Rispetto al 2015, il Pd guadagna seggi solo in Puglia. Affonda nelle Marche, cala in Veneto, Liguria e Toscana In Campania viene fagocitato dal presidente sceriffo. Eppure il segretario sta vagheggiando Palazzo Chigi.
Rispetto al 2015, il Pd guadagna seggi solo in Puglia. Affonda nelle Marche, cala in Veneto, Liguria e Toscana In Campania viene fagocitato dal presidente sceriffo. Eppure il segretario sta vagheggiando Palazzo Chigi.La sinistra ricominci da Zaia. Si potrebbe anche finire qui, con una vignetta, l'analisi della pittoresca sbornia piddina dopo una vittoria di cartapesta che Nicola Zingaretti si è intestato un minuto dopo la chiusura delle urne grazie ad alcune suggestioni da prima Repubblica. Per esultare, il mondo dem più numerosi media compiacenti hanno l'assoluto bisogno di guardare al Veneto e far notare con libidine il trionfo del governatore uscente. In chiave centrodestra dilagante? Certo che no, non avrebbe senso. In chiave anti Matteo Salvini, come se Luca Zaia fosse improvvisamente un leader del progressismo modaiolo. Non l'alter ego ma l'alter Lega. Trovatine da luna park.Meglio puntare i fari sul presunto Veneto fratricida che sul 15-5 nazionale (nel 2015 le regioni rosse erano 15 e quelle azzurre tre); meglio distrarsi con gli slogan che osservare andarsene anche le Marche da mezzo secolo feudo di sinistra; meglio parlare di voto disgiunto decisivo che osservare il crollo della Babele giallorossa in Liguria, dove l'alleanza organica ha portato all'epocale batosta. Nel giorno delle suggestioni può anche capitare che un segretario contento di non essere stato cacciato di casa dica: «Usciamo da forza trainante del Paese», «Siamo il primo partito d'Italia». Frasi possibili nel mondo analogico delle favole, un po' più difficili da digerire nella realtà iperconnessa, con i numeri davanti agli occhi 24 ore su 24.Questi numeri parlano più di un pentito di mafia, spiegano molto se non tutto. E fanno comprendere a chiunque che i fuochi d'artificio di Zingaretti servono solo come arma di distrazione di massa. Eccoli i numeri primi attorno ai quali ragionare senza sproloquiare: sono quelli degli scranni, dei seggi, dei luoghi deputati ad appoggiare i glutei. E per il Pd è difficile continuare la festa mobile perché di seggi ce ne sono molti meno. Toscana -2 (erano 24 e sono 22). Campania -7 (erano 15 e sono 8). Liguria -1 (erano 7 e sono 6). Marche -8 (erano 15 e sono 7). Veneto -2 (erano 8 e sono 6). Puglia +3 (erano 13 e sono 16). Totale seggi persi 17, un risultato che non meriterebbe il boato ma il silenzio. Eppure. Eppure Zingaretti è gaio perché le sue aspettative erano quelle d'una Caporetto che non è avvenuta: la Toscana ha retto esattamente come fece l'Emilia Romagna, dove la proposta politica del centrosinistra era egualmente modesta ma la chiamata alle armi antifa, come ultima spiaggia, funziona sempre. Eppure è contento perché gli alleati del Movimento 5 stelle sono andati perfino peggio, letteralmente scomparendo dai territori dove a malapena riescono ad arrivare al 10% di media. Al Nord non pervenuti come da tradizione, in Veneto con il 2,7% nessun grillino entra in Consiglio regionale. E questo sarebbe il trionfo della coalizione giallorossa. Sconfitta camuffabile da pareggino in casa con il centrodestra, sorpasso dei pentastellati nel peso specifico della coalizione governativa: ce n'è a sufficienza per Zingaretti, che stappa acqua minerale e, parlando di «stagione delle riforme», tende a perpetuare il suo immobilismo. Secondo solo a quello di Giuseppe Conte. Il segretario sa che in realtà si è trattato di un passo falso, quei seggi in meno sono un campanello d'allarme non secondario. E a questo se ne aggiunge un altro: i due governatori rieletti, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, sono solo formalmente legati al Pd. La battuta di un giornalista durante la Maratona Mentana è illuminante: «De Luca non aveva bisogno di combattere la destra, ce l'aveva già all'interno». Le incrostazioni geologiche della politica in Magna Grecia contano e pesano. Lo conferma l'esultanza di Clemente Mastella (le truppe mastellate erano già decisive ai tempi di Ciriaco De Mita) tornato a essere l'ago della bilancia con Noi campani per De Luca. Dopo avere occupato la scena multando Salvini da sindaco di Benevento, ieri ha detto: «La mia lista ha fatto il boom, al Sud c'è voglia di centro. Io, De Mita e i renziani insieme arriviamo al 15%». È un centrosinistra imbarazzante per Zingaretti, che incassa il risultato e guarda altrove. Non a Bari, dove le logiche di apparentamento di Emiliano sono simili se non più ardite. Per trovare un raggio di luce naturale e non al neon, il segretario deve guardare il volto terreo di Matteo Renzi. Vale a dire lo sconfitto principale, mister 2% inchiodato alla sua chiassosa irrilevanza. In Veneto, regione la cui mappa è stata appesa al muro del Nazareno, Italia viva ha preso lo 0,48% dimostrando di non avere ancora toccato il fondo. Prefisso telefonico che potrebbe indurre l'ex premier a liquidare la ditta e tornare all'ovile. Andrea Orlando, supportando la fittizia stagione delle riforme, ha commentato: «Siamo capaci anche noi di farle, dentro il Pd i riformisti sono più del 2-3%», girando il coltello nella piaga renziana.«Si apre la fase del fare e della concretezza, c'è la necessità del rilancio di una nuova agenda di governo», ripete Zingaretti davanti a ogni microfono. «Il Pd torna primo partito dove si vota», vagheggia senza pensare ai seggi persi ma forse a un rimpasto da imporre a Conte. Ce ne sono di due tipi: uno light con l'addio ai disastri Lucia Azzolina e Alfonso Bonafede. L'altro politicamente più interessante, con Zingaretti medesimo a Palazzo Chigi e Luigi Di Maio vicepremier. Nel delirio della vittoria finta c'è chi lo sta proponendo in casa dem. Nel Pd non c'è come perdere colpi per chiedere tutto.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.