2019-06-07
I giudici li liberano, gli africani si scatenano
A Roma nigeriano aggredisce i carabinieri ma viene subito scarcerato e picchia un portantino e una donna. A Padova tunisino pesta due poliziotti, però il magistrato non lo ingabbia e lui appena fuori dà in escandescenze su un tram. Forze dell'ordine su tutte le furie.La furia cieca si è scatenata contro chiunque si trovasse avanti a loro: poliziotti, carabinieri, infermieri, passeggeri di un tram, una passante. Entrambi sono stati arrestati, processati per direttissima e rilasciati. Ed entrambi sono tornati subito a commettere reati gravissimi. Il bug nei meccanismi giudiziari ha prodotto diversi feriti e procedimenti penali che si sono aggiunti a quelli già in corso. Il primo cortocircuito, a Padova, dove un tunisino a petto nudo ha dato di matto, cercando di sfuggire agli agenti durante un controllo e, dopo l'arresto e la condanna per direttissima, è tornato a creare scompiglio. Il secondo, con protagonista un nigeriano, si è verificato nella capitale, dove l'immigrato ha massacrato di botte un portantino del Policlinico Umberto Primo ed è scappato dall'ospedale per evitare l'espatrio. Il terzo caso è accaduto a Modena: alcuni detenuti di religione musulmana hanno festeggiato la fine del ramadan ubriacandosi con una bevanda superalcolica ricavata artigianalmente facendo macerare della frutta. In preda ai fumi dell'alcol si sono scatenati in una maxi rissa, aggredendo gli agenti della polizia penitenziaria e altri detenuti.I sindacati delle forze dell'ordine sono andati su tutte le furie, perché di mezzo, nel silenzio generale, ci vanno sempre i tutori dell'ordine pubblico.Il tunisino, ad esempio, martedì, dopo un lungo inseguimento di corsa nel centro cittadino, facendosi largo tra le auto, quando gli agenti di una volante sono riusciti ad acciuffarlo, li ha colpiti ripetutamente in modo violento, procurando loro lesioni da cinque e sette giorni di prognosi. Ovviamente è stato arrestato con le accuse di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Ed è anche stato processato per direttissima. Il giudice, però, mercoledì sera ne ha contestualmente disposto il rilascio. E il tunisino è tornato alla carica, in un'altra zona della città, a bordo di un tram, dove ha litigato con alcuni passeggeri, minacciandoli e urlandogli contro. L'aspetto inquietante è che si tratta di un soggetto recidivo: le denunce di martedì e mercoledì si sono aggiunte a quelle per aver aggredito, all'inizio di maggio, il titolare cinese di un bar. Nel 2009, poi, era stato accusato di tentato omicidio per l'accoltellamento di un giovane connazionale. Il movente? Secondo l'accusa lo riteneva un informatore della polizia. Una storia dalla quale, come ricostruito dal Gazzettino, è poi uscito pulito. Ed è sempre il Gazzettino a ricordare che dopo quel processo l'intemperante nordafricano avrebbe continuato a collezionare denunce: furto, spaccio, rissa, violenza.Dal Sap, il sindacato autonomo di polizia, ci sono andati giù duri: «Da un controllo si è accertato che il soggetto in questione era già stato fermato innumerevoli altre volte dalle forze dell'ordine per gli stessi reati, per violenza in famiglia, reati di spaccio e chi più ne ha più ne metta. Nel rispetto delle decisioni assunte in piena autonomia dalla magistratura ci chiediamo però di quali altri reati si debba ancora macchiare questo tunisino, che nonostante una sfilza di precedenti è già tornato in libertà». Anche il sottosegretario Massimo Bitonci ha stigmatizzato l'accaduto: «A seguito del processo per direttissima, il tunisino è stato rimesso in libertà, vanificando cosi il duro e rischioso lavoro degli operatori della sicurezza. Auguri di pronta guarigione ai due agenti rimasti feriti». Qualcosa insomma non funziona. Basta andare indietro di 48 ore per registrare un altro caso: a Roma un infermiere è stato picchiato a sangue. Il video dell'aggressione è stato pubblicato su Twitter da Giorgia Meloni. E pensare che Alukwe Okecku, quarantottenne di nazionalità nigeriana, era appena uscito dal carcere di Velletri, dove aveva scontato una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione per violenza sessuale, resistenza al pubblico ufficiale e lesioni. Il nigeriano aveva a suo carico un decreto di espulsione e doveva essere accompagnato nel centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza. Ma mentre si trovava in viaggio sull'auto di servizio dei carabinieri, ha aggredito i militari, che per riuscire a fermarlo hanno dovuto chiamare i rinforzi. Okecku ha trascorso una notte in cella in caserma, dove si è procurato un taglio alla testa. È per questo motivo che è stato accompagnato in ospedale. Lì si è scagliato contro il portantino. Dopo averlo lasciato a terra è fuggito. Una follia che gli è costata un'accusa di tentato omicidio. Dopo una caccia all'uomo, i carabinieri della compagnia di Roma Centro, lo hanno rintracciato mentre si trovava all'interno dell'Ospedale Santo Spirito. Lì era arrivato con un tso, il trattamento sanitario obbligatorio, dopo aver aggredito una ragazza per strada prendendola a schiaffi alla Stazione Termini. Il tutto perché al processo per direttissima il giudice ha convalidato l'arresto senza ritenere opportuna alcuna misura cautelare che, secondo le valutazioni della toga, non erano compatibili con le sue condizioni di salute. Il giudice inoltre ha espresso dubbi sull'origine della ferita riportata dallo straniero e, per questo motivo, ha chiesto che venissero svolti accertamenti sui carabinieri. Di mezzo ci vanno sempre loro.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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