2018-09-14
La Francia ci dichiara guerra
Pierre Moscovici, socialista fallito, insulta l'Italia e ci fa la morale su fascismo e conti. Proprio mentre Parigi sfora il 3% e pensa al reddito di cittadinanza. È solo l'antipasto: il caso Orban mostra che a Bruxelles la democrazia sta diventando un guaio.Il nome di Pierre Moscovici non vi dirà niente, ma costui è un fallito di successo, che essendo un politico sconfitto in casa propria, cioè la Francia, è stato premiato con la nomina a commissario europeo per gli Affari economici e monetari. Di lui si sa che è stato ministro delle Finanze per meno di due anni, riuscendo a collezionare due declassamenti da parte delle agenzie di rating. Sulle spalle porta anche la responsabilità di essere stato il direttore della campagna presidenziale di François Hollande: se dunque l'ex marito di Segolene Royal è riuscito a liquidare il Partito socialista transalpino, facendogli perdere alle elezioni 250 seggi e costringendolo a vendere la sede storica di Parigi, diciamo che Moscovici ha dato una mano. Se vi parliamo del suddetto personaggio non è però per segnalarvene i trascorsi, ma semplicemente perché ieri, dall'alto della sua cattedra di Bruxelles, il commissario europeo ha ritenuto di doverci impartire una lezione. Durante una conferenza stampa, Moscovici se n'è uscito non solo con un ammonimento all'Italia, giudicata un problema per la zona euro, ma anche con un azzardato paragone. Ai cronisti accorsi a raccoglierne il verbo, l'esponente politico francese ha rilasciato le seguenti pillole di saggezza: «Oggi c'è un clima che assomiglia molto agli anni Trenta. Certo, non dobbiamo esagerare, chiaramente non c'è Hitler, forse dei piccoli Mussolini». Il tutto naturalmente condito con una serie di riferimenti all'Italia, sul tema dei migranti («L'Italia ha il ministro più nazionalista») e su quello della crescita economica («C'è bisogno di riformare l'economia»). Come era ovvio, le sue parole hanno infiammato gli animi, in quanto la chiamata in causa dei piccoli Mussolini è sembrata confezionata su misura per mettere nel mirino il nostro ministro dell'Interno, la vera bestia nera di Bruxelles e, soprattutto, dei francesi. Matteo Salvini si è scontrato più volte con Emmanuel Macron, sia per quanto riguarda gli immigrati che per le regole di bilancio. Che Moscovici reciti le tesi dell'inquilino dell'Eliseo dunque non stupisce, perfino per quanto attiene ai paragoni con gli anni Trenta e ai piccoli dittatori che crescono.Semmai ciò che colpisce è che il sermoncino parigino giunga il giorno dopo l'annuncio da parte della Francia dello sforamento del famoso tetto del 3 per cento di deficit. Siccome l'Italia è finita sul banco degli imputati a causa dell'intenzione di aumentare un po' la percentuale fra il disavanzo e il Pil, senza peraltro oltrepassare la linea del 3 per cento, sorprende che Moscovici ci faccia la predica mentre a casa sua se ne infischiano. È vero, durante la conferenza stampa al Commissario, è scappato di dire che anche a Parigi farebbero bene a rispettare il parametro, ormai considerato una specie di dogma di fede dell'europeista osservante. E però Moscovici non lo ha fatto con l'enfasi dedicata all'Italia. No, nessun riferimento a Mussolini e neppure a Petain o Le Pen. Quella è una carineria tutta riservata a noi. Fra l'altro, mentre l'ex deputato socialista si cimentava con le evocazioni degli anni Trenta, raccomandandoci di tenere sott'occhio la spesa pubblica, all'Eliseo se n'erano appena inventata una che somiglia molto a ciò che si discute in casa nostra. In pratica si tratta di una proposta di reddito di cittadinanza molto simile a quella che piace tanto ai 5 Stelle, idea che insieme alla flat tax, a Bruxelles vedono come il fumo negli occhi, in quanto l'Europa vorrebbe solo che l'Italia tirasse la cinghia.A questo punto crediamo che non ci sia bisogno di aggiungere altro per sottolineare lo strabismo dell'ex ministro di successo (il suo). Forte all'esterno e accomodante in casa: un atteggiamento che ci fa prevedere per lui una lunga carriera.Quanto al resto, i recenti episodi, tra i quali figura la censura nei confronti di Viktor Orban, dimostrano che a Bruxelles se ne fanno un baffo di ciò che decidono gli elettori. Che un tizio sia eletto da milioni di persone e abbia ricevuto un mandato per attuare misure economiche e politiche per l'Europa è un fatto di nessunissimo interesse. La democratica Ue se ne impipa delle decisioni dei governi e del sostegno popolare. Ciò che conta per la nomenklatura comunitaria sono solo le direttive predisposte dall'alta burocrazia europea. Dunque prepariamoci, perché quello che abbiamo visto in queste settimane con il governo Conte e con Salvini, è solo l'antipasto, ma i piatti forti devono ancora arrivare. Resta da stabilire chi pagherà il conto: se noi o loro, politici senza voti, ma decisi a non mollare.