
Donald Trump ha buone carte in Florida. Ma anche se dovesse vincere lì, il vice di Barack Obama potrebbe rimanere a bocca asciutta: gli servono pure Rust belt e Stati del Sud. Senza contare che i democratici rischiano di essere battuti in Nevada e Minnesota.I sondaggi continuano a dare in testa Joe Biden. Eppure, se andiamo a vedere nel dettaglio la mappa elettorale, la situazione appare più complessa di quanto sembri. Posto che disarcionare un presidente in carica è sempre difficile, il candidato dem - per riuscire a raggiungere la fatidica soglia dei 270 grandi elettori - dovrebbe spaccare la coalizione di Stati che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca quattro anni fa. Le strade che Biden ha a disposizione sono molteplici. Ma nessuna è in discesa. Una prima possibilità è che l'ex vicepresidente riesca a espugnare la Florida: uno scenario che infrangerebbe probabilmente ogni sogno di riconferma per Trump. È difatti dal 1924 che un candidato repubblicano non riesce a vincere le presidenziali senza conquistare il cosiddetto Sunshine State. Il punto è che un'impresa del genere non si preannuncia troppo facile per Biden. È vero che in loco l'ex vicepresidente sembra stia riuscendo ad accaparrarsi il voto degli anziani delusi dalla gestione della pandemia. Ma è altrettanto vero che, in Florida, Trump sta guadagnando terreno tra gli ispanici, giocandosi le carte della libertà religiosa e dell'anticastrismo. Una strategia che sembra funzionare. L'istituto di sondaggi Rasmussen dà infatti Trump avanti di 3 punti, mentre la media sondaggistica di Real clear politics vede i due candidati appaiati. Fermo restando che all'ex vicepresidente dem non basterebbe sottrarre al rivale solo il Sunshine State. In caso di mancata conquista della Florida, Biden - per vincere - dovrebbe esser capace di far breccia nella Rust belt. E, sotto questo aspetto, ci sono due scenari. Nel primo caso, qualora tutti gli Stati trumpisti nel 2016 confermassero l'appoggio al presidente, Biden dovrebbe riuscire a strappare a Trump Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Nel secondo caso, qualora qualche Stato trumpista nel 2016 «tradisse» l'inquilino della Casa Bianca, all'ex vicepresidente basterebbero due Stati della Rust belt. Attenzione: non è detto che Biden non riesca nell'impresa. Durante le primarie ha sconfitto in quest'area Bernie Sanders, confermandosi potenzialmente competitivo sul fronte del voto operaio, particolarmente forte in questa zona. Non poche incognite tuttavia restano. In primis, la posizione aleatoria di Biden sulla fratturazione idraulica spaventa non poco i colletti blu della Pennsylvania e - non a caso - Trump è andato all'attacco su questo fronte nel dibattito televisivo di giovedì. Infine, non dimentichiamo che secondo il Pew research center il presidente è avanti oggi nel voto cattolico bianco e che Pennsylvania, Michigan e Wisconsin sono Stati in cui gli elettori cattolici hanno un forte peso. Non è quindi un caso che, secondo Real clear politics, il vantaggio che oggi Biden detiene nella Rust belt è inferiore a quello di Hillary Clinton nell'ottobre 2016. Un ulteriore fattore da considerare è poi quello del potenziale tradimento di alcuni Stati trumpisti. Sotto questo aspetto, il rischio riguarda Arizona, Iowa e Georgia. Qualcuno ipotizza anche il Texas, per quanto - nonostante i sondaggi- resti improbabile possa votare democratico. Tralasciando quindi la Stella solitaria, se anche Biden dovesse strappare alla coalizione di Trump Arizona, Georgia e Iowa, non riuscirebbe comunque a spuntarla, senza conquistare almeno uno Stato della Rust belt: il presidente resterebbe infatti a quota 273 grandi elettori. Tutto questo, senza poi trascurare che anche Biden rischia il «cambio di casacca» di due Stati, rispetto al 2016. Parliamo di Nevada e Minnesota: aree in cui l'attuale presidente riscontra delle difficoltà, ma che restano contendibili (soprattutto il Nevada, dove Trump potrebbe tentare il colpaccio grazie agli ispanici). Resta poi l'incognita di un pareggio a 269 grandi elettori ciascuno: uno scenario che potrebbe per esempio verificarsi se Biden riuscisse a strappare al presidente esclusivamente Michigan, Pennsylvania e la totalità del Maine. In tal caso, nessuno dei candidati raggiungerebbe il quorum e - qualora la situazione non cambiasse in sede di elezione di secondo grado - la decisione finale spetterebbe alla Camera dei rappresentanti appena eletta (il 3 novembre si voterà infatti anche per rinnovare la totalità della Camera e un terzo del Senato). Il punto è che, in caso, la Camera non si esprimerà per singolo deputato ma per singolo Stato: ragion per cui, anche qualora i repubblicani dovessero restare in minoranza, potrebbero avere i numeri per far vincere Trump (pur essendo in minoranza, l'Elefantino controlla alla Camera 26 delegazioni statali su 50).
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)
L’aggressore è un gambiano con una lunga fila di precedenti, però si era visto accordare la protezione speciale per restare in Italia. I clandestini sono 50 volte più pericolosi, ma sinistra e magistrati legano le mani agli agenti.
Vittime sacrificali di criminali senza pietà o effetti collaterali della «inevitabile» migrazione di massa? In questo caso il grande abbraccio che tanto intenerisce la Cei si concretizza con un pugno, una bottigliata, un tentativo di strangolamento, qualche calcione mentre era a terra, sputi, insulti. «Mi diceva che mi avrebbe ammazzata», scrive sui social Stephanie A., modella di origini brasiliane, aggredita lunedì sera nello scompartimento di un treno regionale Trenord della linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nella zona di Arcore. La giovane ha postato gli scatti dei colpi subìti ma anche alcune foto che ritraggono l’aggressore, fondamentali per identificarlo. Il suo appello non è caduto nel vuoto.
Per la sinistra, il crimine aumenta a causa dei tagli alle forze dell’ordine. Il governo ha assunto uomini, però polizia e carabinieri hanno le mani legate. Mentre le toghe usano i guanti di velluto con facinorosi e stranieri.
Ogni giorno ha la sua rapina e la sua aggressione. La maggior parte delle quali fatte da clandestini. L’ultima è quella compiuta da uno straniero su un treno lombardo ai danni di una modella. Ma nonostante l’evidenza dei fatti c’è ancora chi si arrampica sugli specchi per negare la realtà. Non sono bastati gli ultimi dati del ministero dell’Interno, che mostrano un aumento dei reati commessi da immigrati quasi sempre senza permesso di soggiorno o addirittura con in tasca un foglio di espulsione dal Paese.
Ansa
Utile oltre le stime a 1,37 miliardi nei primi nove mesi del 2025. Lovaglio: «Delisting per Piazzetta Cuccia? Presto per parlarne».





