2021-09-29
«Grazie per le sue attenzioni». La mail della Pedri al primario riscrive il mistero di Trento
Per il caso della giovane ginecologa scomparsa si punta il dito contro il superiore orco. Eppure era lei, in un messaggio mai divulgato, a dirgli: «Le sarò sempre riconoscente».«Le sarò sempre profondamente riconoscente». Non è propriamente un'accusa di maltrattamenti o di mobbing quella che la dottoressa Sara Pedri muove al primario Saverio Tateo. La frase è contenuta nella mail che gli invia sei giorni prima di scomparire, dopo avere abbandonato la Volkswagen T-Roc sul ponte di Mostizzolo (Trento), con la portiera aperta e lo smartphone sul sedile. Di lei non c'è traccia dal 4 marzo scorso nonostante mesi di ricerche. Ottantacinque metri sotto quella gola scorre il torrente Noce. È una tragedia senza fine per la famiglia della giovane ginecologa di Forlì (31 anni), è il caso dell'estate per il sistema mediatico e per una trasmissione cult come Chi l'ha visto?. E diventa un incubo per il primario, costretto a difendersi dall'insinuazione di avere indotto la donna a un gesto estremo.La lettera è la comunicazione ufficiale a Tateo della decisione della Pedri di lasciare l'ospedale trentino di Santa Chiara per tornare, dopo quattro mesi in prova, a quello di Cles. «Gentile direttore, comunico che dal giorno 1 marzo 2021 rientrerò in servizio presso l'U.O. Di Cles, presi accordi con il dottor Luzietti. Le sarò sempre profondamente riconoscente per le attenzioni e la cura con cui ha seguito i miei primi passi in campo lavorativo. Proseguirò con il massimo dell'impegno». La mail di gratitudine è del 26 febbraio e viene inviata in copia anche a Roberto Luzietti, responsabile del punto nascite di Cles. Un passaggio fondamentale per capire i rapporti fra i due protagonisti d'una vicenda che ha subìto fin qui una narrazione a senso unico, colpevolista. Un documento che finora nessuno ha reso noto.Da mesi il responsabile del reparto di Ginecologia e Ostetricia di Trento e la sua vice Liliana Mereu sono al centro delle accuse di una decina di dipendenti (il reparto ne ha un centinaio fra ginecologi e ostetrici) per comportamenti vessatori, violenze verbali, discriminazione nella gestione dei turni. La stessa Emanuela Pedri descrive un clima eufemisticamente poco sereno riportando i whatsapp della sorella prima di scomparire: «Qui è un inferno», «Mi trattano come se fossi una lavapavimenti», «In sala operatoria sono stata schiaffeggiata sulle mani come alle elementari». Sui social si scatena la consueta canea, il processo viene istruito via edicola, Tateo è minacciato di morte («Vorrei sentirvi urlare i dolori del parto dalle mazzate che vi darei») ed è costretto a una denuncia contro ignoti.Incalzati dal furore mediatico, Tateo e Mereu subiscono l'inchiesta di una Commissione disciplinare interna, poi quella sprint (due giorni) degli ispettori mandati dal ministro Roberto Speranza e guidati da Maria Grazia Laganà (Pd), vedova di Francesco Fortugno. Il rapporto è singolare: il reparto viene definito un'eccellenza, i pazienti sono molto contenti di Tateo, però lui «non sa relazionarsi con i colleghi». Eppure raramente una realtà con conflitti interni accentuati è un'eccellenza. La conseguenza è il trasferimento ad altro incarico di primario e vice (ma entrambi chiedono immediatamente il reintegro), mentre il reparto Nas dei carabinieri indaga per maltrattamenti. L'inchiesta della procura di Trento prosegue sotto traccia e l'ospedale Santa Chiara, da gioiello riconosciuto da medici e pazienti, si trasforma sui media in una grigia e opprimente caserma. Ma è proprio così?È il novembre 2020 quando, in piena seconda ondata Covid, il primario Tateo riceve una mail dal punto nascite di Cles (in chiusura per l'emergenza sanitaria) in cui si chiede se è disponibile a prendere in servizio la dottoressa Pedri, in arrivo da Catanzaro dopo avere vinto il concorso. La risposta è affermativa, lei trova casa a Cles e va a lavorare a Trento, 40 minuti di auto. Poiché è di prima nomina, senza esperienza specifica e deve sobbarcarsi il viaggio, viene trattata con un occhio di riguardo nella formazione dei turni: uno solo di notte, mai nei fine settimana, mai a Natale e Capodanno. È affiancata da un collega più anziano; lei ha molto da imparare e c'è poco tempo per un inserimento soft. Da novembre il virus imperversa, lo stress attanaglia anche i medici più esperti e l'ospedale è in trincea. Il professor Tateo non incontra spesso la Pedri nei quattro mesi al Santa Chiara; lei è uno dei 28 ginecologi in pianta organica, più 75 ostetriche. Di sicuro la vede quattro volte: quando le chiede quali siano i suoi interessi per le turnazioni (comincia come quasi tutti dal Pronto Soccorso) e quando lei fa domanda per seguire un corso di Ecografia 2º livello. La risposta è: «Va bene». Un altro paio di volte si incrociano in sala operatoria. Pedri ha molti più contatti con i colleghi ed è strano che nessuno abbia segnalato al primario le sue difficoltà d'inserimento. A febbraio la ginecologa informa Tateo per telefono di non essere più convinta di rimanere a Trento. Qualche giorno dopo arriva la mail con quel «le sarò sempre profondamente riconoscente». Torna a Cles, parla con il nuovo primario ed esprime la volontà di dimettersi. Il 3 marzo lo fa e scrive al fidanzato Guglielmo: «Mi sono liberata di un peso, finalmente stanotte dormirò». Il giorno dopo scompare. Saverio Tateo è un chirurgo, ginecologo e oncologo affermato, la stessa Pedri in una mail recuperata dai Nas lo definisce «sovrano illuminato». È primario a Trento da dieci anni e quando scoppia lo scandalo molti pazienti gli esprimono privata e pubblica solidarietà. La sua vice Mereu è definita un medico di valore, «una professionista dal carattere forte». Però c'è un problema. Nel reparto guidato da loro aleggia una conflittualità latente dal 2018, ben prima del caso della dottoressa scomparsa. Quell'anno alcuni medici accusano Tateo per il troppo lavoro e per i turni stressanti. Ne deriva un contenzioso sindacale, l'azienda ospedaliera fa quadrato attorno al primario. Qualche sacca di malcontento rimane sottotraccia. Nel maggio 2021 Tateo viene riconfermato per altri cinque anni con una valutazione lusinghiera: ottiene il massimo punteggio per avere raggiunto tutti gli obiettivi scientifici e dirigenziali. Poi scoppia lo scandalo e i vertici del Santa Chiara cambiano linea. L'esposizione mediatica è notevole e le accuse di mobbing potrebbero coinvolgere per proprietà transitiva gli stessi dirigenti amministrativi: il direttore generale Pierpaolo Benetollo si dimette, Tateo viene spostato a Pergine Valsugana con una decisione dell'Ausl di Trento. L'amministrazione contesta al primario l'incompatibilità in base al contenuto di 14 dichiarazioni d'accusa di altrettanti ginecologi su 104 audizioni. Nel fascicolo non si parla mai di Sara Pedri. Sottolinea l'avvocato Salvatore Scuto, difensore di Tateo: «La Commissione disciplinare ha utilizzato il risultato della Commissione d'inchiesta interna dell'ospedale in maniera parziale, prendendo alcune dichiarazioni e rifiutando di portare a conoscenza di Tateo l'intero risultato. Di fatto conosciamo 14 dichiarazioni su 104. Questa è una violazione del diritto di difesa che si sta perpetuando in tutto il procedimento disciplinare, viziandolo». Si parla di mobbing, un reato che i codici italiani normano con il labile perimetro delle «umiliazioni professionali»; gruppi di pressione radical approfittano per chiedere la revisione della legge. Sul sito della Treccani, per descrivere nuove forme di mobbing, si prende spunto dalla vicenda Pedri e dalla «persecuzione subìta», come se ci fosse già una sentenza. In questo clima, a difesa del prestigio del reparto scendono in campo i medici. In 15 firmano una lettera nella quale spiegano: «Ci unisce la passione per il lavoro, la premura per le pazienti, l'orgoglio per la nostra professione. Ci unisce la volontà di eccellere e di portare avanti ogni giorno quanto abbiamo costruito negli anni sotto la guida del dottor Saverio Tateo, un professionista che con grandi capacità ed estrema passione ha portato la Ginecologia e l'Ostetricia del Santa Chiara ai vertici nazionali e al quale va la nostra stima».La Tv e Facebook sono le casse di risonanza più potenti nel testimoniare l'abbraccio a Sara Pedri. Particolarmente affettuosi sono i post degli ex colleghi di Catanzaro. Soprattutto di Menotti Pullano, direttore del reparto di ginecologia dell'ospedale universitario Pugliese Ciaccio, che per primo la definí «red bull» per i capelli rossi e la grinta, e di Roberta Venturella, responsabile del centro di procreazione assistita e sua tutor per quattro anni («Stanotte ti ho sognata», «Cosa ti hanno fatto…»). Per la cronaca, Venturella, Pullano e altri due medici sono stati recentemente rinviati a giudizio per truffa ai danni dello Stato in relazione a un'indagine su diagnosi non veritiere e falsi piani terapeutici.A Trento la storia continua come se fosse un romanzo di Emmanuel Carrère, in una zona grigia abitata da denunce e strumentalizzazioni, con la pubblica accusa rappresentata dai media. Tutto ciò mentre la Procura tace, un primario vive barricato e la famiglia di una giovane ginecologa dai capelli rossi è attanagliata dall'angoscia. Si cercano risposte ma nessuno riesce a darne. Neppure il torrente Noce che scorre in fondo a quella gola, indifferente.
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