2023-04-13
Il bimbo pur di integrarsi a scuola fa finta di essere nato all’estero
È l’unico italiano in una quinta elementare alla Bolognina. Illusorio applicare le «quote».Ogni bambino è unico. Lui di più, perché è anche l’unico italiano della quinta E. Ma non vive all’estero con la famiglia, non è impegnato in uno speciale programma di studio d’una lingua straniera finanziato da Bruxelles. È a Bologna, nella scuola elementare Federzoni e probabilmente si è accorto di rappresentare egli stesso un record: è l’unico ad avere la cittadinanza italiana fra i 21 allievi della classe più multietnica del nostro Paese. Il quartiere si presta, è quello molto popolare della Bolognina, vicino alla ferrovia, case costruite negli anni Sessanta per la classe operaia che aspettava con il classico disincanto emiliano il miracolo del socialismo al ragù. E trasformate col tempo in scorci multicult, colorati, con immigrati di seconda generazione. Una micro Molenbeek dove tutto si trasforma nel grande magma del globalismo terzomondista. Achille Occhetto non poteva scegliere un luogo più rappresentativo per fare il funerale al cadavere antistorico del Pci.Dentro il grande complesso scolastico con l’edificio principale dipinto di giallo e rosso il ragazzino è circondato da coetanei che arrivano dalla Nigeria, dalle Filippine, dal Bangladesh, dal Marocco. I Paesi di provenienza nella quinta E sono nove, esclusa l’Italia. Nessun problema, i suoi genitori sono stati gli ultimi a resistere e a non cedere all’abitudine di spostare i figli in scuole private per offrire loro un percorso più lineare. Qui lui viaggia stando fermo e le maestre non percepiscono nessuna eccezionalità. Tranne un dettaglio singolare, spiegato dall’insegnante Francesca La Ganga: «Sentiva che tutti gli altri arrivavano da posti esotici, così si è inventato di essere nato a New York invece che a pochi metri dalla scuola». Pareva brutto, idea simpatica, a nessuno viene in mente l’ipotesi che la piccola bugia nasconda un certo spaesamento. Fosse accaduto all’unico straniero in una classe di italiani sarebbero intervenuti gli assistenti sociali per vederci più chiaro. Non alla Bolognina. Anche perché le percentuali di stranieri alla Federzoni (250 alunni) toccano l’88% e la scuola ne è orgogliosa. Qui l’ex sindaco piddino Virginio Merola ha imparato a scrivere e far di conto. Con questi primati l’istituto pubblico è diventato un simbolo nella città che si batte per lo ius soli a prescindere e conferisce la cittadinanza onoraria ai ragazzi che concludono il ciclo scolastico. Nel cortile della Federzoni c’è un murale con la scritta «Unità nella differenza», e poco importa se l’unità è nella Babele esotica e la differenza sta in quell’italiano che vorrebbe essere nato a Manhattan. C’è sempre qualcosa di politico in questi casi, e anche di molto italiano: si danza allegramente sulle regole. Esiste infatti una circolare del 2010 firmata dall’ex ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che determina le quote di allievi stranieri per classe: non potrebbero essere superiori al 30% (tre alunni con cittadinanza non italiana ogni dieci iscritti). E comunque il numero non potrebbe superare quello degli allievi italiani, quindi non andare oltre il 50%. In caso di eccedenze, sempre quel documento disciplina gli interventi del dirigente scolastico di turno, che dovrebbe stabilire «come e dove assegnare» lo studente straniero.Tutto questo a Bologna non vale più, e forse neppure nei quartieri multietnici di Milano, Torino, Roma, dove l’aggregazione spontanea vince sull’alfabetizzazione e sull’opportuna conoscenza linguistica. Diventa tutto relativo in un Paese come il nostro, dove gli alunni stranieri sono 890.000 con picchi proprio in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia (uno su quattro). E dove, secondo il ministero, fra dieci anni saranno più di un milione. Urge ripensare il fenomeno, stabilire un nuovo perimetro. E non considerare la scuola pubblica come un hub a disposizione degli immigrati. Dove i più stranieri di tutti finiscono per essere gli italiani.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)