
Oggi, in una seduta cruciale, Matteo Renzi interverrà «sul rapporto tra poteri dello Stato» e i guai giudiziari dei suoi. Sfrutterà la tribuna pubblica, che il Pd non gli avrebbe concesso, per attaccare i magistrati. Ecco perché è nata Iv: gli serviva un palcoscenico.Italia Selfie. Se avesse chiamato così il suo partito, lasciando quel «viva» al destino dell'elettrocardiogramma, Matteo Renzi sarebbe stato più sincero. Italia Selfie, come del resto illustra la fotografia che campeggia sulla sua e-News (il Renzi Times realizzato per i fedeli) e che mostra il leader mentre si fa fotografare da un gruppo di ragazzi, concentrato su sé stesso e sull'imperdibile risultato dello scatto nello smartphone. Chi sostiene che il senatore semplice è un selfie vivente esagera, ma per difetto; l'autoscatto ha almeno rispetto per lo sfondo, Renzi no. Credendosi un putto michelangiolesco, gli basta mettere a fuoco il (suo) primo piano.Il dubbio era sorto fin dal primo minuto ma le conferme arrivano grazie all'onestà del tempo: l'ex premier se n'è andato dal Pd e ha plasmato un partito per promuovere, difendere, celebrare sé stesso. Ne è il proprietario, la ditta non è scalabile e lo stile è stalinista: nessuno fiata prima che abbia parlato lui. Afflitto da sindrome di accerchiamento, era convinto che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio volessero la Plastic tax e la Sugar tax non per raccattare qualche centinaio di milioni necessari per mettere a cuccia l'Europa, ma «per farmi un dispetto». Sempre pronto a mettersi al centro del campo con il pallone in mano, lui che ha il 3,9% (stimato) ha cominciato il conto alla rovescia dell'esecutivo: «All'inizio gli davo il 90% delle possibilità di finire il mandato, oggi il 50%, ma se mi costringono si vota».Il capolavoro assoluto del suo ego ipertrofico avviene oggi in Senato a mezzogiorno, quando lui si alzerà dal banco e prenderà la parola. Nel pieno marasma della legge di Bilancio, mentre le lunghe ombre del Mes si allungano sui rapporti fra Roma e Bruxelles e i primi 3.500 lavoratori dell'ex Ilva hanno ricevuto le lettere della cassa integrazione, Renzi parlerà di se stesso. L'État c'est moi, alla Luigi XIV. Lo ha spiegato con orgoglio su Facebook, annunciando la diretta social e preparando gli adepti a dieci minuti da Bob Kennedy. «Intervengo in aula sul rapporto fra i poteri dello Stato: legislativo, giudiziario, esecutivo». Chi già si stava domandando il senso di una lezione mignon di diritto costituzionale ha capito tutto leggendo la frase successiva. «Voglio che resti agli atti parlamentari una riflessione seria, pacata, senza fraintendimenti su ciò che sta accadendo alla politica del nostro Paese». Poi la domanda retorica: «Chi decide cosa è un partito e cosa no?».Si può riassumere tutto in una parola di quattro lettere: Open. La fondazione a lui vicina, quella oggetto di inchiesta con perquisizioni e avvisi di garanzia. Parlerà di Open, probabilmente dall'aula del Senato farà sentire di nuovo la sua voce come uno scudiscio ai magistrati fiorentini, già massaggiati con la frase: «Un tempo cercavano il mostro di Scandicci, non vorrei che avessero fatto confusione con il senatore di Scandicci». Aspettiamoci un'arringa sui fatti suoi. Per Renzi sono molto più importanti degli affari di Stato. Anzi, quando riguardano lui lo diventano. Così, come se ancora fosse primo ministro, stamane va in aula a sovrapporsi agli atti ufficiali della giustizia italiana, incalpestabile e sacra per i media mainstream solo quando si occupava di Silvio Berlusconi. Il rimando alle cinque domande poste dal Riformista fa capire che non saranno dieci minuti pacati, ma da Alfred Dreyfus che ha appena visto il film di Roman Polanski. «Alla procura di Firenze: è stata avviata un'indagine interna sulla fuga di notizie? Alla procura generale di Firenze: è stata avviata un'inchiesta sulla fuga di notizie partita dalla procura di Firenze? Alla procura generale della Cassazione: sono stati avviati gli accertamenti di competenza? Al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede: sono stati inviati gli ispettori a Firenze? Ai membri togati del Csm: perché avete scritto un documento di solidarietà alla procura di Firenze pur sapendo che è teatro di fuga di notizie?».Niente di pacato sta facendo Matteo Renzi per difendere la fondazione Open e i suoi interessi. Da due giorni tenta di solidarizzare con Corrado Formigli dagli attacchi dei suoi haters, ma non ce la fa. Così alla mattina scrive su Facebook che «ogni violazione della privacy è un atto barbaro» ma al pomeriggio aggiunge che «sui giornali invocano la privacy solo per i loro amici, questa è doppia morale». E di fatto non prende le distanze dai manganellatori social, quelli che lo adorano e sistematicamente randellano i presunti nemici. Perché i suoi non sono come gli altri, insultano con purezza d'animo e leggono Proust. L'ossessionato dagli odiatori altrui è difeso dagli odiatori propri. Un paradosso? No è Renzi al centro dell'ultimo selfie.
Johann Chapoutot (Wikimedia)
Col saggio «Gli irresponsabili», Johann Chapoutot rilegge l’ascesa del nazismo senza gli occhiali dell’ideologia. E mostra tra l’altro come socialdemocratici e comunisti appoggiarono il futuro Führer per mettere in crisi la Repubblica di Weimar.
«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca».
(Guardia di Finanza)
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, grazie a una capillare attività investigativa nel settore della lotta alla contraffazione hanno sequestrato oltre 10.000 peluches (di cui 3.000 presso un negozio di giocattoli all’interno di un noto centro commerciale palermitano).
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».






