2020-07-21
I giallorossi sprovvisti di un piano B. Così il pericolo è un destino greco
Giuseppe Conte si è presentato ai tavoli senza mai avere una reale alternativa ai tanto agognati fondi europei. Il risultato è che lo spettro di Atene è più vicino: gettito in picchiata, tagli ai servizi e addio infrastrutture.La lenta agonia del tira e molla europeo (e che ci vede uscire perdenti se non nell'importo, nelle tempistiche e nell'indipendenza decisionale) ci porta a riflettere sui fondamentali che stanno alla base di qualunque trattativa. Domanda, offerta e alternativa. Il governo giallorosso è sbarcato a Bruxelles fissando l'asticella al punto più alto e dichiarando di non poter scendere, pur ammettendo, appena seduto al tavolo, di non avere altro da dare in cambio. Infatti, appena sbarcato a Bruxelles, Conte ha subito accettato la revisione al ribasso del Recovery fund di certo nelle tempistiche di erogazione e pure l'indurimento dei termini di governance. D'altra parte, il fronte dei cosiddetti «frugali» ha capito subito di dover giocare il ruolo dei duri e puri per gestire l'opinione pubblica interna e, al tempo stesso, per trattare da un punto di maggiore forza le deleghe comunitarie all'asse franco-tedesco. In pratica, il gruppo legato all'Olanda ha sparato altissimo con l'obiettivo ufficiale di penalizzare il Mediterraneo, ma con l'idea di minare la stabilità del sistema decisionale in capo alla Commisione Ue e quindi ottenere un ruolo al fianco di Francia e Germania, quando ci sarà da prendere le decisioni importanti. Ci riferiamo al fatto che una fetta del Recovery fund sarà costituita da affidamenti diretti, finanziati dalla fiscalità comune. In primis dalla Web tax e dalla Carbon tax, ma anche da scelte mirate che finiranno con il sostenere o deprivare singole filiere produttive. Essere tra chi sceglie le entità e le tipologie dei prelievi Ue del prossimo decennio fa la differenza tra diventare un Paese primario o gregario. Per questo i «frugali» si sono battuti con tanto chiasso a Bruxelles in questi giorni. L'Italia è stata invece una pedina estremamente prevedibile, anche perché - e qui veniamo al terzo pilastro fondamentale di ogni trattativa - si è presentata a Bruxelles senza un piano B. Senza alcuna alternativa. Il messaggio? Ci servono soldi, il maggior importo possibile e poi come restituirli non importa. Un messaggio da affamati. In questi mesi i giallorossi hanno puntato tutto sui soldi in arrivo dall'Ue. Che fossero quelli del Mes o i mirabolanti «euromiliardi» (parafrasando Repubblica, ndr) del Recovery fund poco importa. Non si è insistito politicamente sul ruolo decisivo della Bce, né di Bankitalia. Non si è battuta la strada del Fmi, né di altre emissioni patriottiche, pur essendoci i margini. Così il bivio attuale porta o ai fondi dell'Europa o al default sovrano. In ogni caso se il nostro Paese non riesce a invertire la rotta nel breve tempo e far ripartire l'industria, l'Italia rischia la grecizzazione. Tagli brutali dei servizi e degli assegni pensionistici e cessione delle infrastrutture strategiche. Uno scenario scontato se dovessimo fare default e possibile se l'accettazione dei fondi europei comporterà condizioni capestro in grado di cambiare il welfare tricolore, ma anche la strutture produttiva della Penisola. D'altronde fino a oggi il governo non ha fatto nulla per fare in modo che le aziende tornino a correre l'unica preoccupazione è sussidiare le imprese morte. Esattamente quanto è accaduto in Grecia. Non è questione di essere menagrami, ma di unire i puntini.Giuseppe Conte ha affrontato la pandemia dal punto di vista economico e sociale a suon di Dpcm e decreti. Ha sfruttato la sospensione del Patto di stabilità chiedendo, a oggi, al Parlamento di sforare per soli 80 miliardi, impegnandosi a spostare altri 100 miliardi di deficit di bilancio nei prossimi anni, quando ritornerà in vigore il Patto di stabilità. Una follia controproducente. Nel frattempo ha usato questi soldi per erogare bonus a famiglie e professionisti che hanno sofferto il lockdown e per distribuire ammortizzatori a chi è rimasto senza lavoro. A fine mese, Conte tornerà in Aula a chiedere altri 18 miliardi di deficit per rifinanziare la cassa integrazione, i cui fondi si esauriranno appena dopo Ferragosto. Sul tavolo non c'è altra strategia. Se non andare avanti a sussidiare chi perde il posto. Non essendo noi l'Arabia Saudita dei tempi d'oro, se le aziende non producono e lasciano a casa le persone prima o poi i fondi per finanziare la Cig finiscono e se non si torna a creare ricchezza il Paese fa default. Il governo si è dunque presentato al Consiglio Ue in un posizione di estrema debolezza, nel momento in cui ha ignorato la richiesta del Nord produttivo di stoppare le imposte. Il messaggio arrivato ai partner europei è molto semplice. La macchina statale non si finanzia più da sola. Ad aprile Conte ha fatto indebitare le imprese (grazie a soli 2,9 miliardi di garanzie statali) per 52 miliardi e ieri gliene ha chiesti indietro più di 30. Come dire, se le Pmi non versano all'Erario, lo Stato non riesce a pagare gli stipendi della Pa né le pensioni. Quando arriveremo a dicembre e ci renderemo conto che il gettito complessivo del 2020 sarà sceso di almeno un 25%, a quel punto l'Unione europea avrà lo strumento del Recovery fund, ma chiaramente detterà la linea sulle riforme in cambio dei prestiti e delle sovvenzioni. Patrimoniale e taglio delle pensioni. Liberalizzazione del mercato delle infrastrutture e cessione di sovranità industriale. Ricorda Atene? Vedremo.
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