- Dalle vecchie auto alle caldaie ai vestiti a fibre sintetiche, la transizione ecologica accelerata produce un aumento esponenziale di rifiuti tossici. E la tecnologia dello smaltimento non riesce a tenere il passo.
- Il fondatore di Spirit Angelo Forestan: «Siamo l’unica azienda che recupera le batterie, ma poi dobbiamo vendere all’estero il materiale ottenuto. Servirebbero investimenti, come in Francia e Germania, invece nel Pnrr non c’è niente».
- Allarme Unrae sugli sfasciacarrozze per l'inquinamento di falde e fumi tossici.
- Eolico: pale obsolete in soli 15 anni.
- Pannelli solari: riciclo quasi impossibile.
Dalle vecchie auto alle caldaie ai vestiti a fibre sintetiche, la transizione ecologica accelerata produce un aumento esponenziale di rifiuti tossici. E la tecnologia dello smaltimento non riesce a tenere il passo.Il fondatore di Spirit Angelo Forestan: «Siamo l’unica azienda che recupera le batterie, ma poi dobbiamo vendere all’estero il materiale ottenuto. Servirebbero investimenti, come in Francia e Germania, invece nel Pnrr non c’è niente».Allarme Unrae sugli sfasciacarrozze per l'inquinamento di falde e fumi tossici.Eolico: pale obsolete in soli 15 anni.Pannelli solari: riciclo quasi impossibile.Lo speciale contiene cinque articoli.Auto escluse dalla circolazione in aree urbane sempre più vaste che all’improvviso diventano inutilizzabili e quindi da rottamare, batterie di vetture elettriche da smaltire, vecchi infissi e caldaie da rottamare e poi dispositivi elettronici, pannelli solari, pale eoliche. La transizione ecologica sta rivoluzionando le nostre abitudini, accelerando la fine di tanti prodotti sostituiti da altri che hanno una vita sempre più breve. L’altra faccia del Green Deal è l’aumento esponenziale dei rifiuti tossici ad un ritmo accelerato mentre la tecnologia dello smaltimento e del riciclo è ancora poco efficace e costosa. Si moltiplicano i divieti alle vecchie auto ma nessuno si pone il problema di come sarà rottamato questo immenso parco circolante. Come nessuno si pone ancora con urgenza il tema dello smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici, al momento poche decine di migliaia quelle verso la fine della loro vita, ma che presto diventeranno milioni. Poi ci sono i vecchi elettrodomestici, con una vita sempre più breve, sostituiti da prodotti più ecologici e performanti. Un’indagine di Altroconsumo ha rivelato che quasi il 40% dei «grandi bianchi», ovvero frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, asciugatrici, e congelatori, non arrivano agli impianti di smaltimento autorizzati scomparendo in discariche abusive, in altre abitazioni private, in depositi o nei mercatini dell’usato. Il peso degli elettrodomestici abbandonati arriva a circa 44.000 tonnellate. Su 205 «pezzi», solo 107 (il 61% del totale) sono effettivamente approdati in impianti autorizzati, in grado di garantire cioè un trattamento corretto dal punto di vista ambientale. Gli altri 67 (pari al 39%) sono stati sottratti alla filiera «ufficiale» finendo nei flussi paralleli. Questi apparecchi hanno una vita cortissima, spesso vengono sostituiti dopo pochi anni, a causa di un marketing che propone oggetti più in linea con gli standard ecologici. Il bonus del 110% ha accelerato i lavori di coibentazione per il risparmio energetico e prodotto una quantità mai vista prima di scarti: infissi inutilizzabili, caldaie, materiali edili sono andati al macero o dirottati verso località dove le misure ecologiche sono meno stringenti.L’arrivo dei nuovi criteri di certificazione energetica, imporranno lavori di ristrutturazione nella maggior parte del patrimonio immobiliare. Questo significa che improvvisamente si produrranno tonnellate di materiali da smaltire, molti dei quali ad alto impatto ambientale come le plastiche.Tra gli obiettivi della transizione ecologica c’è anche un capitolo che riguarda il tessile. Entro il 2030, addio fibre sintetiche, quelle finora padrone dell’abbigliamento perché veloci da asciugare e nemiche del ferro da stiro. Ad oggi solo l’1% di tutto il tessile nel mondo viene riciclato. Il resto va a finire nelle discariche, spesso illegali, nei mercati secondari e in regioni povere. La guerra serrata a queste fibre rischia di creare una montagna di rifiuti difficili da gestire. I materiali sintetici, rappresentano oggi il 60% delle fibre tessili immesse nel mercato (il poliestere è la più usata). Un altro problema della transizione ecologica è lo smaltimento delle vecchie auto endotermiche ma anche, in una prospettiva ravvicinata, delle batterie delle elettriche e delle ibride.I blocchi della circolazione in vaste aree nelle maggiori città inducono al ricambio veloce delle vetture. Le periferie urbane si stanno trasformando in discariche di carcasse che vengono affidate agli sfasciacarrozze. Spesso questi operano senza alcun rispetto delle normative sull’impatto ambientale. Le cronache riportano casi sempre più frequenti di roghi che esalano fumi tossici mentre i liquami chimici che escono dalle batterie vanno ad inquinare il terreno fino ad arrivare nelle falde acquifere. Altre auto prendono la strada di località dove i vincoli ambientalistici sono laschi o inesistenti e continuano a inquinare. Mentre procede serrata la guerra alle vetture a benzina e diesel, non avanzano con la stessa velocità i siti e la tecnologia di smaltimento. La produzione di batterie per e-car aumenta del 25% l’anno in media, e tra 10 o 15 anni la quantità di batterie da smaltire e riciclare sarà drammatica. Di qui al 2030 la domanda di motori elettrici aumenterà di oltre dieci volte. Entro il 2030 si stima che saranno almeno 30 milioni le e-car sulle strade dell’Ue. Milioni di batterie dovranno essere smaltite.Attualmente è più facile riciclare le tradizionali batterie con piombo e acido che non quelle a litio e ioni delle auto elettriche, poiché contengono molti elementi pericolosi e inquinanti, dal cobalto al nickel al manganese. Devono essere smaltite in modo corretto e soprattutto in strutture specializzate: se il processo è a norma non ci sono rischi né per le persone né per l’ambiente ma se gli elementi che ne fanno parte vengono dispersi, possono provocare dei danni, anche ingenti. Gli impianti specializzati nello smaltimento e riciclo delle batterie a litio si trovano solamente in pochi Paesi europei, per lo più in Germania, Francia, Belgio e Spagna. Il processo è ancora economicamente molto dispendioso e sono in corso gli esperimenti per un processo idrometallurgico in grado di recuperare oltre il 90% dei metalli contenuti nella batteria.Il Consiglio europeo ha approvato in via definitiva a luglio scorso il nuovo regolamento sui motori elettrici. I produttori dovranno occuparsi del recupero entro il 2023 di almeno il 45% degli scarti, del 63% entro il 2027 e del 73% entro il 2030. La nuova normativa prevede pure che «entro il 2027 le batterie portatili incorporate negli apparecchi siano rimovibili e sostituibili dall’utilizzatore finale». Si è anche fissata una percentuale di recupero del litio dagli scarti pari a al 50% entro il 2027 e all’80% nel 2031. Sono percentuali che al momento appaiono difficili da raggiungere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/green-deal-inquinamento-2665978590.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="allitalia-mancano-industrie-che-riutilizzino-i-metalli-riciclati" data-post-id="2665978590" data-published-at="1697460271" data-use-pagination="False"> «All’Italia mancano industrie che riutilizzino i metalli riciclati» «In un viaggio in Africa mi sono imbattuto in alcuni bambini che smontavano vecchie batterie per ricavare i metalli per le industrie. Tutto avveniva nel totale dispregio delle norme per il lavoro minorile e per la tutela della salute e dell’ambiente. Quei bambini che mettevano le mani in sostanze chimiche molto pericolose, mi fecero riflettere a lungo. Era il 2008 e nonostante in Europa e in Italia già circolassero auto elettriche e ibride, non si parlava ancora dello smaltimento e riciclaggio delle batterie. C’erano alcune multinazionali che si occupavano dell’estrazione e dalla raffinazione dei metalli contenuti nelle celle delle batterie, ma erano realtà isolate. Da quel viaggio in Africa ho cominciato a pensare di avviare un’attività che si occupasse di questi prodotti di scarto. Batterie in generale, da quelle dei veicoli a quelle di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di computer, cellulari, dei pannelli fotovoltaici». La storia della Spirit di Angelo Forestan, con sede a Chiampo in provincia di Vicenza, comincia così e va avanti tra mille difficoltà, tra pastoie burocratiche e problematiche di accesso ai finanziamenti, anche di quelli destinati all’economia circolare. Cosa fa esattamente la Spirit con le batterie? «La mia azienda nasce nel 1984 per trattare i materiali di scarto dell’industria chimica di un altro settore. Dopo quel viaggio in Africa e dopo aver studiato la legislazione europea ed italiana e quello che offrivano altri Paesi in Europa, ho pensato che era una follia continuare ad esportare ricchezza. Le batterie sono infatti uno scrigno perché contengono metalli che possono essere riutilizzati per costruire altre batterie. Ho impiegato oltre tre anni per avere tutti i permessi e avviare questa attività. La Spirit produce quella che viene definita la black mass, ovvero la polvere anodica e catodica tratta dalle celle delle batterie. Contiene composti del cobalto, nichel, litio, manganese e grafite ma anche i cavi elettrici di rame, il Bms, la plastica o il metallo del pack». Che fine fa questa polvere tratta dalle batterie? «Purtroppo prende la via dell’estero. In Italia non ci sono industrie per la raffinazione e il riutilizzo di tali metalli molto ricercati. Spirit è l’unica realtà industriale che recupera e ricicla il contenuto delle batterie e sta studiando come migliorare il processo di raffinazione. Occorrono investimenti importanti». Non c’è il Pnrr? «Chi l’ha visto?». E altri finanziamenti? «Ci sono i fondi per l’economia circolare ma per partecipare ai bandi occorre affidarsi a uno studio di sviluppo, è oneroso e non garantisce l’esito. Quanto alle banche, chiedono piani di previsione di qui ai prossimi dieci anni. Difficile trovare in Italia imprenditori capaci di scommettere su un settore che ha un ritorno economico non immediato e non privo di rischi visto il ritardo con cui l’Italia, in generale, si muove nel settore dello storage, della mobilità elettrica». E allora i metalli ricavati dalle batterie vanno all’estero. È così? «Esattamente. In Belgio, Francia e Germania ci sono multinazionali con miniere in tutto il mondo e che si occupano della raffinazione delle materie prime. Anziché scavare in miniera traggono i materiali da celle di batterie a fine vita. Nella black mass concentrata ci può essere un contenuto di cobalto che può arrivare al 40%. Meglio che estrarlo nelle miniere del Congo. Il governo francese, tedesco ed altri, sono molto attenti all’industria del trattamento di questo tipo di rifiuti perché servono alla produzione di nuove celle. L’Italia ha abbandonato da tempo l’industria elettrochimica, oggetto di una cultura che l’ha demonizzata, perché considerata inquinante a causa di errori di pochissimi. E ora esportiamo ricchezza». Quante batterie arrivano nella sua impresa? «Noi lavoriamo oltre 500 tonnellate all’anno di batterie. La gran parte vengono da smartphone, computer, scouter, impianti industriali, impianti fotovoltaici e circa il 10-20% dalle auto. Provengono dai centri Raee e da aziende operanti nel settore». Chi sono i principali acquirenti dei composti metallici?. «Riforniamo di black mass aziende situate nel Sud Est asiatico che sono all’avanguardia nella produzione di celle, di batterie e di apparecchiature portatili. L’accelerazione della transizione ecologica dovrebbe indurre ad investire, per non essere dipendenti dall’estero, anche in questo settore». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/green-deal-inquinamento-2665978590.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="allarme-sfasciacarrozze-fumi-velenosi-e-falde-contaminate" data-post-id="2665978590" data-published-at="1697460271" data-use-pagination="False"> Allarme sfasciacarrozze: fumi velenosi e falde contaminate «Lo smaltimento delle batterie delle auto elettriche non sarà certamente un problema, semmai un’opportunità». Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, associazione di categoria dell’automotive sostiene che «si sta sollevando un gran polverone sull’impatto ambientale delle vetture elettriche e ci si dimentica dei rischi di uno smaltimento scorretto del vecchio parco circolante endotermico». Le vetture endotermiche in circolazione, spiega, «sono 39 milioni, di cui quasi un quarto ante Euro 4 che prima o poi dovranno essere rottamate». I divieti di circolazione sempre più estesi imposti da alcuni sindaci, porranno il tema della rottamazione di milioni di veicoli con più di 15 anni sulle spalle. Il direttore dell’Unrae punta il dito su un tema sensibile. «Benché l’Italia sia all’avanguardia nell’economia circolare, in questo settore non è stato pienamente raggiunto l’obiettivo dell’85% di riciclo», afferma, «perché, nonostante l’impegno delle case automobilistiche, esiste un sommerso con sacche di attività poco controllate». E indica quello che succede alla periferia di Roma, in via Palmiro Togliatti, nota per gli sfasciacarrozze, una sorta di cimitero delle auto. «Per decenni si è parlato di trasferirli fuori dal perimetro urbano, senza mai riuscirci. Alla fine sono state revocate tutte le autorizzazioni nella provincia di Roma. Ma i siti non sono stati sgomberati né tantomeno bonificati, e non sono rari i casi di incendi, riportati dalle cronache, che creano fumi altamente tossici. Per non parlare dei fluidi che fuoriescono dai motori endotermici, penetrano nel terreno e vanno ad inquinare le falde acquifere. È questa la vera emergenza di danno ambientale. Nel frattempo tante vecchie auto, espulse da alcuni centri urbani finiscono nel Mezzogiorno o in altri Paesi che non hanno i vincoli della transizione ecologica. E continuano ad inquinare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/green-deal-inquinamento-2665978590.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="pale-eoliche-obsolete-dopo-appena-15-anni" data-post-id="2665978590" data-published-at="1697460271" data-use-pagination="False"> Pale eoliche obsolete dopo appena 15 anni L’energia eolica è una fonte rinnovabile il cui sfruttamento è in forte crescita. Nel 2021 la capacità eolica globale installata è risultata pari a 837 GW, il 12,4% in più rispetto all’anno precedente. L’Italia è il quinto paese in Europa in termini di capacità eolica installata. Dopo 15-20 anni dalla loro installazione, molti dei parchi eolici sono considerati obsoleti. Secondo le stime dell’Università di Cambridge, entro il 2050 ci saranno circa 43 milioni di tonnellate di infrastrutture da smaltire. Le pale della turbina, a differenza degli altri componenti, sono più difficili da eliminare. Inoltre la parte interrata resta lì dov’è. Attualmente vengono spedite in altri Paesi, come l’Ucraina, oppure vengono riassemblate in Italia, nel Regno Unito, in Danimarca e in Svezia. Circa il 20% viene riciclato ma sono poche le aziende europee in grado di farlo. Una di esse è una start-up spagnola Reciclalia, che riceve le pale da Francia, Portogallo e Nord Africa. Enel Green Power è parte del progetto DeremCo dell’Ue, che si occuperà di creare una catena di valore per il riutilizzo dei materiali compositi delle pale eoliche. Il piano è iniziato nel dicembre 2022 e avrà una durata di 3 anni, con un budget complessivo di 12 milioni di euro. In Europa la danese Continuum ha annunciato la realizzazione nella Ue di 6 impianti. Dove? Per ora i paesi in lista sono Danimarca, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Turchia. Sarà cofinanziato con i fondi del Pnrr, il progetto del Gruppo Greenthesis per il recupero dei vecchi parchi eolici: i materiali dismessi diventeranno scafi di barche o nuove eliche. Il luogo del conferimento, di proprietà Enel, è a Rossano Calabro, nel Cosentino. Rispetto alla tabella di marcia dell’installazione di nuovi impianti, la tecnologia di smaltimento è in ritardo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/green-deal-inquinamento-2665978590.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="i-pannelli-fotovoltaici-impossibile-recuperarli" data-post-id="2665978590" data-published-at="1697460271" data-use-pagination="False"> I pannelli fotovoltaici? Impossibile recuperarli In Italia nel 2022 erano attivi 1.225.000 impianti fotovoltaici, il 21% in più rispetto al 2021. La metà della potenza installata è concentrata nel settore industriale, seguito dal comparto residenziale, terziario e agricoltura. L’accelerazione è dovuta anche al Superbonus, utilizzato nel 66% delle nuove installazioni lo scorso anni. «Considerato che la vita media dell’impianto fotovoltaico è di circa vent’anni, significa che il nostro Paese ha di fronte il tema di un ammodernamento di milioni di impianti» afferma il ricercatore e analista nel settore energetico e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica, Enrico Mariutti. Il problema è che, per il momento, riciclare i pannelli è antieconomico. Negli Stati Uniti circa il 90% delle strutture solari difettose o a fine vita finisce in discarica, perché questa opzione è più economica del riciclo. Anche nell’Ue il tasso di riciclo è pari a solo il 10%. Eppure contengono materiali preziosi come argento, rame e silicio cristallino, il semiconduttore dominante nella produzione di celle solari per il fotovoltaico, ma anche vetro, alluminio e polimeri derivanti dalle materie plastiche. Però paradossalmente i pannelli, emblema dell’economia green, sembrano progettati per non essere riciclabili. I materiali preziosi sono dislocati in piccole quantità o «incollati» insieme. Se il tutto viene triturato in un impianto di riciclaggio, è difficile o impossibile recuperare i singoli componenti, che peraltro, verrebbero contaminati. È necessario quindi che prima siano individuati e separati, ma per farlo servono procedimenti complessi e attrezzature sofisticate. Le tecniche di trattamento sono costose, spesso in fase di sperimentazione e non ancora ottimizzate per gestire grandi volumi di rifiuti.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.