Il Comune di Roma stanzia quasi 13 milioni di euro per provare a sistemare 2.200 nomadi in appartamenti in affitto e chiudere sei baraccopoli. Ma il piano (già fallito con Virginia Raggi) non tiene conto dei clandestini. Le opposizioni: il sindaco gioca coi soldi pubblici.
Il Comune di Roma stanzia quasi 13 milioni di euro per provare a sistemare 2.200 nomadi in appartamenti in affitto e chiudere sei baraccopoli. Ma il piano (già fallito con Virginia Raggi) non tiene conto dei clandestini. Le opposizioni: il sindaco gioca coi soldi pubblici.Il sindaco Roberto Gualtieri c’è e batte un colpo sui rom. Entro il 2026, vuole che siano chiusi i campi nomadi della capitale, pardon, «villaggi attrezzati», e stanzia per l’epica impresa 12,9 milioni di euro. Per quasi due anni è andato avanti con il piano di Virginia Raggi, che aveva chiuso cinque insediamenti, provando a inserire i rom nel circuito degli affitti privati (il Comune pagava due anni di locazione) con scarsi risultati. Sul piano di Gualtieri, che si basa su numeri ancora ballerini, le opposizioni sono già sul piede di guerra. Non saranno i 30 milioni ottenuti da Gianni Alemanno nel 2011, ma sono comunque tanti soldi. Per farsi un’idea, l’intero piano per 2.000 nuovi alloggi popolari di Roma oscilla tra i 15 e i 20 milioni di euro.Il progetto della giunta romana è stato approvato venerdì e va a intervenire sui circa 2.200 residenti nei sei «villaggi attrezzati»: via Candoni (Magliana), Castel Romano, via Salviati (Tor Sapienza, proprio dietro l’ufficio immigrazione della Questura), via di Salone (Settecamini), via dei Gordiani (Prenestino), via Cesare Lombroso (Primavalle). Come in passato, si parla di contrasto all’antiziganismo e partecipazione dei quartieri, regolarizzazione dei documenti, accesso alla casa, inclusione sociale e promozione della salute, accesso all’istruzione e al lavoro. Tutti bei principi, per carità. Ma le soluzioni ancora non sono indicate. Ma l’attenzione, par di capire dalle anticipazioni, sarà correttamente sul tema delle abitazioni. Il piano Gualtieri prevede «l’individuazione di soluzioni abitative diversificate per far fronte alle esigenze dei nuclei familiari, anche attraverso progettualità innovative di housing», per «integrare l’offerta di patrimonio immobiliare pubblico rappresentata dagli alloggi di Erp, destinata ai nuclei aventi diritto». Si comincerà già entro fine anno con il campo Lombroso, che è abbastanza vicino a un’area già recuperata e sviluppata come quella di Santa Maria della Pietà, lo storico ex ospedale psichiatrico della città.Le opposizioni hanno scoperto il piano dalla stampa locale e sono subito insorte. Federico Rocca, consigliere capitolino di Fdi, oltre a denunciare che il progetto si basa su numeri falsati e che ignorano la miriade di insediamenti abusivi, osserva: «Se Gualtieri pensa che il problema possa essere risolto con un accordo tra Roma Capitale e i residenti nei campi si illude di brutto», afferma l’esponente FdI, «ma la cosa più triste è che questo fallimento si compirà a spese dei romani visto che ancora una volta milioni di euro saranno spesi per non risolvere il problema». La strada degli accordi con le singole famiglie è stata battuta già dalla Raggi con scarsi risultati. A parte il fatto che molti non affittano volentieri ai rom, c’è un problema oggettivo: il mercato immobiliare non prevede pagamento in nero e chiede garanzie agli inquilini. Garanzie che una famiglia rom quasi mai è in grado di offrire, quando vengono meno gli aiuti del Comune, perché gli adulti lavorano quasi tutti in nero.Il tema della casa, però, è un tema assai sensibile e il riferimento del sindaco agli alloggi Erp, ovvero alle case popolari, rischia di aprire un fronte delicato. I fondi del Piano rom 2023-2026 ammonterebbero a poco meno di 13 milioni per un totale di 2.200 persone. Sono 5.900 euro a persona o, applicando un coefficiente familiare di quattro, rappresentano 23.636 euro a famiglia. Sono molti di più dei 10.000 euro massimi a nucleo stanziati da Virginia Raggi. Ma se uno va a vedere l’ultimo piano di Gualtieri, annunciato a marzo scorso, sull’edilizia popolare, scopre che ci sono 14.300 romani in lista d’attesa e che si prevede di acquistare in quattro anni 2.000 alloggi da Ater e Inps, per un massimo di 20 milioni (ma il Comune ritiene di poter ottenere un ampio sconto). Insomma, se alla fine il sindaco riuscirà a cavarsela con 15 milioni per sistemare 2.000 famiglie nelle case popolari, la cifra sarà poco superiore ai 12,9 milioni che vuole spendere per spostare 2.200 rom.Resta il fatto che in realtà non si sa bene quanti siano i rom, anche perché il 20% di quelli che risiedono nei «villaggi» (e che quindi sono registrati) non ha i documenti. Figurarsi gli altri che vivono accampati qua e là lungo il Tevere o l’Aniene. Nel 2017, secondo la Croce Rossa, erano 4.500. Nel 2019, il Viminale fece una rilevazione certosina e oltre ai circa 3.500 «ufficiali» ne trovò altri 2.000, divisi in 338 accampamenti abusivi. Oggi siamo a 2.600 persone censite, ma secondo uno studio dell’Istituto superiore di Sanità, pubblicato a fine aprile, la popolazione nomade della capitale, tra rom e sinti, raggiungerebbe quota 8.000. Se la realtà è questa, i 13 milioni di Gualtieri per invogliare 2.200 rom a mettere su casa rischiano di affrontare solo una piccola parte del problema. Ancora da capire chi sarà destinatario dei bandi, ma tutto lascia supporre che si continuerà con le solite cooperative che già operano da parecchi anni nei campi. Campi che anche con Gualtieri non si sono svuotati.
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
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