2022-02-01
I 60 voti segreti sfuggiti alla destra. La storia di come si è arrivati al «bis»
Maria Elisabetta Casellati (Ansa)
Le possibilità di superare la diarchia Mattarella-Draghi c’erano. Sulla conta pro Maria Elisabetta Casellati sarebbe confluita parte dell’area Misto-grillini ed ex. Ma il centrodestra s’è sciolto. Sulla capa del Dis, Letta stoppato dal partito.Mario Draghi è stato il kingmaker di Sergio Mattarella come Daniil Medvedev lo è stato di Rafa Nadal agli Open d’Australia: è vero che uno ha vinto grazie all’altro, ma perché l’altro ha perso. Il racconto di comodo di una classe politica sprovveduta (specie a destra) che finisce per correre in ginocchio dal sommo garante per scongiurare lo sfascio è non solo parziale, ma funzionale a coprire il vero scontro che si è consumato: quello appunto tra prima e quarta carica dello Stato, poi rimaste esattamente dov’erano malgrado le aspettative di quest’ultima. L’alternativa a questo scontro - tanto clamoroso quanto occultato - è stata rappresentata da un tentativo meno goffo di quanto si possa pensare. Eccone un racconto, sottoposto al vaglio di diverse fonti incrociate una volta scesa la polvere del 29 gennaio 2022.L’ambizione di una candidatura non «di sistema», cioè fuori dalla trimurti Amato-Draghi-Mattarella, non aveva solo il supporto parlamentare (teorico, come si è visto) di 440-450 voti del centrodestra nei suoi vari rivoli, ma anche di una pattuglia non indifferente composta da grandi elettori di Alternativa (ex M5s, per capirsi), grillini poco propensi a reggere l’asse «istituzionale» con il Pd, e deputati e senatori del Gruppo misto. Il segnale di questa «disponibilità» a puntellare alternative è stato coperto per almeno cinque scrutini da due nomi finiti nelle urne: Paolo Maddalena e Nino Di Matteo. Il giurista e la toga, affini all’area M5s, sono stati i cognomi sotto cui questa trattativa è rimasta più o meno coperta. E qui prende corpo la forza - sempre ipotetica - dell’asse col centrodestra contro l’alternativa Draghi-Mattarella. Nel terzo scrutinio di mercoledì 26 infatti Maddalena raccoglie 61 preferenze: martedì erano state 39. L’ex membro della Corte costituzionale si piazza terzo dietro l’inquilino del Colle (125) e Guido Crosetto (114), nome di bandiera che smuove le acque attorno a Fratelli d’Italia, e davanti a Pier Ferdinando Casini. Non è difficile capire che un centrodestra compatto con 61 voti in più sarebbe potuto arrivare, col nome giusto, a pochi centimetri dal quorum di 505. Lo conferma alla Verità Raphael Raduzzi, deputato di Alternativa: «I nomi di Maddalena e Di Matteo sono stati concordati con altri colleghi indipendenti del gruppo misto ex 5 stelle: nelle varie tornate siamo riusciti a far convergere sempre più persone intercettando delle preferenze anche nei 5 stelle. Ci sarebbero andati bene anche profili d’area, sia di destra che di sinistra, purché segnassero un minimo di rottura e non fossero nomi indigeribili». Venerdì 28 gennaio 2022 alle ore 11 il tentativo va in scena: i voti di Maddalena si spostano su Di Matteo. Calano, perché al primo vero scontro Pd e M5s piazzano il servizio d’ordine per far rispettare ai loro l’indicazione di non ritirare la scheda: restano 38 voti, praticamente gli stessi raccolti da Maddalena tre giorni prima: Alternativa e Misto. Ma il segnale «regge» (il totale pesa quanto Italia viva, per dire). Chi crolla con fragore è il centrodestra: la conta sulla Casellati, preludio ad altri nomi possibili (tra cui Giulio Tremonti, ma anche la famosa «terna» bruciata pochi giorni prima), viene frustrata dalle 70 defezioni divise tra Forza Italia e la pattuglia di Toti e Brugnaro. Il pallottoliere per la seconda carica dello Stato si ferma a quota 382. Anche aggiungendo gli ipotetici 61 «esterni» la distanza dal minimo per l’elezione è tale che salta lo schema politico a essa sotteso: quello di una specie di maggioranza Ursula al contrario (centrodestra più grillini ribelli antigovernisti ed ex grillini anti Draghi). Le ore che seguono questa catastrofe politica della coalizione conservatrice dissolvono tale assetto, ma il pacchetto di voti «targati» Di Matteo torna in pista nelle febbricitanti ore di venerdì sera e venerdì notte, quando è Giuseppe Conte - come rivelato su queste colonne - ad avanzare il nome di Elisabetta Belloni a Enrico Letta, che approva sapendo che a destra il nome può passare (Salvini e Meloni preferiscono la sgrammaticatura istituzionale che invischia il Dis al via libera a Draghi). Per quanto non decisivi, anche i voti d’area grillina possono diventare importanti non tanto pro Belloni (complessa da digerire) quanto contro il «partito» del premier. È qui che si scatenano, in successione, in chiaro e non, Luigi Di Maio (che toglie il velo alla sua guerra a Conte), il collega ministro Lorenzo Guerini (ieri Il Cittadino di Lodi lodava la sua «tela per il Mattarella bis», ma non è proprio così), il capogruppo - anch’egli del Pd - Andrea Marcucci, mezza Forza Italia spinta dai ministri, all’unisono con Matteo Renzi e i «totiani». Al leader Pd che di lì a poco esulterà per il «bis» manca il terreno sotto i piedi ed è costretto a fare marcia indietro. Gli eventuali appoggi (i famosi 61 di Maddalena) ridiventano irrilevanti. Nel giro di poche ore non solo la Belloni esce bruciata, aprendo un conflitto sotterraneo tra organi dello Stato che produrrà tensioni, ma viene corrosa anche la triangolazione tra pezzi di centrodestra, pezzi di centrosinistra e pezzi di grillini. La forza d’inerzia di un Parlamento sfilacciato spinge ad arrostire gli ultimi nomi (Cartabia e Casini) e tornare al punto di partenza: lo scontro Draghi-Mattarella. Amato viene eletto alla Consulta e proprio l’incastro col giuramento di Filippo Patroni Griffi, sabato mattina, è il teatro dell’incontro tra premier e capo di Stato che sancisce l’ultimo paradosso dell’elezione, benedetta perfino da Salvini: il «partito di Draghi» ha distrutto ogni alternativa, forse pensando di poter vincere. Stava consegnando il trionfo a Mattarella.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)