2024-08-10
«Guardavo “Amarcord” ogni sera. E alla fine ho incontrato Fellini»
Antonella Ponziani (Getty Images)
Antonella Ponziani: «È stata la legge dell’attrazione, funzionò anche con Monicelli. Ero timida, sono entrata nel mondo del cinema per obbligarmi a relazionarmi con gli altri. Che rimpianto non aver dato il mio numero a Verdone».Antonella Ponziani, lanciata giovanissima da Federico Fellini in Intervista nel 1987, ha ricevuto il riconoscimento alla carriera al Premio Atena Nike nel Teatro Greco a Tindari. Un tributo che suona un po’ prematuro di fronte alla sua contagiosa vitalità. Con la sua inconfondibile voce, in cui giungono echi di Monica Vitti, rievoca la sua complicata esistenza che l’ha resa unica nel panorama del cinema italiano.Che significato ha per lei un premio alla carriera?«Sono ancora un po’ giovane! Mi sento pronta per iniziare una grande carriera perché adesso ho imparato il mestiere sul serio. Diciamo allora che è un premio alla carriera che sta per venire. Lo prendo così. Devo ringraziare il patron Fabio Saccuzzo che ha deciso di assegnarmi questo premio e ha colto la mia sensibilità di donna che cerca di afferrare quest’anima dove abito dentro. La Sicilia è una terra che amo moltissimo e mi ha fatto crescere molto: c’è un magnetismo, delle onde che fanno bene alla mente».Hai girato film in Sicilia?«Un film tra ottobre e i primi di dicembre, diretto da Marianna Sciveres. Si intitola L’acqua fresca e deve ancora uscire nelle sale. Vi interpreto una cantante jazz che torna a casa a Catania e viene rinchiusa dalla sorella, interpretata da Lucia Sardo, perché deve disintossicarsi, non si capisce se da droghe o alcol. Incontra una sua vecchia fiamma, un inglese che aveva passato lì le vacanze durante la scuola, anche lui un po’ spento e in cerca di nuove emozioni».Ha interpretato una ragazza catanese?«La regista mi ha fatto un anno di provini perché il produttore Andrea Stucovitz diceva: “Ci sono tante siciliane, perché devi prendere Antonella Ponziani per fare una catanese, sorella di Lucia Sardo che è catanese?!”. Abbiamo fatto una lotta e alla fine l’ho spuntata io. Volevo a tutti i costi interpretarla perché ho quella sensibilità, quel carattere un po’ bambinesco. Stavo sempre in sottana perché il film è girato in estate, in una camera da letto. Io sono molto magra, mi rifiuto di ingrassare. Sono più secca di quando avevo 12 anni! Dove sta scritto che una donna a 60 anni deve essere sovrappeso? Mi sono portato dietro anche il mio gatto Pisellino…».Come mai?«Quando canto in casa, lui si emoziona e si mette quasi a ballare, alla regista è piaciuta questa cosa e mi ha costretto a portarlo in Sicilia. Il produttore diceva: “Ma voi siete matte: prima la Ponziani, che non è catanese, ora pure il gatto! E se scappa?”. Ma Pisellino è stato bravissimo, quasi geniale, perché si fidava di me».Paradossale: combatte contro il tempo, tentando in tutti i modi di rimanere giovane, e la premiano alla carriera!«Avendo iniziato nell’85-86, sono passati tanti anni. Io già da bambina volevo avere una professione. I bambini perdono tanto tempo davanti alla televisione e ai videogiochi, io invece sono nata professionista. Mi segnai a danza classica, ma per risparmiare sul tutù che costava centomila lire i miei genitori non mi fecero fare il saggio. Mi ero impegnata tutto l’anno, per cui ci rimasi male e lasciai la danza. Mi sono sentita una bambina incompresa: volevo una cosa, ma non avevo la famiglia adatta». Non l’hanno assecondata in nulla?«Assolutamente in nulla. Poi mio papà è morto quando avevo 15 anni e mia madre, con quattro figli, si è dovuta concentrare a vivere, quindi ero una bambina trascurata, ma lottavo come una pazza per perseguire il mio scopo di essere una professionista, tanto che comprai pure un pianoforte, facendo una guerra civile dentro casa, perché mi ero appassionata al jazz. Mio fratello Maurizio mi sentì suonare Thelonious Monk, si appassionò pure lui, mi fregò il pianoforte e, morale della favola, è diventato un cantautore. Allora mi sono comprata il sax. Una guerra è stata».Come ha fatto a entrare nel mondo del cinema?«Perché non ce l’ho fatta a diventare una musicista professionista… non puoi essere una musicista se sei una scappata di casa come me! Mi rifugiavo nel mio mondo onirico a leggere Pasolini, perché il mondo fuori era brutto, e un giorno mi sono detta: “Se non faccio un mestiere che mi costringe a relazionarmi con gli altri, rischio di diventare autistica. Mi sa che mi conviene entrare nel mondo del cinema”. Adoravo recitare, inventavo spettacoli ovunque stavo. Alla fine ho incontrato Federico Fellini…».Come?«Per una serie di coincidenze o per la legge dell’attrazione. Io pensavo sempre a Fellini perché avevo una compagna di banco con cui andavo sempre al cinema. Anche lei era una ragazzina a cui era morto il papà, un ambasciatore. Andavamo sempre a vedere Amarcord alle medie! Io dicevo: “Caterina, non si può andare a vedere Amarcord venti volte, non è un film per bambini!”. Invece lei tutti i giorni voleva vederlo e quindi mi si è stampato nel cervello Federico Fellini. Non sapevo che volto avesse e un giorno mi sono trovata in braccio a lui in una festa di compleanno! Era stata invitata mia sorella più grande, ma aveva dato buca, e il generale Giambartolomei, amico di Fellini, aveva portato me e mia madre».Un segno del destino!«Questo sconosciuto mi punzecchiava, io passavo dal silenzio assoluto allo sproloquio perché non ero abituata al dialogo. Il giorno dopo è arrivata la telefonata del generale Giambartolomei a mia madre: “Porta la ragazzina a Cinecittà. Fellini è impazzito: la vuole mettere in E la nave va” ». Ha fatto un ruolo in E la nave va?«Macché! Mia madre disse: “No”. Volevano anche lei perché a 45 anni era bella, bionda, io invece mi ero fatta i capelli fucsia cortissimi, mi vestivo da maschio, in seguito allo shock della morte di mio padre, e avevo messo su qualche chilo. Dopo quel no ho vissuto anni di atroci sofferenze, in cui non mi davo pace: per molto tempo ho sognato ’sta nave de Federico Fellini che partiva senza di me! Terrificante! Sono andata a lavare i piatti a Londra e a studiare inglese e canto, quando sono tornata a Roma sono andata a cercare Fellini, che mi ha fatto fare la comparsa in Ginger e Fred e poi mi ha preso come protagonista per Intervista, insieme a Sergio Rubini». Fellini si ricordava di lei?«Sì, appena mi ha rivisto: “Antonellina, ma che faccetta familiare!”. Fellini non dimenticava mai una faccia, soprattutto ’ste facce da gatto con gli occhi grandi e il naso piccolo: “Mi ricordi tanto Claudia Cardinale…”. E io rispondevo: “Ma io sono brutta”… Quando sei maltrattata, ti senti pure brutta». Ha avuto una fama immediata con l’Intervista?«Assolutamente. La mia carriera è iniziata a 23 anni, tra alti e bassi dovuti anche alla mia immaturità. Se fossi stata più matura, avrei stretto amicizia con i miei colleghi, ma avevo conservato questa mia timidezza, lavoravo e mi andavo a buttare dentro casa a dipingere, a suonare, mi chiudevo nel mio mondo. Ero abituata così».Ha rimpianti per qualche scelta professionale?«I rimpianti li ho nella vita privata, dove ho sbagliato tutto: uomini inutili, invidiosi del mio successo, tendevo a mettermi con sfigati che non combinavano niente. Una guerra tutti i giorni, senza motivo. Così ho sprecato la mia gioventù».Quando lo ha capito?«Quando mi sono ritrovata senza nulla, a una certa età. Alla luce delle mie esperienze, suggerisco alle donne che alla prima aggressione devono scappare. Io sono di indole molto pacifica, un po’ accomodante, è quasi impossibile litigare con me, è più facile vincere l’Oscar! Quando camminavo per strada mi chiamavano la francesina perché avevo il nasino all’insù: ero troppo dolce, timida, un po’ Giamburrasca. Nessuno mi aveva messo in guardia dagli uomini violenti che adesso chiamano in modo ridicolo narcisisti. Ma il narcisista è uno che si ama, questi uomini violenti godono a infliggere sofferenze alle donne a cui dovrebbero dare pace e amore». Senza queste vicissitudini non sarebbe diventata l’attrice sensibile che non passa mai inosservata, come in Un’altra vita di Carlo Mazzacurati e Ferie d’agosto di Paolo Virzì.«Grazie a tutte queste lotte, sono diventata un’attrice che quando c’è un personaggio lo acchiappo e me lo magno, come diceva Alberto Sordi. Devo Un’altra vita a Nanni Moretti che era venuto a vedere lo spettacolo Crack, messo in scena con un gruppo di ragazzini al Teatro Argot. Fu lui a dire a Mazzacurati: “Prendi la Ponziani”. Questa carriera me la sono conquistata a mozzichi».Altra esperienza importante è stata con Mario Monicelli per Cari fottutissimi amici.«Quella è stata un’altra legge dell’attrazione. Da bambina dicevo: “Io voglio fare un film con Monicelli”. Era simpatico, l’adoravo. Era burbero, ma io ero furba e facevo di tutto per non farmi rimproverare. Mi è dispiaciuto aver perso un film con Carlo Verdone…».Quale?«Perdiamoci di vista. L’avevo incontrato alla premiazione dei Nastri d’argento, era il mio momento d’oro, avevo appena vinto il David di Donatello per Verso sud di Pasquale Pozzessere. Carlo mi ha detto: “Chissà quante proposte hai…”, ma non sapevo cosa dire perché ero intimidita dalla sua presenza e non gli diedi il mio numero di telefono. Adesso quando nei festival incontro un regista interessante, dico subito: “Prendi il mio numero”!».Il personaggio di Verso sud è il ruolo della sua vita…«Pozzessere cercava una ragazza per fare il ruolo di una disadattata e io in quel personaggio mi ritrovavo. Qualcuno fece il nome di Anna Falchi, ma il direttore di produzione di Nanni Moretti, Gigi Lagrasta, incontrò Pasquale per strada e gli disse che ero perfetta per quel ruolo “perché ha tutte le sfaccettature” e infatti gli ho fatto vincere tutti i premi possibili e immaginabili. Spero che con questo premio la mia carriera riesploda perché come diceva il mio primo maestro, Federico Fellini, “Antonellina, il successo serve per fare meglio il nostro mestiere”. Non per sentirsi fighi o superiori agli altri».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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