A Parma e Piacenza i decessi nel 2020 sono saliti del 79%, contro il 9,5% di Milano e Lodi. Stesso andamento nelle case di riposo per cui è finito nel mirino il governatore lombardo Attilio Fontana: +10% contro +75,9%. Ma nessuno vuole commissariare Stefano Bonaccini.
A Parma e Piacenza i decessi nel 2020 sono saliti del 79%, contro il 9,5% di Milano e Lodi. Stesso andamento nelle case di riposo per cui è finito nel mirino il governatore lombardo Attilio Fontana: +10% contro +75,9%. Ma nessuno vuole commissariare Stefano Bonaccini.Mentre si invoca la concordia nazionale per uscire dall'emergenza, si continua ad attaccare la Lombardia, quasi che l'epidemia sia colpa di questa Regione e dei suoi vertici, che l'avrebbero per negligenza attaccata alle altre. I lombardi sono stati accusati di lavorare troppo e di pensare solo agli affari, mettendo in secondo piano la salute e pure le vite umane. E la giunta che li rappresenta è da giorni sul banco degli imputati per non aver saputo fronteggiare il contagio, ma addirittura, con il suo comportamento, per averlo aggravato. La prova di tutto ciò? L'alta mortalità registrata da quando, il 21 febbraio, si è scoperto il primo malato di Covid-19.È evidente che in questo attacco, che ormai va avanti da un paio di settimane, ci sia molta malafede. E non perché a muoverlo sono esponenti che in qualche modo fanno riferimento alla maggioranza, sindaci del Pd, sindacati o quotidiani della stessa parrocchia politica, ma perché se gli accusatori fossero in buona fede guarderebbero anche che cosa è accaduto in altre regioni, a cominciare da quelle rosse. I numeri non mentono e basta osservarli, prendendoli dal sito dell'Istat (Istat per il Paese, http://www.istat.it/it/archivio/241428). Se, per esempio, si consultano i dati della mortalità, mettendo a confronto quelli che vanno dal primo di gennaio al 4 aprile del 2019 con i decessi registrati nello stesso periodo del 2020, si scopre che l'incremento del tasso di mortalità sulla popolazione di Milano città, sia in valori assoluti che in termini percentuali, è assai meno impressionante di quanto ci si immagini. In totale, i morti in più sono stati 264, contro i 398 di Piacenza e i 329 di Parma. In percentuale questo significa che il tasso di mortalità a Milano è aumentato sì per effetto del Covid, ma del 6,6 per cento, mentre a Lodi dell'84,9 per cento, a Piacenza del 124 per cento, a Parma del 55,79 per cento, nonostante la città emiliana sia lontana da Codogno, dove si è registrato il primo focolaio, più di quanto lo sia Milano. Se si sommano i decessi di Milano e Lodi, stiamo parlando non delle province ma dei capoluoghi, mettendoli a confronto con quelli registrati a Piacenza e Parma, si capisce che sostenere la tesi della disfatta del modello meneghino nei confronti di quello bolognese è una sciocchezza, perché l'incremento della mortalità nelle due città lombarde si ferma al 9,5 per cento, contro il 79,7 di quelle emiliane. Si dirà, ma ci sono dei numeri veri e c'è una strage che riguarda in particolare le persone più anziane, le quali non sono state protette adeguatamente. È vero, la mortalità tocca in particolare la popolazione con età superiore ai 75 anni. Gli esperti ce lo hanno spiegato in tutti i modi, forse per tranquillizzarci, per farci credere che il Covid-19 era meno pericoloso di quel che qualcuno - pochi - diceva e non riguardava la cosiddetta popolazione attiva, ma quella più anziana, che - guarda caso -si trova in massima parte nelle Rsa. E allora vediamo anche i dati che riguardano i settantenni a Milano, che in questi giorni sono usati per dimostrare l'inadeguatezza del sistema sanitario e assistenziale della Lombardia. L'epidemia ha colpito gli anziani in tutto mondo e, secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, il tasso di letalità fra gli over 80 supera il 30 per cento. Se si considera poi che nelle Rsa, quelle che chiamano residenze sanitarie, ma che in realtà altro non sono se non case di riposo, ci sono molti anziani non autosufficienti e comunque con molte patologie, è facile immaginare che siano persone a rischio. Non si può poi dimenticare che Milano, con il suo forte sistema di welfare e dunque più residenze, ha un numero di ricoverati nelle case di riposo che è superiore, in numeri assoluti ma anche in termini percentuali, a quello di altre città, tipo Lodi, ma anche rispetto a Piacenza e Parma.Tutto chiaro? Bene. E allora vediamo la situazione di città dove il modello è quello emiliano, delle Regioni rosse, per capire come sia stata affrontata l'epidemia. In teoria, essendo migliore la reazione del sistema sanitario, o per lo meno questo è ciò che scrivono ogni giorno le gazzette della sinistra, l'incremento della mortalità dovrebbe essere contenuto. E invece no. Con sorpresa, si scopre che la percentuale di decessi di anziani a Piacenza e Parma è superiore a quella di Milano e di Lodi. Gli stessi dati si ottengono se si guardano altri focolai, prendendo per esempio a riferimento gli indici fra gli anziani a Bergamo, Brescia e Pesaro. Cioè, a Milano, nelle case di riposo, non c'è stato un tasso di mortalità superiore dovuto alla gestione delle Rsa o alle scelte dei vertici della Regione. I numeri smentiscono questa tesi, perché, se si guardano senza gli occhiali del pregiudizio, in percentuale ci sono più defunti altrove. Ma siccome si tratta di amministrazioni rosse è meglio non dirlo, altrimenti tutte le tesi ammassate per commissariare una delle poche Regioni con una sanità in ordine cadrebbero come un castello di sabbia. Lo abbiamo dimostrato qualche giorno fa usando i titoli delle cronache locali di Repubblica. Nonostante in tutte le regioni dove governa la sinistra ci fossero indagini, il quotidiano che invocava Mani pulite nelle case di riposo milanesi ha preferito tacere nell'edizione nazionale le notizie. Vedremo oggi che farà, come tratterà la Guardia di finanza alla Pisana, la sede della regione amministrata da Nicola Zingaretti. Titolerà Mani pulite anche nel Lazio? Si accettano scommesse.
Elly Schlein (Ansa)
All’evento di Fratelli d’Italia ci saranno i leader d’opposizione Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Roberto Gualtieri, Roberto Fico e persino Luigi Di Maio. Spicca l’assenza del segretario dem (e di Maurizio Landini) mentre numerosi esponenti del Nazareno hanno accettato i confronti. Presente Abu Mazen.
L’edizione di Atreju di quest’anno ospiterà tutto il governo e tutta l’opposizione tranne la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. A tenerle buona compagnia anche il segretario della Cgil, Maurizio Landini. L’uno e l’altra assenti ingiustificati: Elly, una volta invitata, prima ha preteso di dettare condizioni, poi ancora una volta si è tirata indietro. Per la Cgil il discorso è diverso: l’invito quest’anno non sarebbe neanche partito. «Negli anni passati abbiamo posto l’invito alla Cgil e non è stato gradito, quest’anno non abbiamo voluto insistere per non metterli in difficoltà», spiega il deputato e responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli. Non solo Landini quindi, assente qualsiasi esponente del sindacato che guida, mentre i leader delle altre sigle (il presidente della Uil Pierpaolo Bombardieri, il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, e il segretario generale della Cisl, Daniela Fumarola) saranno ospiti di un panel che si terrà l’11 dicembre con il ministro del Lavoro, Marina Calderone, e la deputata del Pd Paola De Micheli.
Carlo Nordio (Ansa)
Interrogazione urgente dei capogruppo a Carlo Nordio sui dossier contro figure di spicco.
La Lega sotto assedio reagisce con veemenza. Dal caso Striano all’intervista alla Verità della pm Anna Gallucci, il Carroccio si ritrova sotto un fuoco incrociato e contrattacca: «La Lega», dichiarano i capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, «ha presentato un’interrogazione urgente al ministro Carlo Nordio sul caso del dossieraggio emerso nei giorni scorsi a danno del partito e di alcuni suoi componenti. Una vicenda inquietante, che coinvolge il finanziere indagato Pasquale Striano e l’ex procuratore Antimafia Federico Cafiero de Raho, attualmente parlamentare 5 stelle e vicepresidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Ciò che è accaduto è gravissimo, pericoloso, e va oltre ogni logica di opposizione politica», concludono, «mettendo a rischio la democrazia e le istituzioni. Venga fatta chiarezza subito».
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.






