
Dopo la protesta degli sceneggiatori, anche il sindacato degli attori va verso lo sciopero più imponente degli ultimi 60 anni. Nel mirino le derive dell’intelligenza artificiale e l’impatto dello streaming, che minacciano le loro tutele erodendo i compensi.Dalle parti di Hollywood si sono sempre vantati di essere gli alfieri del progresso. D’altronde, per dar vita alla «fabbrica dei sogni», servono tecnologia, effetti speciali, fotocamere digitali, realtà virtuale, 3D e così via. Naturalmente, per le «menti aperte» di Hollywood, al progresso tecnologico non può che corrispondere un progresso «morale». Ecco allora che tutte le produzioni degli studi cinematografici sono state pesantemente infiltrate dall’ideologia woke, che è presto diventata religione civile. E chi non ne accetta i dogmi viene fatto fuori. Ma che succede se, all’improvviso, la tanto decantata tecnologia diventa un potenziale nemico per i nababbi di Hollywood? Ovvio: si sciopera. Con tanti saluti al catechismo progressista. Del resto, il progresso è importante, sì, ma il portafogli lo è ancor di più.Per chi si fosse perso gli ultimi sviluppi nel mondo della settima arte, lo scorso 2 maggio hanno incrociato le braccia tutti i membri della Gilda degli scrittori americani (Wga), ossia il sindacato degli sceneggiatori. L’interruzione della loro attività, come c’era da attendersi, ha provocato drastici ritardi nella produzione. Da ben due mesi, infatti, gli studios possono girare solo film e serie televisive basati su sceneggiature già ultimate (peraltro non modificabili, come da contratto). È il caso, ad esempio, del prequel del Signore degli anelli, ossia la serie Gli anelli del potere: una produzione di Amazon che ha superato il miliardo di dollari di costi, ma che, proprio per la sua impostazione smaccatamente woke (e anti-tolkieniana), per ora ha raccolto più pernacchie che applausi.Adesso, però, le cose potrebbero andare ancora peggio. Dopo gli sceneggiatori, infatti, anche gli attori sembrano decisi a scioperare. Una doppia protesta che non va in scena addirittura dal 1960. Il rischio reale, dunque, è che tutta Hollywood rimanga di fatto paralizzata. A darne comunicazione è stato direttamente il sindacato degli attori (Sag-Aftra), che ormai da più di un mese sta conducendo un braccio di ferro con l’Amptp, l’associazione di categoria dei produttori, di cui fanno parte, tra gli altri, Amazon, Apple, Disney, Nbc Universal, Netflix, Paramount, Sony e Warner Bros: «Dopo più di quattro settimane di trattative», si legge in una nota della Gilda degli attori riportata dall’Hollywood Reporter, «l’Amptp rimane riluttante a offrire un accordo equo sulle questioni chiave che sono essenziali per i membri del nostro sindacato». Pertanto, prosegue il comunicato, «di fronte all’intransigenza e alle tattiche di rinvio dell’Amptp, il comitato di negoziazione ha votato all’unanimità per raccomandare al consiglio nazionale uno sciopero generale». Anche il presidente del sindacato, Fran Drescher, ha rilasciato dichiarazioni molto dure, definendo «offensive e irrispettose» le posizioni dell’Amptp. Le aziende produttrici, ha specificato Drescher, «si sono rifiutate di impegnarsi in modo significativo su alcuni argomenti e su altri ci hanno completamente ostacolato. Finché non negoziano in buona fede, non possiamo raggiungere alcun accordo». La risposta delle compagnie cinematografiche non si è fatta attendere: «Siamo profondamente delusi dal fatto che la Gilda degli attori abbia deciso di abbandonare i negoziati», ha affermato il direttivo dell’Amptp. Questa, ha aggiunto, «è stata una scelta loro, non nostra».Ma perché mai il sindacato, che rappresenta la bellezza di 160.000 iscritti, ha deciso di fare questo passo? Il problema, appunto, è che il progresso tecnologico lede gravemente la salute delle finanze degli attori. In particolare, sono due i tasti dolenti: lo streaming e l’intelligenza artificiale. In una comunicazione ai propri membri, la Sag-Aftra aveva riassunto così la questione: «Negli ultimi 10 anni, il vostro compenso è stato gravemente eroso dall’ascesa dell’ecosistema dello streaming. Inoltre, l’intelligenza artificiale rappresenta una minaccia esistenziale per le professioni creative. Per questo tutti gli attori e gli artisti meritano un trattamento contrattuale che li protegga dallo sfruttamento della loro identità e del loro talento senza consenso e compenso».In effetti, l’avvento dello streaming ha fatto perdere parecchi denari agli attori, dato che piattaforme come Netflix e Amazon non rivelano i dati dei loro ascolti e, perdipiù, pagano agli artisti una quota fissa, senza basarsi sulle visualizzazioni di film, programmi e serie tv. Se a ciò aggiungiamo che l’Ia potrebbe addirittura sostituirsi agli attori, gli scenari futuri si fanno ancora più foschi. Basti pensare a Secret invasion, miniserie prodotta dalla Marvel e distribuita da Disney+, che ha fatto uso dell’intelligenza artificiale per creare i titoli di testa, scatenando di recente una ridda di polemiche. Non a caso, è lo stesso motivo per cui anche gli sceneggiatori hanno incrociato le braccia: se l’Ia scrive i copioni al posto loro, chi li pagherà più? Come diceva giustamente Manzoni, «non sempre ciò che vien dopo è progresso». Forse è ora che imparino questa lezione anche i «risvegliati» di Hollywood.
(IStock)
C’è preoccupazione per la presenza di alimenti ultraprocessati nelle mense. Il presidente Prandini: «Il comparto vale 707 miliardi, quanto 20 manovre». Federico Vecchioni (BF): «Una massa di risorse private ha identificato il mondo agricolo come opportunità».
Francesca Albanese (Ansa)
La rappresentante Onu ha umiliato il sindaco di Reggio, solo perché lui aveva rivolto un pensiero anche ai rapiti israeliani. La giunta non ha fatto una piega, mentre è scattata contro il ministro sul caso Auschwitz «rispolverando» anche la Segre.
(Ansa)
Il premier congela la riforma fino alle prossime presidenziali, ma i conti pubblici richiedono altri sacrifici. Possibile tassa sui grandi patrimoni. Il Rassemblement national: «Progetto di bilancio da macelleria fiscale».
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
- Alla base della decisione, la mancata condivisione di alcune strategie difensive ma soprattutto l’esuberanza mediatica del legale, che nelle ultime settimane aveva parlato a ruota libera su Garlasco. Lui: «Sono sorpreso».
- Ieri l’udienza davanti al tribunale del Riesame. Lo sfogo dell’ex procuratore Venditti: «Mai preso soldi». Sarà la Cassazione a decidere sul conflitto tra Pavia e Brescia.