2019-11-12
I «200 insulti»? Non erano al giorno e non erano tutti contro la Segre
Termometro politico esamina i dati dell'osservatorio antisemitismo. Risultato: i «numeri dell'odio» sono molto diversi da come Repubblica li ha presentati. E riguardano pure l'islam.Italia Viva vuol portare in Rai Rubio lo chef che odia Israele. Il cuoco anti Salvini lascia Discovery. Il renziano Michele Anzaldi: «Dategli un programma». Definì i cittadini dello Stato ebraico «esseri immondi», ma alla sinistra non importa. Lo speciale contiene due articoli.L'articolo di Piero Colaprico su Repubblica era allarmante. Conteneva alcuni insulti immondi provenienti dalla Rete e indirizzati alla senatrice a vita Liliana Segre. «Di messaggi come quelli qui riportati contro Liliana Segre, superstite dell'Olocausto, testimone del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ogni giorno ne partono duecento», si leggeva nel pezzo. «Ogni giorno si registrano attacchi politici e religiosi, insulti, maldicenze contro una donna di 89 anni, sempre moderata nel linguaggio, testimone dell'orrore, ancora adesso incapace di “sopportare" i fotogrammi di alcuni documentari di guerra». Spiegava poi Colaprico che «l'osservatorio antisemitismo è stato costretto a realizzare un rapporto sugli attacchi e Repubblica ha potuto leggerlo. Dichiariamo un senso di malessere, nel riportare le frasi tratte da Internet, ma pensiamo che, oggi più che mai, bisogna tracciare una sorta di “dove siamo" e di “come siamo arrivati" in questo catalogo di deliri, cattiverie, meschinità, dove non mancano i professori». Dopo questo articolo apparso sulla prima pagina del grande giornale progressista si è scatenata l'onda dello sdegno che ha portato all'approvazione della commissione Segre e alla demonizzazione della destra che si è rifiutata di sostenerla. È stato proprio il pezzo di Repubblica a conferire alla commissione il carattere di urgenza che ha portato a cancellare ogni discussione, ogni ulteriore approfondimento. Ora si scopre, però, che le cose stavano un po' diversamente rispetto a quanto raccontato da Repubblica. Termometropolitico.it ha esaminato il rapporto dell'osservatorio antisemitismo citato da Colaprico, e ha notato che dei 200 insulti al giorno non c'è traccia. «I dati si riferiscono al 2018, non al 2019», scrive Nicolò Zuliani. «Gli episodi di antisemitismo sono 197 all'anno, non 200 al giorno». E sembra proprio che non siano tutti rivolti alla senatrice Segre. Infatti il rapporto spiega che «personaggi pubblici come Gad Lerner, Emanuele Fiano, Sandro Parenzo, Enrico Mentana e Liliana Segre sono spesso vittime di invettive antisemite, specie sui social». Ma la cosa più incredibile è forse quella che segue. Nel rapporto si legge: «Mentre la negazione della Shoah (tipica del neonazismo) o l'accusa del sangue (caratteristica dell'antigiudaismo) trovano diffusione solo nell'ambito del neonazismo, gli stessi miti adattati alla realtà israeliana raccolgono consensi in settori più eterogenei: estrema sinistra, etnoregionalismo, ecologismo, galassia anti-elites, islamismo». Riepilogando: i 200 insulti al giorno non erano al giorno ma all'anno, non erano tutti rivolti contro Liliana Segre e, soprattutto, non provenivano tutti dall'estrema destra ma pure da sinistra e islam. Eppure tutto ciò ha portato alla creazione di una commissione che non fa alcun riferimento all'antisemitismo islamico o all'odio rosso, anzi si occupa di monitorare i casi di islamofobia. Intendiamoci: anche se ci fosse un solo insulto all'anno contro la Segre o altri andrebbe condannato. Il punto è che l'allarme sul «ritorno del nazismo» lanciato da Repubblica è servito soltanto ad alimentare il fuoco dello scontro politico, ad accusare la destra italiana di essere collusa con chissà quali movimenti razzisti. Ora serve un po' di chiarezza. L'osservatorio antisemitismo - che in comunicato parla di 200 insulti al giorno - dovrebbe fare chiarezza sui numeri. E spiegare se questi insulti arrivano (e in che percentuale) anche dall'estrema sinistra o dal mondo islamico. Resta che ormai il danno è fatto. La commissione e le sue derive liberticide sono ormai realtà. E l'odio online di certo non si arresta. Anzi, Liliana Segre che prima (parole sue) nemmeno si era accorta degli insulti, ora è nell'occhio del ciclone. Un capolavoro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-200-insulti-non-erano-al-giorno-e-non-erano-tutti-contro-la-segre-2641307475.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="italia-viva-vuol-portare-in-rai-rubio-lo-chef-che-odia-israele" data-post-id="2641307475" data-published-at="1758145209" data-use-pagination="False"> Italia Viva vuol portare in Rai Rubio lo chef che odia Israele La brillante idea è venuta a Michele Anzaldi, un vero genio della televisione, deputato di Italia Viva e segretario della commissione di Vigilanza Rai. L'elevato pensiero è stato affidato a Twitter: «Chef Rubio lascia Discovery: la Rai avrà il coraggio di proporgli un programma, magari che parli di ultimi e periferie e sappia interessare i giovani? Oppure ci sarà un pregiudizio politico per le sue idee? In questa Rai vengono ingaggiati solo biografi e supporter di Salvini?». Piccolo riepilogo per chi non avesse seguito le puntate precedenti. Chef Rubio, alias Gabriele Rubini (36 anni, diplomato all'Alma di Gualtiero Marchesi) ha condotto per anni sui canali del gruppo Discovery trasmissioni anche divertenti - a tratti - come Unti e bisunti e Camionisti in trattoria. Nei giorni scorsi si è saputo che il nostro eroe e il grande gruppo televisivo hanno rotto. Il diretto interessato ci ha subito tenuto a precisare che «si tratta di una scelta mia», dunque non l'hanno licenziato causa bassi ascolti. Anche se poi Rubio ha dichiarato: «Continuare a girare per gli ascolti non è mai stata e mai sarà una mia peculiarità e farlo mi avrebbe reso infelice e ancora più nervoso di quanto già non fossi alla fine della terza stagione». Leggendo queste parole viene da pensare che, in effetti, qualche problemino di ascolti magari ci fosse. E purtroppo quella dello share è la dura legge della tv commerciale: se la gente ti guarda, bene; altrimenti tanti saluti. Certo, sarebbe opportuno che alcuni programmi di particolare valore sociale e culturale non fossero soggetti alla mannaia dello share, ma non è il caso delle trasmissioni di Rubio. Tra l'altro lui si propone come «voce del popolo», e se il popolo non lo segue come dovrebbe mica può lamentarsi. Parte della sinistra, tuttavia, ha già trasformato il cuoco rosso in una icona rivoluzionaria. Ieri su Repubblica Licia Granello ha spiegato che «Rubio si è speso moltissimo per affermare un'idea di cucina democratica e inclusiva [...] infarcita di commenti al vetriolo contro la destra e un occhio di riguardo per Matteo Salvini». Secondo la Granello, «solo Rubio e i responsabili di Discovery sanno la verità sul divorzio: censura, mobbing o semplice disamore. Certo, veder spadellare con la vacua leggerezza di Nonna Papera riesce molto più rassicurante per autori e spettatori. Basta sapersi accontentare». Ah, ecco Rubio il martire, alfiere della democrazia ai fornelli ed eroico nemico della destra. E infatti ecco arrivare l'immancabile Anzaldi a rivendicare per l'indomito progressista della pajata un posto sull'emittente pubblica (anche se poi ha cercato di fare una mezza retromarcia). Grande trovata, dicevamo: è noto che in Rai basta avere una copertura politica e come per magia gli ascolti non sono più un problema. Se stai dalla parte giusta puoi tirare dritto anche se il pubblico ti evita. L'aspetto grottesco di tutta questa vicenda, però, non riguarda gli ascolti bensì le posizioni politiche e ideologiche che Rubio - da un bel po' di tempo a questa parte - esprime sui social network e altrove. Tanto per fare un esempio, lo scorso agosto il cuoco ha pubblicato online un post in cui spiegava: «Se volete salvare il pianeta spendete meno, consumate meno, ed eliminate fisicamente i sovranisti e co». I suoi tweet contro Salvini (e, più in generale, contro qualunque essere umano vagamente riconducibile alla destra) sono tristemente noti, e sono giunti in qualche caso a minacce d'aggressione fisica. Per quanto disgustosi, tuttavia, gli insulti ai «sovranisti» non sono nulla di nuovo sotto il sole. La vera specialità dello chef sono gli attacchi a Israele. Secondo Rubio «non è una democrazia». Ed ecco il motivo: «Se lo Stato di Israele🇮🇱 è ebraico non può essere democratico, perché non esiste uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell'origine etnica. Fine della storia». Sono anni che Rubio va avanti così. Nel 2017 scrisse: «Rabbì la storia è ciclica: prima pecore e poi lupi. E lo sanno tutti che il terrorismo non ha la kefiah ma va in giro con i tank». Più di recente ha definito gli israeliani «esseri abominevoli». Ora, Rubio è certamente libero di pensarla come vuole e di scrivere ciò che gli pare. Il punto è: come è possibile che la sinistra italiana (o una parte di essa) ne faccia un eroe? Repubblica lo difende per via della sua cucina «democratica e inclusiva». Già, così inclusiva da invitare allo sterminio dei sovranisti e degli israeliani. Il renziano Anzaldi lo vorrebbe nei canali di Stato. Stiamo davvero parlando della stessa sinistra che ogni giorno si riempie la bocca con l'importanza della commissione Segre? Se i progressisti fossero coerenti, direbbero che Rubio ha - molto più di altri - il perfetto profilo dell'odiatore social. Invece lo difendendo. Si vede che allo chef «inclusivo» è concesso dire che gli ebrei d'Israele sono «esseri abominevoli». Più che un posto in Rai, gli dovrebbero dare un posto nel Reich.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)