
Nel Paese guidato dal «liberal» Justin Trudeau, fan del multiculturalismo e paladino dei diritti, l'agenzia per il controllo delle frontiere utilizza i test genetici per individuare la nazionalità degli stranieri sgraditi. Così può rispedirli a casa loro.Succede spesso: gli immigrati clandestini entrano in un Paese e si presentano alle autorità senza documenti, in modo che sia impossibile - o comunque molto difficile - stabilire da dove arrivino realmente. Come fare a risolvere il dilemma? Il Canada pare abbia trovato una soluzione. Il Paese guidato da Justin Trudeau, celebratissimo paladino dei diritti umani e grande tifoso del multiculturalismo, utilizza il test del Dna per stabilire da dove arrivino veramente gli immigrati. In questo modo, le autorità possono più facilmente rimandare indietro gli stranieri sgraditi. A rivelarlo è stata un'inchiesta di Vice News, che ha raccontato il caso di un uomo chiamato Franklin Godwin. Costui è arrivato in Canada nel 1996, dichiarando di essere liberiano. È stato accolto e ha ottenuto un permesso di soggiorno permanente in quanto rifugiato. Piccolo problema: due anni dopo aver ricevuto l'asilo, Godwin è stato condannato a sette anni di carcere per traffico di eroina. A quel punto, le autorità canadesi, vista la gravità dei suoi reati, hanno deciso di rispedirlo indietro. E lì sono cominciati i guai. Un primo tentativo di rimpatrio, nel 2003, è andato a vuoto perché mancavano alcuni documenti ufficiali. Nel 2005, Godwin è stato nuovamente rifiutato dalla Liberia, questa volta con una motivazione piuttosto seria: le autorità del Paese africano hanno spiegato che l'uomo non era un loro connazionale. La faccenda si è trascinata fino al 2017, anno in cui il Canada border services agency (la struttura che si occupa del controllo delle frontiere) ha deciso di ricorrere al test del Dna. Secondo Subodh Bharati, l'avvocato di Franklin Godwin, gli agenti dell'immigrazione canadesi hanno utilizzato siti come Familyteedna.com e Ancestry.com per stabilire se il suo cliente fosse davvero liberiano. Non solo: le autorità canadesi si sono avvalse pure della consulenza di una società svedese che svolge analisi linguistiche. Risultato: hanno scoperto (o almeno così sostengono) che Franklin Godwin è nigeriano, non liberiano. Dunque deve essere rimpatriato in un Paese diverso da quello che lui ha indicato come terra d'origine. Al di là del caso specifico, a essere interessante è il metodo. Un portavoce della Cbsa, Jayden Robertson, ha dichiarato che l'agenzia per il controllo delle frontiere utilizza il test del Dna onde determinare l'identità di «detenuti a lungo termine» nel caso in cui tutte le altre tecniche di identificazione non abbiano dato risultati. «Il test del Dna», ha spiegato Robertson, «aiuta la Cbsa a determinare l'identità fornendo indicatori di nazionalità». A quanto risulta, il caso di Franklin Godwin non è isolato: la pratica di identificazione tramite Dna viene utilizzata di frequente. E non solo per facilitare le espulsioni, ma anche per svolgere indagini riguardo ai ricongiungimenti famigliari. Per evitare che qualche rifugiato faccia entrare nel Paese falsi parenti, le autorità controllano che i dati genetici corrispondano. Per rendersi conto di quanto sia diffuso questo tipo di verifiche, basta farsi un giro sul Web. Sono vari i siti che offrono servizi specifici per chi vuole entrare in Canada. Su Dna-testing.com, per esempio, si legge: «Non tutti gli immigrati in Canada devono sottoporsi a un test del Dna. Esso è necessario solo per le persone a cui manchino alcuni documenti (come i certificati di nascita) che il governo canadese considera obbligatori per il processo di immigrazione. (…) Se hai fatto domanda di immigrazione in Canada (per te stesso o un familiare) e la tua domanda è incompleta, riceverai una lettera dal governo canadese in cui si afferma che i richiedenti devono fare un test del Dna per scopi di verifica dell'identità. Dovresti contattare un laboratorio di analisi del Dna accreditato solo se e quando ricevi questa lettera». Di siti Internet come questo se ne trovano tantissimi, e tutti offrono lo stesso servizio: controllo del Dna per chi intenda entrare nel Paese nordamericano. Il sito Thednalab.com, per esempio, spiega che «il test del Dna può essere usato per verificare le relazioni biologiche tra i membri di una famiglia come parte di una domanda di immigrazione in Canada. Se hai bisogno di aiuto per testare un membro della famiglia all'estero o qui in Canada, siamo pronti ad aiutarti a capire il processo e a fornire risultati affidabili che siano accettati da Citizenship & Immigration Canada».L'aspetto più curioso della faccenda, tuttavia, è che a servirsi di procedure simili sia proprio lo Stato di Trudeau, che molti - anche dalle nostre parti - hanno indicato come un esempio da seguire in materia di frontiere aperte. Pensate che accadrebbe se fosse Matteo Salvini a proporre il test del Dna per facilitare le espulsioni… Trudeau, invece, nel 2017 veniva descritto da Repubblica come «il premier simbolo dell'accoglienza». Il suo approccio immigrazionista, per altro, gli sta causando non pochi problemi in patria. Nel corso del 2017, infatti, sono entrati in Canada 30.000 richiedenti asilo provenienti dagli Stati Uniti: migranti che hanno dichiarato di aver lasciato gli Usa per via delle politiche di Donald Trump. Il flusso notevole di ingressi ha causato parecchie difficoltà anche a grandi città come Toronto, il cui sindaco non sa più dove piazzare gli stranieri. La provincia dell'Ontario, invece, ha fatto richiesta di maggiori fondi per gestire l'emergenza. Secondo Fox News, la soluzione ideata dal governo sarebbe quella di ospitare i richiedenti asilo in albergo, ovviamente a spese dei contribuenti canadesi. In vista delle elezioni del 2019, quella della migrazione potrebbe rivelarsi una brutta gatta da pelare per l'azzimato Justin. Chissà, magari da qui a fine anno il nostro riuscirà a rispedire indietro un bel po' di gente: magari servendosi proprio del test del Dna.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





