2022-02-08
«I veri missionari aiutano i giovani a rimanere o a tornare in Africa»
Nel riquadro, don Bonifacio Duru (Ansa)
Il prete nigeriano don Bonifacio Duru: «A Sanremo si è parlato di razzismo in modo superficiale. Dire “accoglienza” non basta. Ci son ragazzi pieni di vita che vengono qui a perdere tempo, anziché contribuire allo sviluppo dei loro Paesi».Una cosa è certa: a don Bonifacio Duru, sacerdote e padre fondatore dell’omonima associazione, non si può rimproverare di non conoscere l’Africa dato che è proprio da lì che, nel 1997, per volontà del suo vescovo, era partito per raggiungere l’Italia, e ci è stato anche recentemente. Anche perché è lì, nel territorio della diocesi di Orlu, Stato di Imo nel sud est della Nigeria, che è concentrato l’impegno della realtà da lui fondata. Opera Don Bonifacio Azione Verde è infatti attiva per l’istruzione e la formazione dei giovani africani. Proprio per questa sua conoscenza approfondita della situazione africana, il sacerdote non pare aver gradito come al festival di Sanremo, con l’intervento dell’attrice Lorena Cesarini, si è affrontato il tema del razzismo. La Verità lo ha avvicinato per capire meglio.Padre, perché ha detto che Lorena Cesarini «avrebbe potuto evitare gli atti di razzismo se fosse rimasta in Africa»? «È stato il giornalista che mi ha intervistato ad aver messo quel titolo. In realtà, il contenuto della mia dichiarazione non era realmente centrato sulla Cesarini. Riguardava altro».Che cosa? «Il fatto che noi tutti, ormai, parliamo del razzismo, ma non riusciamo ad interpretare bene il fenomeno. Questo era ciò che volevo dire in quell’intervista, che peraltro ho rilasciato in aereo, mentre stavo rientrando dalla Nigeria. Intendevo dire che abbiamo bisogno, tutti, di chiarirci sulla questione razziale, dato che non ogni atto di rifiuto si può definire come razzismo».In effetti. «Quando due culture si incontrano, c’è un conflitto. Ma questo conflitto è naturale e normale. Quello che bisogna fare è dunque intervenire educando due lati, quello chiamato all’accoglienza, ma anche l’altro. Se noi non riusciamo a capire questo fatto, continueremo a risentirci per essere stati chiamati «persona di colore» o «uomo bianco». Il fatto è che però queste sono identità, e non implicano cattiveria».A Sanremo quindi, come già avvenuto altrove, si è trattato in modo superficiale il tema del razzismo. «Certo, superficiale. Anzi, molto superficiale. Quello che serve, come ho già detto, è lavorare sull’educazione di entrambe le culture che vanno ad incontrarsi. In situazioni così, nessuno può dire «io ho ragione e tu no». Non voglio difendere né accusare la giovane che è andata a Sanremo, ma solo sottolineare un concetto: qui in Italia c’è molta gente bravissima e accogliente. Ci sono poi alcuni che, per ignoranza o per paura dello straniero, tendono a comportarsi male, ma questo accade in qualunque cultura. Il male vero arriva quando si cade nella segregazione. Ad ogni modo, la giovane che ha parlato a Sanremo non è straniera, ma italiana. Ed ha espresso il suo punto di vista, ma quanti vivono di più il problema del razzismo, oggi, probabilmente non hanno neppure la possibilità di denunciarlo».Tra l’altro al settimanale Oggi, il 27 gennaio, la Cesarini aveva dichiarato: «Non sono mai stata vittima di razzismo». Poi però all’Ariston ha detto: «Non è vero che sono un’italiana come tante, resto una nera». Un po’ contraddittorio, no? «Guardi, come ho già detto, il fatto di essere neri non deve spaventare nessuno; così come il fatto di essere bianchi non deve spaventare nessuno. Che siano neri o bianchi, i bambini devono essere educati ad abbracciare la società in cui si trovano. Questo deve essere il nostro impegno, come mondo adulto e come istituzioni».Ritiene importante consentire ai giovani, suoi conterranei, di restare in Africa? «Sì, questo per me è importante. Non basta accogliere. Perché accogliere chi scappa dalla guerra e dalla fame va bene, ma se noi vogliamo cambiare davvero la sorte dell’Africa i giovani devono essere preparati ed educati là. Possono essere loro, e solo loro, i veri protagonisti dello sviluppo della loro terra. Per questo sono contrario anche ad un certo modo di vedere l’adozione, che intende i bambini quasi fossero delle mascotte, ma loro non sono delle mascotte bensì esseri umani da educare e formare. Ed è questo lo sforzo che anche la mia associazione fa, e sono contento di poterne parlare ogni volta che ne ho la possibilità».Qualche anno fa lei definì il sistema d’accoglienza d’Europa come utile solo a «dare lavoro ai disoccupati». La pensa ancora così? «Certo, lo sappiamo tutti, non solo io, come funziona l’accoglienza. Ci sono ragazzi pieni di vita ma che arrivano qui, di fatto, a perdere tempo. E questo è dunque solo un altro modo per distruggere la possibilità dello sviluppo dell’Africa. Perché accogliere questi ragazzi va bene, ma senza un programma che senso ha tenerli qui?».La pensa dunque come san Daniele Comboni, che riteneva decisivo «salvare l’Africa con l’Africa» «Certo, l’Africa deve essere africana. E purtroppo un certo approccio, di fatto, non ha portato alcun vero risultato. Ci sono invece degli italiani che stanno dando delle borse di studio e sostenendo la formazione di giovani che studiano in Africa o che studiano per tornare in Africa. Questi sono i veri missionari».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)