risoluzione in cui chiederà a Conte di chiedere al consiglio Ue di dicembre il miglioramento dell’intero pacchetto. Col rischio che la risoluzione Mes diventi la copia conforme della risoluzione Tav che anticipò la caduta del governo gialloblù.
        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
    
        Francesca Albanese (Ansa)
    
        Emanuele Fiano (Getty Images)