2022-01-29
Fi si squaglia, il centrodestra va a sbattere. Ora si cerca l’intesa: «Presidente donna»
Fallisce il blitz in Aula: furia di Fdi, Ignazio La Russa accusa Giovanni Toti. Umiliazione per il Cav, che aveva chiesto compattezza nell’urna: la fronda femminile gli liquefa il partito.Matteo Salvini vede Mario Draghi, Giuseppe Conte ed Enrico Letta: «Lavoriamo a una presidente donna». Il leghista e il capo M5s, d’accordo con i dem, aprono alla svolta «rosa»: salgono le quotazioni di Elisabetta Belloni. Beppe Grillo esulta: «Benvenuta signora Italia», ma Matteo Renzi e azzurri dicono no. E Montecitorio rilancia Sergio Mattarella.Lo speciale comprende due articoli.Sono riusciti a smentire perfino Charles De Gaulle. Prima di una battaglia un suo generale gli chiese cosa avrebbe fatto l’intendenza (gli addetti alle masserizie) e lui rispose: «L’intendance suivra». Qui i burocrati autoreferenziali non hanno seguito i leader, sono andati per margherite facendosi i fatti loro e mandando allo sbaraglio Maria Elisabetta Casellati (382 voti) nella Waterloo berlusconiana. Al quinto scrutinio salta tutto e si verifica puntualmente ciò che Matteo Salvini temeva (per questo non voleva andare alla conta): la prova di forza si trasforma in una prova di debolezza. E Forza Italia si risveglia partito balcanizzato.Sono le 14.25 quando matura l’implosione degli azzurri. I grandi elettori stanno ancora votando ma una vecchia volpe come Ignazio La Russa ha già capito tutto: «Sarebbe un miracolo avere più di 400 voti per la Casellati. Gli italiani di centrodestra sono molto migliori di noi e non meritano questo centrodestra di Palazzo». Così va in cartellone l’horror show e i 71 franchi tiratori vengono trovati con la pistola fumante in mano. Arrivano da Forza Italia (40), Coraggio Italia di Giovanni Toti (20) più il pulviscolo degli ultracentristi innamorati del Pd. Il controllo è grafologico: i delegati di Fratelli d’Italia scrivono sulla scheda «Elisabetta Alberti Casellati», i forzisti «Elisabetta Casellati», i leghisti «Casellati» secco, i totiani «Alberti Casellati». E non è necessario Sherlock Holmes per capire chi ha tradito. Incrociando Toti in Transatlantico, proprio La Russa lo apostrofa masticando amaro: «Hai già espresso la tua soddisfazione per il risultato, stai festeggiando?». Subito dopo Luigi Brugnaro rilancia: «Ora non resta che Mario Draghi». Che compattezza. Piange la presidente del Senato e ride Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato e rivale interna, compagna del giornalista Alessandro De Angelis (Huffington Post) che davanti alla candidatura di Silvio Berlusconi tuonò: «È un atto pornografico». La variante trotzkista ha funzionato. Il Cavaliere per la prima volta vede macerie davanti a sé. Aveva intimato: «Votate Casellati compatti. La conosco da 30 anni e garantisco sul suo ruolo super partes». Flop. È impensabile che un leader capace di interpretare per 27 anni le correnti gravitazionali della politica abbia perso le redini del partito. Un parlamentare che conosce la situazione parla di «forzatura», del pessimo rapporto di Casellati con le altre signore del partito, del diverbio con Antonio Tajani perplesso. E chiude: «In questi anni si è fatta più nemici che amici». Solo dissapori interni? Conta anche la voglia di sgambetto alla destra degli ultracentristi alla Elio Vito, che sognano di costruire con Carlo Calenda e Matteo Renzi il Grande Centro; per esperienza non è mai grande e non è mai centro ma pende sempre a sinistra. Davanti ai miserevoli niet del progressismo allo sbando, il centrodestra doveva accollarsi l’onere di fare la prima mossa. Ma la disfatta era nell’aria e a ufficializzare l’impietosa ricostruzione arrivano come coltellate le parole degli alleati. Giorgia Meloni usa la carta vetrata: «Fratelli d’Italia si conferma come partito granitico e leale. Anche la Lega tiene. Non così altri. C’è chi in questa elezione, dall’inizio ha apertamente lavorato per impedire la storica elezione di un presidente di centrodestra. Le decine di milioni di italiani che credono in noi non meritano di essere trattate così. Occorre prenderne atto».La Lega non si scompone. «I nostri 208 voti sono andati a Casellati in blocco, siamo stati compatti. Fossero tutti così», riferiscono i colonnelli salviniani. Il numero uno è meno loquace del solito e ricomincia immediatamente a tessere la tela. «Sono deluso dalla fuga del centrosinistra dal confronto, mi piacerebbe sapere cosa sanno dire oltre che no» si limita a dichiarare riferendosi all’astensione di Pd e Movimento 5 stelle alla quinta chiamata. La mossa era necessaria per non rischiare che sulla presidente del Senato confluissero i voti grillini in libera uscita. Nel pomeriggio, mentre va in scena l’inutile sesto scrutinio, Salvini incontra Enrico Letta, Giuseppe Conte, ipotizza «l’elezione di una presidente donna in gamba». Poi vede Mario Draghi in vista di un nuovo, possibile coinvolgimento personale. È evidente che dopo la débâcle su lady Casellati, il veto di Berlusconi sul premier non ha più valore per gli alleati. Si riparla anche di Pier Ferdinando Casini, che piace al Cavaliere. Ma il governatore lombardo Attilio Fontana è lapidario: «Io non lo voto e non credo che la Lega lo voterà». Lo sgambetto di Casellati avrà conseguenze; le voci di dentro parlano di Salvini e Meloni determinati a trattare con i dem un nome condiviso, con il peso dei 300 voti sicuri. E a mettere sul piatto una contropartita come la legge elettorale per mandare all’angolo i cespugli di alleanze ormai posticce.Se nel centrodestra si raccolgono i cocci, nel centrosinistra brillano frammenti di bolscevismo da operetta. Per accertarsi che i parlamentari piddini consegnassero la scheda bianca senza fermarsi a scrivere, Piero De Luca (figlio dello sceriffo campano) cronometrava il loro passaggio. Siamo al servizio d’ordine. Nell’Aula in derapata poco controllata si nota stanchezza per un rito anacronistico. Un governatore di peso ammette: «Siamo come capi di bestiame nel Corral, che vengono spinti inconsapevolmente in un percorso sempre più stretto. E in fondo al percorso ci sono Mattarella o Draghi». Un muggito triste, tanto rumore per nulla. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-schianta-meloni-accusa-i-forzisti-qui-qualcuno-non-e-leale-2656504666.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-vede-draghi-conte-e-letta-lavoriamo-a-una-presidente-donna" data-post-id="2656504666" data-published-at="1643420586" data-use-pagination="False"> Salvini vede Draghi, Conte e Letta: «Lavoriamo a una presidente donna» La giornata del naufragio della candidatura di Maria Elisabetta Alberti Casellati fa registrare la possibilità che a varcare il portone del Quirinale sia un’altra donna, Elisabetta Belloni, anche se appare ormai più che probabile una riconferma di Sergio Mattarella. Sono le 20 di ieri sera quando Matteo Salvini (che ha incontrato i leader del centrosinistra e ha parlato con Mario Draghi) - e Giuseppe Conte annunciano il solenne «Habemus Papessam»: «Sto lavorando perché ci sia una presidente donna», dice Salvini, «una donna in gamba, non faccio nomi né cognomi»; «Ho l’impressione», sottolinea Conte, «che ci sia la sensibilità di Salvini, spero di tutto il Parlamento, per la possibilità di una presidente donna, il M5s lo ha sempre detto. Ci sono almeno due figure solide e super partes». Una di queste è certamente Elisabetta Belloni, capo dei servizi segreti italiani, già segretario generale del ministero degli Esteri. È a lei che pensano tutti, quando Conte e Salvini comunicano la clamorosa novità in diretta tv. C’è anche chi si spinge a prevede nel corso della notte una serie di incontri della Belloni con le forze politiche. Fioccano i commenti positivi, a partire da un incredibile tweet di Beppe Grillo: «Benvenuta signora Italia, ti aspettavamo da tempo». «Voteremmo la Belloni con convinzione», scrive invece il leader di Azione, Carlo Calenda, «la Cartabia ha più esperienza come garante della Costituzione. Belloni più esperienza come rapporti internazionali. Entrambe sono fuoriclasse». Il nome della Cartabia resta in campo, così come quello di Paola Severino. La Belloni però non sfonda: «Non penso che sia minimamente possibile», argomenta Matteo Renzi, votare la capo dei servizi segreti alla presidenza della Repubblica: non sta né in cielo né in terra. Se è il suo nome proporremo di non votarlo. Elisabetta Belloni è una straordinaria professionista, io la volevo ministro degli Esteri. La stimo molto, è una mia amica, è stata capo di gabinetto di Gentiloni e segretario generale della Farnesina», aggiunge Renzi, «ma oggi è il capo dei servizi segreti in carica. Indipendentemente dal nome, in una democrazia del 2022 il capo dei servizi segreti non diventa presidente della Repubblica, se non lasciando tutti gli incarichi e candidandosi di fronte ai cittadini». Arriva il no alla Belloni di Leu: «Con tutto il rispetto per la competenza e la capacità di Elisabetta Belloni», fanno sapere fonti del partito di Roberto Speranza, «in un Paese democratico è assolutamente inopportuno che il capo dei servizi segreti diventi presidente della Repubblica. Allo stesso modo non è accettabile che la presidenza della Repubblica e la guida del governo siano affidate entrambe a personalità tecniche e non politiche». Per Forza Italia è la senatrice Licia Ronzulli a dire no alla Belloni: «Per noi non va bene». «Vorrei ricordare a tutti», frena immediatamente il senatore del Pd Andrea Marcucci, riferendosi alla Belloni, «che per volontà della direzione del Pd, tutti nomi possibili per il Quirinale dovranno essere preliminarmente valutati e votati dall’assemblea dei grandi elettori democratici. Non si possono votare candidati a scatola chiusa». Dal Nazareno fanno sapere che «sono finalmente in corso, dopo il fallimento del muro contro muro voluto dal centro destra, confronti e discussioni su alcune possibili soluzioni. Tra queste», aggiungono fonti della segreteria dem, «anche candidature femminili di assoluto valore. Ma ci vuole serietà, la cosa peggiore è continuare col metodo di questi giorni che consiste nel bruciare con improvvide fughe in avanti ogni possibilità di intesa. Per noi rimane fondamentale preservare l’unità della maggioranza di governo. Intanto invitiamo tutti a prendere atto della spinta che da due giorni e in modo trasversale in Parlamento viene a favore della riconferma del presidente Mattarella». Luigi Di Maio, come riportato dalla Verità, ha raccomandato di non lanciare in campo la Belloni senza la certezza assoluta della sua elezione. Negli stessi istanti in cui si discute della Belloni, dall’aula di Montecitorio si alza un vero e proprio ruggito: sono ben 336 i voti che i grandi elettori che hanno partecipato al voto, tutti tranne quelli di centrodestra, assegnano a Sergio Mattarella. tanti, tantissimi, considerato che l’indicazione di Pd, M5s, Leu e Iv era quella di votare scheda bianca. Non solo: la votazione precedente, quella sulla Casellati, ha riservato 46 voti a Mattarella, tutti di centrodestra. L’idea Belloni già traballa. Mattarella, invece, sembra la scelta dei parlamentari: «Sta salendo un moto dal basso», dice alla Verità il deputato del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti, da sempre vicino al Capo dello Stato, «e questi numeri sono un risultato al di là di ogni rosea previsione». Da ambienti pro-Mattarella arriva alla Verità una indiscrezione importante: nelle votazioni precedenti Enrico Letta avrebbe fatto di tutto perché i parlamentari del Pd non scrivessero sulle schede il nome di Sergio Mattarella, mentre ieri sera il segretario Dem non ha mosso un dito in questa direzione. Nel corso dello stesso incontro tra Salvini e Mario Draghi, che si è svolto nel pomeriggio, a quanto ci risulta si è parlato di una eventuale riconferma dell’attuale Capo dello Stato. La votazione di oggi, se si andrà nella direzione di una riconferma di Mattarella, sarà a questo punto decisiva. Il Presidente uscente infatti se avesse voluto davvero rinunciare avrebbe certamente proclamato ufficialmente la sua indisponibilità, quando ha visto montare l’onda in suo favore in parlamento. Restano in campo sempre le ipotesi di Draghi e Casini.
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