Il cdm vara il decreto per far slittare il blocco dei motori Euro 5 in Piemonte: la prova che la politica può disinnescare il delirio verde. Però attenzione, è solo un rinvio. Se nelle istituzioni europee non cambia l’aria, tra due anni saremo daccapo in tutto il Nord Italia.
Il cdm vara il decreto per far slittare il blocco dei motori Euro 5 in Piemonte: la prova che la politica può disinnescare il delirio verde. Però attenzione, è solo un rinvio. Se nelle istituzioni europee non cambia l’aria, tra due anni saremo daccapo in tutto il Nord Italia.Prima la buona notizia. Il governo è intervenuto e ha bloccato la norma regionale che avrebbe fermato la circolazione di 350.000 vetture nell’area metropolitana di Torino. Il 15 settembre sarebbe dovuto scattare il blocco degli Euro 5 diesel, le vetture immatricolate prima del settembre 2015, e gli Euro 4 a cui si sarebbero aggiunti ulteriori vincoli per le auto a benzina. Risultato complessivo: tra vecchi vincoli e quelli attuali, sarebbero rimaste a piedi 650.000 vetture. Ovvio sia scattata la protesta dei cittadini. I quali si sarebbero trovati costretti a cambiare auto e a subire restrizioni che, come abbiamo scritto infinite volte, non hanno alcuna correlazione con le emissioni di CO2. Infatti, la decisione dello stop alla circolazione degli Euro 5, presa dalla giunta di centrodestra della Regione Piemonte, è arrivata dopo l’avvio della procedura di infrazione della Commissione europea nei confronti dell’Italia. Non per altri motivi. Solo che alla politica viene chiesto di prendere decisioni e non di fare il passacarte. Stavolta le manifestazioni a Torino hanno avuto una eco nazionale. Per prima si è mossa la Lega; poi, più compatti a livello di governo, i dicasteri guidati da Matteo Salvini, Gilberto Pichetto Fratin e Adolfo Urso. «L’obiettivo più importante da raggiungere, nel più breve tempo possibile, era quello di scongiurare il blocco dei veicoli Euro 5 in Piemonte a partire dal 15 di settembre. Ci siamo riusciti ma la soluzione non era semplice e il risultato per nulla scontato», ha commentato ieri il responsabile del ministero dell’Ambiente. «È il risultato delle interlocuzioni avute nelle settimane scorse tra i ministeri competenti e le Regioni del bacino padano», ha continuato Pichetto, «principalmente con il Piemonte, che a seguito delle sentenze della Corte di giustizia del 2020 e del 2022, aveva dovuto introdurre dal prossimo 15 settembre le limitazioni nei Comuni con popolazione al di sopra del 10.000 abitanti».Fatta la premessa, il risultato concreto è uno slittamento. Fino a fine settembre del 2024 è sospeso qualunque vincolo. Il decreto poi prevede una revisione e l’aggiornamento dei piani sulla qualità dell’aria da parte delle Regioni che nel 2017 avevano firmato l’accordo di programma, «al fine di riesaminare i contenuti dei provvedimenti adottati alla luce dei risultati già conseguiti di riduzione delle emissioni inquinanti», si legge nel testo. «Nelle more degli esiti delle valutazioni, è previsto che le misure di limitazione della circolazione di veicoli Euro 5 possano essere attuate a partire dal primo ottobre 2024 nei Comuni superiori ai 30.000 abitanti, dotati di un’adeguata rete di trasporto pubblico locale» e «dove ci sono valori inquinanti alti che possono incidere sulla tutela della salute». La facoltà, secondo quanto previsto dal decreto, viene meno e diventa un obbligo a partire dal primo ottobre 2025, sempre nei Comuni con le caratteristiche appena citate. E soprattutto non solo per l’area metropolitana di Torino, né per il Piemonte, ma per le quattro regioni che si affacciano sulla pianura Padana: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Per tre quarti - va aggiunto - al momento a guida politica di centrodestra. È chiaro che non si può che celebrare l’intervento di questo esecutivo. Siamo certi che il precedente - e ancor più un altro a guida esclusivamente Pd - non sarebbe intervenuto per tutelare i lavoratori e le classi più povere. Corre però l’obbligo di aggiungere un’avversativa. Adesso ci aspettiamo ulteriori interventi. Nello spiegare il decreto, il ministro Pichetto ha tenuto a precisare che «il passaggio all’elettrico non è ancora completo, mancano colonnine, non sono ancora installate completamente, inoltre la crisi dei chip con il Covid ha rallentato la consegna delle vetture elettriche». Tradotto con parole più esplicite: lo slittamento dello stop dell’Euro 5 è comunque avvenuto nelle more del pacchetto della Commissione che va sotto il nome di «Fit for 55», la transizione green che piace ai socialisti europei. L’intervento del governo oggi salva 350.000 vetture di cittadini piemontesi. Ma ottobre 2025 è molto vicino ed è vero che i Comuni sotto i 30.000 abitanti saranno salvi e che ci sarà la possibilità di giocare un po’ con i valori dell’aria, ma se non succede nulla fra due anni dei 17 milioni di veicoli immatricolati nelle quattro Regioni del Nord, il 30% (più di 5 milioni) saranno a rischio stop. Non a caso anche il Veneto dall’altro ieri ha adottato il sistema di «scatola nera» che traccia le abitudini dei cittadini automobilisti ed elargisce crediti consentiti. È esattamente ciò che va evitato. Siamo felici che si sia preso tempo. Nel frattempo ci sono le elezioni europee e il solo modo per bloccare le norme green, che impongono a monte la violazione della libertà dei cittadini di spostarsi, è quello di ribaltare gli equilibri di Bruxelles e portare al governo una maggioranza di centrodestra. Il fatto che siamo indietro con l’applicazione dell’elettrico non può essere la motivazione per invertire la rotta. Per carità, va bene affermarlo se ciò evita interventi a gamba tesa da parte dell’Ue. Ma nel frattempo la missione politica deve essere chiara. Non è perseguendo l’elettrico a tutti i costi che si salvano i cittadini dalle pastoie dei blocchi. Al contrario, lo si fa rimettendo in moto la filiera delle quattro ruote europee e stimolando gli investimenti su motori di ultima generazione, ma comunque e sempre a scoppio. Il contrario, non ci stanchiamo di ripeterlo, sarà l’invasione delle batterie cinesi e una mobilità degna di tale nome solo per i ricchi. Non è un modello di Italia cui si possa aspirare.
Emanuel Brünisholz
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