2020-11-27
I virologi star litigano sul vaccino. Intanto Roma paga, ma decide l’Ue
Roberto Burioni e Ilaria Capua (Getty images)
Ilaria Capua: «Non impedisce la trasmissione dell'infezione ad altri». Roberto Burioni la sconfessa: «È falso» La strategia del governo scarica la responsabilità sulle Regioni. A trattare coi fornitori è però Bruxelles.«Chi non vuole fare vaccino non entra in ristoranti, bar, cinema, treni. Poi vedi che lo fanno». Palazzo Chigi ha lanciato un nuovo virologo da combattimento, Alessandro Gassman, il flanellone di famiglia, quello dei film di borgata, entrato a piedi uniti nella polemica del secolo con la proposta della tessera del vaccinato che testimoni l'effettuata puntura. Chi non documenta sta in lockdown a vita. E non è escluso che si ritrovi una stella gialla pitturata sulla porta di casa. Nel Paese dell'incubo sanitario il livello del dibattito è questo, non certo il modo migliore per convincere la gente a mettersi in fila per farsi iniettare l'anti Covid planetario.Il delirio dell'attore non è un'iperbole ma una tendenza che crea diffidenza. Perché di vaccino obbligatorio stanno parlando sia Istituto superiore di sanità, sia ministero della Salute. E perché le disfide mediatiche degli scienziati da talk show non contribuiscono a chiarire l'orizzonte, anzi. Dal suo osservatorio globale di Miami, sempre con quell'inquietante quadro alle spalle, Ilaria Capua pone una domanda retorica che somiglia a una coltellata: «Da vaccinato posso andare in giro come se fossi sicuro al 100%? La risposta è no. La vaccinazione è efficace contro la malattia, ma contro l'infezione non lo è al 100%. Non è la panacea ma uno degli strumenti». Qui crollano tutte le certezze. Ecco un'altra picconata alla fiducia degli italiani dopo il famoso anatema di Andrea Crisanti: «Senza garanzie il vaccino non lo farei a gennaio». E dopo la divagazione da veggente di Massimo Galli: «Non ci sono garanzie che fra dieci anni non provochi effetti collaterali». I sedicenti esperti stanno dando il peggio, avrebbero bisogno di addetti stampa bravi ma il loro ego ipertrofico non li aiuta ad ammetterlo. Il telespettatore è in preda all'ansia quando arriva Roberto Burioni che sconfessa la Capua: «Gira la notizia che i vaccinati sono protetti ma possono trasmettere la malattia. Questo non è vero. Per morbillo, rosolia, varicella e parotite chi è vaccinato non può essere infettato e non può trasmettere la malattia». Poi una conclusione che fa a pugni con l'evidenza scientifica: «Ovviamente non sappiamo nulla di quello che accadrà con i diversi vaccini anti Covid». Nel convegno a cielo aperto h24 fra scienziati vale tutto, la colonna sonora è un ensemble di tromboni e l'italiano medio brancola nel buio. Scenario perfetto perché sia scettico e induca Giuseppe Conte a immaginare una campagna coatta. I numeri preoccupano. Una ricerca dell'Università Cattolica su 1000 intervistati ha stabilito che all'inizio di novembre solo il 52% era favorevole a mostrare la spalla nuda davanti all'infermiere con il volto di Bill Gates; l'11% ha assicurato che non si farà vaccinare, il 9% che è poco probabile, il 28% aveva dubbi. Poi, grazie anche alle univoche e autorevoli posizioni dei virologi, la percentuale dei favorevoli è perfino diminuita. Adesso il 58% degli italiani è per il ni. E non è ancora circolata abbastanza l'ultima curiosità: Astrazeneca sarà costretta a effettuare nuovi test dopo che è stato scoperto che in alcune confezioni somministrate alle cavie umane c'era solo mezza dose, con percentuali di efficacia sballate. Se sapesse come Roberto Speranza sta organizzando la gigantesca operazione, l'italiano già stressato sarebbe ancora più prudente. Il ministro ha annunciato che il 2 dicembre presenterà il piano in Parlamento e che «l'acquisto del vaccino sarà centralizzato e gestito dallo Stato». Ha chiesto alle Regioni (che dovranno distribuirlo) un piano operativo entro il 23 novembre, quindi a tempo scaduto. La deadline realistica sarà fine novembre. La decisione andrebbe nella direzione di una strategia unitaria e di un potere contrattuale più consistente, se fosse l'Italia a interloquire direttamente con le aziende farmaceutiche in corsa. E invece non è così, perché i rapporti con i fornitori li tiene l'Europa.Sarà Bruxelles a decidere quale vaccino privilegiare, quante dosi ordinare (finora ne sono stare prenotate 160 milioni di dosi), in quali tempi e in quali modi recapitarle a Roma. L'Italia ha già anticipato 94 milioni per l'operazione ma paradossalmente non ha facoltà di dialogo con i fornitori, non conosce l'interlocutore scientifico e tantomeno il procedimento adottato. In questo modo l'organizzazione risulta sbilanciata. Questo ruolo da semplice scambio ferroviario camuffato da cabina di regia evidenzia ancora una volta la volontà di Palazzo Chigi di intestarsi i facili meriti di un successo in nome della Ue e di scaricare senza pietà sulle Regioni i possibili problemi di diffusione delle fiale sul territorio. A Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Francesco Boccia il piacere della solenne conferenza stampa benedicente; a Stefano Bonaccini, Attilio Fontana, Luca Zaia, Vincenzo De Luca la grana e le polemiche di una distribuzione al buio.Nessuno stupore, l'ambiguità e lo scaricabarile (questo sì molto scientifico) sono la cifra del governo dall'arrivo del paziente zero. Ma in questo caso sapere banalmente per tempo se saranno consegnati prima i vaccini da conservare a -75 gradi o quelli a -15, dettagli sulla profilassi o sulle procedure non sarebbe cosa banale. Con Domenico Arcuri, detto Blitzkrieg, nei paraggi ogni precauzione ulteriore sarebbe necessaria, invece si staglia un nuovo pasticcio. Più la parola vaccino impazza, più l'italiano diffida. Dategli torto.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.