2019-09-06
Il falso avvelenamento che ci ha avvelenato
La sconcia strumentalizzazione della morte di Imane, la modella marocchina teste nel Rubygate. Per sei mesi la pista dell'omicidio è stata indicata come l'unica credibile, al di là di ogni logica. Un surreale can can mediatico montato in funzione antiberlusconiana.Non è bastata neanche la diagnosi finale, arrivata dopo sei mesi d'indagini e dopo infinite verifiche mediche. No, nemmeno il timbro della Procura di Milano sui risultati definitivi dell'autopsia riesce a fermare la sconcia strumentalizzazione della morte di Imane Fadil. Non è servita a nulla l'ultima conferma - in realtà lo si diceva da luglio - che la ragazza è morta di aplasia midollare, una malattia che blocca la produzione di globuli rossi e bianchi. Come niente fosse, anche ieri Il Fatto quotidiano ha titolato: «Il caso Fadil è (quasi) chiuso». Aggrappandosi all'ultima speranza, e balenando ai suoi lettori l'ipotesi che dalla brutta storia possa ancora uscire qualcosa: ovviamente, qualcosa di utile alla propaganda antiberlusconiana. Tutto era cominciato il 15 marzo, quando la Procura aveva dato la notizia del decesso in un letto d'ospedale della giovane marocchina, che nel 2012 era stata teste d'accusa nelle udienze del Rubygate. Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo scriveva che «l'ideologia è la logica in base alla quale una sola idea basta a spiegare tutto, e all'esperienza viene impedito di affermare qualsiasi verità difforme». Niente potrà mai spiegare meglio la folle deformazione della realtà divulgata da certi quotidiani nei giorni e nei mesi successivi all'annuncio dell'apertura di un'inchiesta per omicidio contro ignoti, scientemente trasformata in un'indagine contro Silvio Berlusconi. Senza nemmeno aspettare i primi accertamenti dell'autopsia, a metà marzo la morte violenta della ragazza era stata data per certa, e con oscena ambiguità diffamatoria l'ex presidente del Consiglio veniva indicato come l'inevitabile mandante del delitto. Questo malgrado due elementi di forza granitica: contro Berlusconi la teste aveva messo a verbale e dichiarato in udienza tutto quello che sapeva, ma nel 2015 l'imputato era comunque uscito dal processo assolto in via definitiva, e con formula piena. Eppure, per quasi sei mesi, la pista dell'omicidio di Imane è stata additata all'opinione pubblica come l'unica credibile, al di là di qualsiasi logica e di ogni possibile immaginazione. Bastano tre titoli di quei giorni a ricordare a quale livello sia arrivata la strumentalizzazione. «Svelò il bunga-bunga, muore avvelenata», aveva gridato La Repubblica da una prima pagina, garantendo la morte «per cobalto». La Stampa aveva rilanciato con «I misteri dell'olgettina, uccisa a Milano con sostanze radioattive». E Il Fatto aveva confermato la diagnosi: «Avvelenata la teste del caso Berlusconi-Ruby». Qualche giorno dopo, Marco Travaglio era arrivato ad accostare Berlusconi a Benito Mussolini, quale mandante dell'omicidio di Giacomo Matteotti: «Probabilmente Mussolini non ordinò l'assassinio», aveva scritto il direttore del Fatto, «ma lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che Matteotti (…) gli stava rompendo i coglioni». Il confronto criminale, a quel punto, veniva da sé: «Sicuramente Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane (...) ma purtroppo nessuno può escludere che c'entrino gli ambienti criminali che lo circondano da mezzo secolo, da Cosa Nostra alla massoneria deviata, dal sottobosco dell'eterna Tangentopoli ai gigli di campo di Vladimir Putin».Il surreale can-can mediatico era poi montato come panna montata in aprile, quando, per accrescere il mistero e per conferire forza alla pista ideologica, era stata garantita l'esistenza di elevati livelli di radioattività nel corpo di Imane. Prima che fosse condotta una sola analisi, e mentre gli stessi magistrati dichiaravano ai cronisti che a loro avviso si trattava «di una morte naturale all'80%», i giornali già paragonavano la morte della giovane all'atroce fine della spia russa Aleksandr Litvinenko, che nel 2006 era stato spento in un ospedale londinese da un micidiale cocktail al polonio radioattivo. Per confermare quella pista, il blog di Michele Santoro aveva anche intervistato «l'esperto» del caso: Mario Scaramella, l'uomo che per ultimo aveva cenato con Litvinenko. «Esistono veleni che fanno effetto e poi spariscono», aveva garantito. Aggiungendo che «gruppi criminali russi hanno spesso organizzato eliminazioni in questo modo, di solito per conto dello Stato». Ieri, mentre la Procura sta per archiviare il caso, con una lettera al Corriere della Sera Marina Berlusconi ha trovato parole giustamente amare per criticare il trattamento riservato ancora una volta a suo padre: «Il dramma della morte di Imane Fadil», ha scritto la presidente di Fininvest e Mondadori, «è stato vergognosamente usato con una spregiudicatezza e un disprezzo della verità dei fatti che fanno rabbrividire». Scagliandosi contro la «cultura dell'allusione e della calunnia», Marina ha ricordato che «è una cultura malata, che certa politica, certa ideologia istigano e cavalcano senza preoccuparsi del fatto che sempre più spesso il Grande Inquisitore può in un attimo vedersi trasformato nel Grande Inquisito». Amen.
Jose Mourinho (Getty Images)