Via dalla Russia, Renault lascia Togliattigrad. Mc Donald’s spegne le insegne
2022-05-17
Verità e Affari
Dopo il bitcoin e il metaverso arrivano gli Nft (Non-fungible token) che spingono la frontiera degli investimenti e del collezionismo nella metafisica della finanza sfruttando le opportunità della tecnologia digitale. eToro è considerato un pioniere delle criptovalute. Ha comprato 100 bitcoin nel novembre 2012 quando il prezzo era di soli 12,29 dollari. Lo stesso anno, il suo Ceo e co-fondatore, Yoni Assia ha scritto con Vitalik Buterin il libro bianco per Colored Coins.
Si ritiene che questi gettoni siano i primi NFT in assoluto, un mercato che ha superato i 40 miliardi di dollari nel 2021 e sta crescendo ad un ritmo esponenziale. Nel 2019 ha acquisito Delta, unica app sul mercato che offre agli investitori una visione dal vivo di tutto ciò che si trova nel loro portafoglio di investimenti compresi gli NFT. In questo ribollire di tecnologia come procede il metaverso? Quali le nuove professioni? Sarà un bene o un male per le nuove generazioni già molto virtuali? Con Guy Hirsch, managing director di eToro.Art proviamo a rispondere a queste domande.
Da quando Mark Zuckenberg lo ha annunciato come evoluzione di Facebook, c’è grande fermento. Ma cos’è realmente il metaverso?
«Come ultima frontiera tra il mondo reale e quello virtuale, il metaverso rappresenta l'evoluzione più probabile di internet nei prossimi anni. Coniato per la prima volta dai romanzi di Neal Stephenson del 1992 The Virtual Samurai e Snow Crash, il metaverso si riferisce a un mondo virtuale dove gli utenti possono muoversi come avatar, interagire socialmente ed economicamente, con altre persone».
Raccontato così sembra più un gioco che un investimento
«Anche se ancora nelle sue fasi iniziali, secondo Bloomberg il metaverso potrebbe diventare un mercato da 800 miliardi di dollari entro due anni, a beneficio di industrie che vanno dal gioco e dalla pubblicità, agli NFT e alla moda di lusso».
Come funziona?
«Noi crediamo che il metaverso sia un fenomeno culturale, non una montatura, ma una realtà in cui già viviamo. Paghiamo le bollette, interagiamo con gli amici e consumiamo contenuti online. In molti modi, siamo già parte del metaverso. Significa una transizione verso una cultura veramente globale e in un mondo che non ha confini. Le possibilità di una simile realtà sono incredibilmente stimolanti. Immaginate un mondo che è aperto e disponibile per tutti, ovunque». Su internet però si cullano anche molte illusioni«Il potenziale può sembrare infinito, ma la diffusione non sarà facile né sarà immediata. Il metaverso richiede una maggiore capacità di elaborazione, larghezza di banda e miglioramenti all'hardware - cuffie, occhiali, smartphone e servizi cloud».
A suo parere dove sta andando il mercato?
«Secondo i nostri dati durante il primo trimestre 2022, gli investitori italiani hanno posto maggiore attenzione alle cripto, andando alla scoperta dei token decentralizzati del metaverso. The Sandbox (+208% q/q) e Axie Infinity (+43% q/q) sono stati i token a registrare l’aumento di popolarità più consistente in Italia nei primi tre mesi dell’anno, seguiti da Decentraland che ha avuto un aumento del 9% delle posizioni detenute trimestre su trimestre».
Cosa significa? C’entra ancora il metaverso?
«Con l'affermarsi della nuova evoluzione di internet (Web3 e il metaverso), vedremo naturalmente un maggiore afflusso di capitali e utenti in questo spazio. Più specificamente, le criptovalute saranno parte integrante di come la realtà virtuale e il metaverso sono costruiti. Gli utenti saranno in grado di acquistare, vendere e scambiare beni virtuali utilizzando criptovalute attraverso il metaverso. Per quanto riguarda i Non-Fungible Tokens (NFT), potremmo anche vedere la trasformazione nella versione digitale (tokenizzazione) dei beni del mondo reale, rappresentati e scambiati sulla blockchain».
Chi è l’investitore tipo delle criptovalute? L’Italia come si sta comportando?
«Secondo il nostro ultimo Retail Investor Beat, un sondaggio globale che esamina i temi che attualmente influenzano le decisioni di investimento e le prospettive di 8.500 investitori retail, le criptovalute sono ora la seconda asset class più posseduta a livello globale dopo le azioni nazionali e costituiscono in media il 31% dei portafogli degli investitori. In Italia, il 29% degli intervistati è investito in criptovalute, il 5% in più rispetto alle azioni nazionali (24%). Le criptovalute costituiscono in media il 27% dei portafogli italiani. Il 47% degli investitori cripto italiani ha un'età compresa tra i 35 e i 44 anni, seguito dai 18-34enni (42%)».
Ci sono altre motivazioni all’investimento oltre all’evidente desiderio di guadagno?
«Quando è stato chiesto quale fosse il motivo principale per cui investono in criptovalute, gli intervistati hanno detto che si tratta di una classe di attività trasformativa (32%), di una riserva di valore (21%), di una copertura contro l'inflazione (19%) e di un tema di investimento a lungo termine (25%)».
Resta il fatto che si tratta di investimenti ad alto rischio come dimostra la volatilità dell’investimento.
«Le criptovalute non sono state immuni dall'incertezza recente, causata dall'inflazione alle stelle, dall'aumento dei tassi d'interesse e dalla grande incertezza geopolitica. Tuttavia, i nostri dati mostrano chiaramente che un numero crescente di investitori italiani crede che le criptovalute non solo sono qui per restare ma possono, e dovrebbero, giocare un ruolo importante in un portafoglio di investimento diversificato e pensato per il lungo termine. Il fatto che sempre più persone considerino le criptovalute come un'interessante riserva di valore, una copertura dell'inflazione e le vedano come un investimento a lungo termine sono tutti indicatori di una maggiore maturità intorno alle cripto nel loro complesso».
Quanto è importante regolamentare questo mercato?
«Sosteniamo in pieno le misure di regolamentazione progettate per accelerare l'innovazione e allo stesso tempo proteggere ed educare gli investitori. Speriamo che qualsiasi misura messa in atto bilancerà la necessità di protezione dei clienti con il desiderio di sostenere la loro partecipazione nei mercati delle criptovalute. In definitiva, ci auguriamo che il regolatore contribuisca alla diffusone di una tecnologia che può non solo fornire benefici reali al settore dei servizi finanziari, ma anche facilitare una maggiore inclusione finanziaria a livello globale».
Come mai una piattaforma di investimenti social come la vostra ha lanciato eToro.art?
«Essendo un'azienda con un occhio costantemente rivolto a "cosa c'è dopo", eToro vede un enorme potenziale nel metaverso e in una serie di nuovi asset digitali. eToro ha una comunità di oltre 27 milioni di utenti registrati che vogliono accedere a tecnologie nuove ed emergenti. Essendo una delle prime aziende ad offrire criptovalute insieme ad asset più tradizionali, è naturale che eToro funga da ponte per portare nuovi utenti agli NFT e al metaverso. Siamo incredibilmente entusiasti di vedere gli sviluppi in questo spazio nei prossimi mesi».
eToro farà trading di NFT?
«I clienti di eToro possono visualizzare la collezione di NFT di blue chip di eToro. che include progetti come Bored Ape Yacht Club, CryptoPunks e World of Women, su eToro.art, così come i progetti di artisti emergenti. Gli utenti di eToro possono visualizzare ed esplorare gli NFT sull'app Delta. Ulteriori funzionalità, tra cui l'accesso all'acquisto e alla vendita di NFT tramite una terza parte, sono in arrivo».
Non si arresta l’esodo dei grandi marchi occidentali da mercato russo . Sono i riflessi dell’invasione dell’Ucraina che, in un solo giorno hanno portato di imprese di primo piano come Mc Donald’s e Renault ad annunciare la cessione di tutte le loro attività a Mosca.
Dal canto suo Unicredit sta facendo lo stesso con la sua filiale e, secondo le indiscrezioni avrebbe ricevuto un'offerta da parte di Interros Capital. Si tratta della banca d’affari controllata da Vladimir Potanin, uno dei pochi oligarchi non sanzionato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea. Secondo il Financial Times, però, la banca italiana avrebbe rifiutato l'offerta. Nessun commento arriva dalle banche coinvolte mentre è stato confermato che Société Generale ha venduto la sua controllata, Rosbank Pjsc, proprio a Interros Capital.
VALORE SIMBOLICO
Tuttavia colpiscono molto di più l’immaginario, vista la notorietà dei marchi la cessione di Mc Donald s e Renault. L’uscita del colosso del fast food assume addirittura un valore simbolico visto che nel 1993 all’inaugurazione del secondo locale (il primo risale al 1975 ma aveva quasi carattere sperimentale) aveva partecipato addirittura il presidente Boris Yeltsin. Quell’inaugurazione era il sogno americano che si accendeva all’ombra del Cremlino. Il segno della svolta dopo la caduta del comunismo.
Poi a mano a mano, McDonald's crebbe fino a contare 847 punti vendita dei quali l'84% di proprietà, il restante in franchising. Trent’anni dopo l’uscita di scena di Mc Donald s segna ancora una volta la svolta. Una maniera per sottolineare la marcia indietro autoritaria in corso a Mosca.
A marzo, in seguito all'invasione ucraina, Mc Donald’s aveva deciso di chiudere temporaneamente i suoi ristoranti con un impatto di 50 milioni di dollari al mese. Erano rimasti le 100 rivendite in franchising. Ora la decisione di ritirare il marchio. La proprietà dell'attività in Russia «non è più sostenibile né coerente con i valori di McDonald's», ha dichiarato il gruppo americano che ha avviato la vendita con l’obiettivo primario di garantire l’occupazione dei 62mila lavoratori.
La società prevede un addebito da 1,2 a 1,4 miliardi di dollari per coprire i costi di trasloco. I ristoranti McDonald's in Ucraina rimangono per ora chiusi, anche se i lavoratori vengono pagati e l'azienda sostiene gli aiuti ai rifugiati in tutta Europa. Il colosso del fast food non è l'unica azienda a decidere di lasciare il mercato russo.
ISTITUTO DI RICERCA
La Renault infatti ha annunciato che venderà a un istituto di ricerca scientifica russo la sua partecipazione del 67,69% in Avtovaz. Si tratta della ex Togliattigrad che produce con il marchio Lada. Inoltre, il gruppo automobilistico francese cederà alla città di Mosca la sua quota totalitaria in Renault Russia. Non sono state rese note le cifre ma , almeno per Avtovaz dovrebbe trattarsi di un ammontare simbolico, pari a un rublo. L'accordo prevede un diritto di opzione per riacquistare la partecipazione entro sei anni, rimborsando gli eventuali investimenti fatti
LUCA DE MEO
Il ceo d del gruppo francese Luca de Meo, ha definito la decisione "difficile, ma necessaria. Stiamo facendo una scelta responsabile nei confronti dei nostri 45mila dipendenti in Russia", preservando la performance del gruppo e la sua possibilità di ritornare nel paese in presenza di un contesto geopolitico differente. Renault partecipata al 15% dal governo francese, è la casa automobilistica europea più esposta in Russia e a marzo ha annunciato che avrebbe sospeso la produzione nel paese a causa dello scoppio della guerra.
Il gruppo ha già annunciato di aver accantonato 2,2 miliardi per coprire i costi di abbandonare la Russia. Dal 24 febbraio, giorno di inizio dell'invasione russa in Ucraina, Renault a perso il 27% del suo valore. In occasione dell'annuncio, de Meo ha anche confermato le stime 2022 già espresse a marzo e aprile, con un margine operativo consolidato intorno al 3% e un flusso di cassa "positivo" dal comparto automotive, con una produzione di veicoli inferiore anno su anno di circa 300mila unità.
Ha detto, inoltre, che il gruppo è ancora avanti rispetto agli obiettivi intermedi del piano industriale "Renaulution", annunciato a gennaio 2021. Il piano prevede entro il 2023 un margine operativo del 3% e circa 3 miliardi di euro di free cash flo
La lettera è arrivata nelle mani del presidente del Cida (il sindacato dei dirigenti della Banca d'Italia) Edoardo Schwarzenberg, nella prima settimana di maggio. A firmarla per delega del direttore generale è stato Luigi Managò, caposervizio logistica della banca centrale italiana.
Ed è venuto il segnale atteso: l'istituto guidato da Ignazio Visco si farà in quattro per venire incontro al dramma che stavano vivendo i dirigenti Bankitalia: da tempo stavano lavorando da remoto, magari cogliendo l'occasione per farlo dalla seconda casa al mare o in montagna. Ma lì non sempre erano utilizzabili i buoni pasto contrattualmente dovuti perché spendibili solo nella Regione di residenza.
I dirigenti avevano esigenze anche più larghe, visto che nella lettera inviata ai vertici dal presidente del Cida il 22 febbraio scorso si premetteva che «l’accordo sul lavoro ibrido prevede la corresponsione del buono pasto per ciascuno dei giorni nei quali la prestazione lavorativa è resa da remoto, modalità questa che- come noto- non prescrive che il dipendente operi da un luogo specifico, potendo addirittura lavorare dall'estero».
Come non averci pensato prima che uno di questo top manager di Bankitalia magari la casa al mare ce l'aveva a Saint-Tropez e quella in montagna a Sankt Moritz, e in nessuno dei due casi avrebbero mai accettato i buoni pasto forniti attraverso un regolare appalto della Consip?
Sono problemi, e bisogna applicarsi senza dubbio per arrivare a una soluzione: mica si può fare mancare il grano così all'improvviso a chi deve vigilare sulla grana di tutti gli italiani. Non c'è proprio riconoscenza. Però i dirigenti della banca hanno teso una mano comprendendo le difficoltà in questo momento di reperire buoni pasto internazionalmente validi. Pace per Saint-Tropez, ma almeno si capisca l'incoerenza del fatto «che i buoni pasto in erogazione siano ancora limitati nell'utilizzo alla regione (o all'area territoriale) nella quale il dipendente è incardinato, dovendosi invece necessariamente prevedere la possibilità di utilizzo in tutto il territorio nazionale».
Vogliamo farli usare anche nella masseria in Puglia, nelle vicinanze della villetta sul Monte Argentario o a Cortina indipendentemente dalla stagione? I collaboratori di Visco hanno preso un po’ di tempo per rispondere e altro ce ne vorrà per esaudire in pratica, ma alla fine i benedetti buoni pasto spendibili nella casa vacanze arriveranno, sia pure cercando di fare il meno danno possibile alle casse di Bankitalia: «È stata condotta una analisi delle criticità segnalate», scrive infatti Managò, aggiungendo che «gli esiti di tale analisi sono in corso di approfondimento con le strutture interessate, anche per valutare i conseguenti aggravi operativi connessi con l'adozione di nuove modalità di distribuzione dei buoni».
Dietro questa corrispondenza, che mai potreste rintracciare nel settore privato dove i dirigenti si vergognerebbero pure di chiedere i buoni pasto alla loro azienda, c’è in realtà un braccio di ferro che dura ormai da due anni fra i vertici della banca centrale e quasi tutti i sindacati dei dipendenti. Perché questi ultimi dopo avere storto il naso sullo smart working (e ottenuto primi in Italia un bonus da 100 euro per quel motivo), se ne sono poi innamorati e ogni volta insorgono quando la banca chiede il rientro in presenza. In teoria dal primo aprile scorso avrebbero dovuto tutti rientrare in sede, abbandonando quelle “sedute ergonomiche” che avevano ottenuto per stare a casa dalla banca e che ancora si lamentava non fossero arrivate a tutti.
Ma alla fine la banca ha ceduto alle richieste sindacali immaginando un piano di smart working al di là delle emergenze con presenza in ufficio ridotta. È stato ribattezzato «lavoro ibrido» in un accordo sindacale del dicembre scorso e prevede che solo una piccola percentuale lavori in presenza che per tutti gli altri sarà alternata a un «lavoro da remoto diffuso e ampio». C’è però una condizione posta sia pure in via sperimentale dai vertici Bankitalia: chi lavora in presenza ha diritto al suo ufficio in genere singolo, con la sua scrivania, la sua cassettiera, il suo piccolo armadio dove conservare i documenti oltre a tutte le attrezzature informatiche previste.
Chi invece lavorerà essenzialmente a casa dovrà di volta in volta per il rientro in ufficio prenotare la sua postazione lavoro. Niente scrivania personale, niente armadietto, niente cassettiera. Però ambienti avveniristici (ci sono anche alcuni disegni in bozzetto con poltroncine per una chiacchiera protette da un cactus fonoassorbente, tavoli dove lavorare con il proprio pc e consumare anche un pasto veloce) per rendere piacevole quel tuffo in ufficio, prenotando di volta in volta postazioni di tutto attrezzate meno di una cosa: il personal computer.
Quello, assegnato a ogni dipendente, dovrebbe essere utilizzato sia a casa che in ufficio con il piccolo disagio di doverselo portare nel tragitto magari a spalle in uno zainetto. Cosa che è diventata un dramma. Per capirlo basta citare passaggi dei comunicati sindacali piovuti sull'argomento. Eccone uno del Sibc che profetizza per questo viaggio con pc casa-ufficio addirittura l'aggravio di «sedute fisioterapiche» per i poveri dipendenti chiedendo un intervento dei medici competenti della Banca di Italia: «A parte i profili di sicurezza connessi con il trasporto pubblico, infatti qualcuno ha mai effettuato una analisi sugli effetti a medio e lungo termine del trasporto di un computer di quasi due chili per magari due ore al giorno?
Se sì, ci piacerebbe poterne leggere i contenuti. Se no, come viene giustificata questa dimenticanza?». La Uil Bankitalia ammette che «il pc non pesa come lo zaino del soldato», ma aggiunge: «Ricordiamo però che non è del tutto peregrina l'ipotesi di essere rapinati o derubati durante i tragitti casa-lavoro-casa, con un aumento esponenziale del rischio al moltiplicarsi dei viaggi...».
Drammoni, quelli del buono-pasto-vacanza del pc che pesa sulle spalle di 6.629 dipendenti - di cui 3.532 in area manageriale e alte professionalità - in cerca di autore e di funzione, viste che le più importanti sono state perdute negli anni e trasferite alla Bce. Ma non sembra essere questa la loro preoccupazione.
Bruxelles entra a gamba tesa nella questione della regolamentazione dei prezzi di gas e petrolio. Mercoledì la Commissione europea dovrebbe approvare un pacchetto energia in cui si fissa un tetto ai prezzi.
Non si tratta di una misura lineare. Il tentativo dell’Unione è infatti di favorire i redditi bassi, ovvero coloro che hanno un Isee inferiore ai 28mila euro. Inoltre, dopo una lunga trattativa fra gli Stati membri, si è anche arrivati a definire una sorta di piano di emergenza che può scattare sulla base della richiesta di due Paesi.
Di che cosa si tratta esattamente? In pratica, sulla base della domanda da parte di due Paesi, Bruxelles potrà attivare una forma di solidarietà comunitaria che di fatto obbliga gli Stati con maggiori risorse energetiche ad aiutare quelli in maggiore difficoltà. Il meccanismo andrà chiaramente rodato, anche perché è frutto di una lunga negoziazione in un momento assai delicato per tutti i Paesi dell’Unione. Complice l’inflazione alle stelle e i prezzi dell’energia sotto pressione.
Secondo quanto risulta a Verità&Affari, la misura di solidarietà dovrebbe avere un carattere temporaneo. A chiedere che ci fosse un limite temporale è stata l’Olanda per evitare che una circostanza emergenziale si trasformi poi in una misura di carattere strutturale.
SCONTRO NUCLEARE
Intanto la Germania ha riaperto il vaso di Pandora della tassonomia verde. In un giro di consultazioni condotto dalla presidenza francese dell’Unione, Berlino ha detto che si opporrà al regolamento delegato comunitario che classifica nucleare e gas come attività sostenibili, utili alla transizione. «Questo è un segnale politico importante che chiarisce che l'energia nucleare non è sostenibile» hanno chiarito fonti del ministero dell'ambiente tedesco. Da Berlino arriva così uno schiaffo alla Francia, grande produttore di energia dell’atomo.