2024-01-19
I professionisti dell’odio «scoprono» che sui social ci sono odiatori
Gli ultimi casi di cronaca hanno riportato influencer e opinionisti vari alla realtà. Eppure, dopo aver sparso veleno in Rete e in tv durante i tempi bui del pensiero unico pandemico, ora si mettono anche a farci la morale.Che bravi: sono tutti lì a scrivere che «bisogna riflettere», che tocca farsi un esame di coscienza, che «siamo tutti coinvolti» ed è ora di farla finita con l’odio. All’improvviso hanno scoperto l’esistenza dell’odio in Rete, il narcisismo e il risentimento degli internauti, la pericolosità insita nella disumanizzazione del poveraccio o della poveraccia che vengono individuati come bersagli delle tempeste digitali indotte. Politici, filosofi, sociologi, persino qualche sacerdote come Antonio Spadaro, e gli immancabili giornalisti: tutti in fila con la lacrimuccia, che spettacolo. Tra i tanti si è distinto ieri Luca Bottura con un editoriale forse trascurabile ma comunque emblematico di un modo di pensare parecchio diffuso. Il battutista spocchiosetto, sulla Stampa, si è concesso di tromboneggiare un po' (non gli è riuscito benissimo: di Michele Serra ce n'è uno solo) e ha voluto impacchettare una gustosa lezioncina all’indirizzo prima dei politici e poi dei giornalisti, a suo dire responsabili della diffusione dell’astio tanto quanto influencer e smanettoni. Bottura racconta con piacevole ironia di essere «stato bersaglio di cosiddette shitstorm (storm significa tempesta, shit significa talk show di prima serata) cagionate dalla Bestia di Salvini, dalla Bestiolina di Renzi e dal padre di tutti gli attacchi alla stampa: il blog di Beppe Grillo». Siamo molto solidali con l’autorevole firma, e seriamente riteniamo che siano spiacevoli e sconvenienti le rozzezze mediatiche della politica contemporanea. Riteniamo pure che il giornalismo e il mondo intellettuale più in generale abbiano la loro bella collezione di colpe, anche se a differenza degli influencer i cronisti sono sottoposti al rigido vaglio di un Ordine e se scrivono scemenze rischiano grosso. In ogni caso, è proprio sul giornalismo che vale la pena soffermarsi un momento. Bottura, per criticare la categoria a cui in qualche modo appartiene, sceglie un professionista che chiama «giornalista» (lo scrive così, tra virgolette) e che paragona al direttore di un circo. Dopo averlo osservato in un dibattito su Rete 4, lo descrive in questa maniera: «Un tizio che conduce sullo stesso canale una specie di fiction a puntate sulle occupazioni dei rom (e solo dei rom) nella quale si traveste da vigile urbano fischiando come un forsennato, spacca le zucche con una mazza da baseball per protestare contro Halloween, gira in monopattino urlando il nome del suo regista». Ora, non è che ci interessi difendere colleghi che si difendono benissimo da soli (e da che attacchi, poi...). Piuttosto, l’intemerata di cui sopra risulta utile a svelare come funzionino le cose in Italia. Coloro che oggi fingono contrizione e invitano a «sentirsi responsabili», tutti i commossi e commoventi pensatori progressisti che adesso frignano per la violenza endemica, da anni quella stessa violenza la alimentano e la praticano. La utilizzano nei confronti di quelli che ritengono essere i loro avversari politici o mediatici, che si premurano di ritrarre ogni volta come subumani, venduti, idioti, razzisti, nazisti eccetera. La sinistra intellettuale italiana è portatrice per niente sana di una forma feroce di razzismo che si manifesta tramite il costante disprezzo del diverso, la costante repressione del pensiero difforme. Sono intolleranti proprio come la sentina social che adesso biasimano, e non perdono occasione di ricordarlo. Sta di fatto, precisiamo, che il «tizio» ritratto con tanta acredine da Bottura sia stato uno dei pochissimi, e in certi momenti il solo in tv, a indagare le magagne della tirannia pandemica e a mostrare rispetto verso persone che la firma della Stampa e i suoi amichetti maltrattavano quotidianamente. Bottura intanto scriveva di provare compassione per i renitenti al vaccino, di considerarli complottisti a cazzo, e mentre quelli perdevano il lavoro lui faceva il suo (sporco) coprendoli di fango. I geniacci della sua compagnia di giro tipo Fabio Fazio, nel frattempo, abbronzavano con i riflettori Roberto Burioni, le sue esplosioni di ira e i suoi strafalcioni sul virus e invitavano a temere i bambini non vaccinati.Ecco, questo è l’odio e il rancore e il razzismo che hanno sparso. E hanno continuato a spargerlo in seguito, esattamente come lo spargevano già prima della pandemia, riversando colate di disgusto su chiunque non appartenesse al novero degli eletti. Servilismo e sicumera marinate nell’arroganza sono state le migliori qualità espresse dagli illustri pensatori italiani, i quali si sono confermati incapaci di pietà almeno quanto privi di coraggio e senso critico. Ora vogliono riflettere? Si guardino pure allo specchio.
Jose Mourinho (Getty Images)