2023-03-27
«I bandi per i nidi non partono. Sui fondi del Pnrr serve più chiarezza»
iStock. Nel riquadro, Marco Rossi Doria
L’esperto Marco Rossi Doria: «Paghiamo i tagli al welfare. Ora oltre ai soldi per fare nuovi edifici i Comuni vogliono garanzie sul costo del personale».La bassa natalità nel nostro Paese dovrebbe facilitare la copertura del fabbisogno di asili nido. Se a questo si aggiunge che ci sono pure tanti soldi a disposizione, quelli del Pnrr, e che numerosi Comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, non hanno nemmeno partecipato al bando per ottenerli, la situazione appare ancora più paradossale. Come si è arrivati a questa situazione lo spiega il presidente di «Con I Bambini», impresa sociale per il contrasto alla povertà educativa, Marco Rossi Doria, che insieme e Openpolis ha delineato uno scenario sulle carenze delle strutture per la prima infanzia. Pochi bambini ma anche poche strutture, è assurdo, non trova?«Dovrebbe essere facile colmare il fabbisogno di nidi. L’Italia ha esperienze positive all’avanguardia nel settore e ora ci sono anche i soldi del Pnrr».Ma allora cosa non funziona?«Partiamo dicendo che la diffusione delle strutture è molto differenziata tra Nord e Sud e tra grandi e piccoli centri. Una donna che vuole lavorare e vive in un piccolo centro di un’area interna del Paese o nel Sud ha molte meno possibilità di affidare il figlio a un nido, di una sua coetanea di una grande città o del Nord. In numerose realtà povere, dove il mercato del lavoro è fermo soprattutto per le donne, è dato per scontato che siamo loro ad occuparsi della prole e questa posizione è così radicata che le amministrazioni non attivano le iniziative. Poi non dimentichiamo che da più di vent’anni il welfare educativo ha subito pesanti tagli. Il giro di vite ha impattato di più nelle situazioni di fragilità sociale con alta disoccupazione mentre laddove c’era una rete solida di strutture, per l’amministrazione è stato più facile reagire ai tagli e difendere l’esistente. Ora c’è una inversione di tendenza, si è imposta la consapevolezza che bisogna partire dai bambini. Questo spiega gli ingenti finanziamenti predisposti dal Pnrr».Però se pochi si fanno avanti per aggiudicarsi i fondi, siamo al punto di partenza.«Nel bando c’è stato un problema di chiarezza. Era largamente centrato sulla costruzione delle strutture, sugli allestimenti interni, le attrezzature ma non era spiegato che poi sarebbero arrivati i soldi anche per la loro gestione. C’era una fase 1 e una fase 2 ma nessuno l’ha detto. I comuni, specie quelli con deficit di bilancio, si sono posti il problema del dopo cioè del costo del personale da reclutare e formare, del funzionamento delle mense. E siccome nessuno aveva precisato che poi sarebbero arrivati altri fondi, le amministrazioni per non correre il rischio di trovarsi voci di spesa in bilancio non coperte, hanno preferito farsi da parte. I comuni non sono stati capaci di chiedere al decisore pubblico se nella successiva legge di bilancio sarebbero arrivati i soldi per la gestione dei nidi».Come si esce da questo vicolo cieco?«È necessario un supporto organizzativo per i comuni più deboli. Una task force, che faccia da regia nazionale, composta da figure di diversa esperienza nel settore, in grado di affiancare le amministrazioni affinché i soldi siano spesi bene e con tempestività. Numerosi comuni sono a corto di personale quindi vanno aiutati a fare i concorsi per reclutare personale specializzato. Servono professionalità amministrative, psico-pedagogiche, organizzative. La task force diventa fondamentale per rimediare a questa situazione di inerzia di alcune realtà e per dare al Paese quello scatto in grado di allinearlo al target stabilito dalla Ue di una diffusione di asili nido pari al 33% della popolazione infantile, che significa avere ogni cento bambini, 33 posti in una struttura vicino casa. In alcune Regioni questo target è stato raggiunto ma in molte altre siamo ancora indietro. Ci sono realtà del Mezzogiorno come Napoli e Palermo che avrebbero le esperienze nel settore ma sono bloccate perché non conoscono i tempi del flusso dei fondi. Sono pronti a mettersi in moto, ad assumere personale ma manca il dialogo con l’amministrazione centrale e quindi non sapendo quando arriveranno i soldi, stanno fermi. La task force servirebbe a sbloccare questa situazione».