2022-04-25
«Gli ucraini volevano zittirmi. Qui comanda il pensiero unico»
Nel riquadro, Sara Reginella
La regista e scrittrice Sara Reginella: «Ho vissuto nel Donbass prima di questa guerra e non mi schiero. Sono vicina a ogni morto, non solo a quelli dei conflitti che fanno comodo all’Occidente».Un sotterraneo buio - freddo e umidità - e un altare improvvisato, costruito con decine di barattoli di conserve, legumi, verdure in salamoia. Sopra, le icone di San Nicola, della Madonna e del cuore trafitto dalle lance. Sulle pareti dello scantinato dei disegni di croci che volano, nomi impressi sul soffitto. «Chiesi chi avesse fatto quelle scritte e disegni, una donna mi spiegò che erano dei bambini che avevano vissuto per mesi lì sotto, per rifugiarsi dalle bombe. Un luogo infernale, tanto gelido che per riscaldarsi, mi raccontò, dovevano salire in superficie sulla neve». Sara Reginella il Donbass te lo racconta innanzitutto così, per immagini. Quel dialogo lo ha avuto nel villaggio di Chernukhino, nella Repubblica popolare di Lugansk. Da quella storia che l’Europa ha dimenticato per otto anni e che ora è esplosa, Reginella è rimasta subito affascinata: voleva capire cosa stesse accadendo. «Vedere tanta gente morire nell’indifferenza di tutti» l’ha portata all’urgenza di imbracciare una telecamera prima, per girare da regista alcuni documentari, e la penna poi. Tre volte è tornata in quel paese tra il 2015 e il 2016. Suo è Donbass, la guerra fantasma nel cuore d’Europa, edizioni Exorma. Un libro che, scritto prima del conflitto in Ucraina, ricostruisce la sua esperienza in quelle terre martoriate «dove ho percepito profonda umanità e intenso dolore». Questa è la storia che vuole raccontare anche oggi, in tour per l’Italia per la presentazione del libro. Ma a Senigallia, qualche giorno fa, c’era chi non era d’accordo che lei parlasse. «Sono stata avvisata mentre ero in viaggio: mi hanno riferito che un gruppo di persone ucraine si è presentato nel locale dove era stato organizzato l’evento e ha iniziato a minacciarmi con aggressività».Ha deciso di non andare?«Anzi, ho semplicemente parcheggiato l’auto più in là e mi sono fatta venire a prendere. Ho voluto provare a mettermi in loro ascolto, ma non è stato possibile. Ho cercato di tenere un basso profilo tra urla e insulti non riferibili, violenti, ed è finita che il gestore, per tutelarmi, ha dovuto chiamare le forze dell’ordine. È grave che in un Paese democratico come l’Italia avvengano fatti così». Tra gli insulti la avranno certo accusata di essere filo-Putin. «Quando invece, le assicuro, schierarsi dall’una o dall’altra parte non serve a nulla. E glielo dico proprio perché sono stata dentro quelle battaglie, fin sulla linea del fronte. Ho visto persone normali che combattevano con le loro tute lise. Oggi serve solo avere a cuore la popolazione, di qui o di là dal confine. L’episodio di Senigallia non è che una piccola dimostrazione della campagna mediatica diffusa dal mainstream. Oggi se esci dalla “setta” del pensiero unico e vuoi parlare, dovrai sempre premettere una confessione pubblica. Ma dire di essere contro Putin è solo uno spostare il problema. Siamo ormai al terrorismo dell’indignazione». Che significa?«Di terrorismo dell’indignazione parlò per primo il filosofo marxista Domenico Losurdo. Consiste nel cercare di creare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica affinché aumenti la violenza interiore che vada a legittimare la violenza della guerra». Difficile che qualcuno si dichiari contro la pace.«O contrario alla guerra e agli armamenti, eppure l’Italia aumenta la spesa per le armi al 2 per cento del Pil. Vedere il nemico come il male assoluto legittima ogni cosa. L’obiettivo dovrebbe essere solo risolvere questo conflitto, che è tra Usa e Russia. Bisogna stare dalla parte del popolo».In Ucraina la gente muore per davvero. «Ovviamente, come ne è morta in Donbass. Ma è sotto gli occhi di tutti che le informazioni oggi sono spesso date in modo da instillare odio. Quanti sanno che nel teatro-rifugio di Mariupol - come hanno detto le autorità locali - non sono stati recuperati cadaveri sotto le macerie? È davvero utile spettacolarizzare così il nemico? Non possiamo semplicemente accettare questa guerra e percorrere la strada della diplomazia?».Su una foto è scivolato anche Roberto Saviano. «Ha pubblicato un’immagine di un bambino mutilato del 2015 facendo riferimento all’invasione russa di oggi, sì, quando era di una vittima del conflitto del Donbass. Così, i morti per il lancio di un missile nella città di Donetsk, sempre in Donbass, sono stati fatti passare come una carneficina a Kiev. Ribadisco: occorre essere vicini a tutte le persone che muoiono, non solo a quelle colpite dalle guerre che fanno comodo all’Occidente».Sulla copertina del suo libro ha scelto proprio il disegno di un bambino. Perché?«Le rispondo raccontandole una scena che mi ha colpito. A Donetsk ho incontrato degli uomini che ricostruivano una scuola. Ho chiesto loro che fosse successo, mi hanno risposto con una provocazione amara e il dolore negli occhi: “C’erano dei bambini terroristi, hanno bombardato”. E mi hanno raccontato che pure gli asili nido della città erano stati distrutti dagli ucraini. Loro ricostruivano, e di notte altre bombe distruggevano».La lotta per il futuro. «L’ex presidente ucraino Petro Poroshenko, mentre in questi otto anni il suo esercito bombardava i territori del Donbass, disse che i figli dell’Ucraina sarebbero andati negli asili e nelle scuole, mentre loro avrebbero continuato a vivere negli scantinati “perché non sanno fare niente”».Dovesse spiegare a un bambino italiano cosa sta accadendo?«Direi che è una situazione in cui è difficile mettersi d’accordo, ma le persone che litigano in realtà si vogliono bene, perché molte di loro vogliono le stesse cose. Occorre che ricomincino a parlarsi».Oggi c’è Zelensky. «L’odio per il mondo russo resta inaccettabile».In Donbass si dice ci sono nazisti e fascisti. Lei che è stata in quelle terre, può confermare?«La resistenza del Donbass è antifascista. Ho fatto tre viaggi in Donbass. L’11 maggio 2014 sono state autoproclamate repubbliche popolari a Donetsk e a Lugansk che sono di ispirazione socialista, reazione a un cambio di governo in Ucraina percepito come un golpe ordito da forze neonaziste. Nella resistenza popolare ci sono circa 200 persone, meno dell’1% del totale, di provenienza neofascista. Non nego la loro presenza, ma non significa che la resistenza sia fascista. Si generalizza un dettaglio e questo non è corretto».Il comandante del Quarto battaglione Azov, Michail Pirog, ha detto al Corriere della Sera che le svastiche presenti sulle bandiere sono simboli slavi, paneuropei, indiani. «Nella parte dell’Ucraina governativa non sono stata durante il conflitto. Ricorderò però per sempre l’incontro in Donbass con Aleksej Markov, comandante del battaglione Prizrak, morto nel 2020. Mi disse: guarda, lì c’è il battaglione ucraino Aidar, se avessi un teleobiettivo - purtroppo non lo avevo - vedresti la svastica sulla bandiera. Mi gelò. Io non ho motivo di dubitare di lui, so che in tanti non ci credono. Certo è che dire che sono simboli persino indiani è confermare che sono utilizzati. Il “banderismo ucraino” è una forma di estremismo che si ispira all’ideologia nazista, sviluppata durante la Seconda guerra mondiale da Stephan Bandera alla guida del movimento nazionalista del Paese. Collaborava con i nazisti, e a Leopoli gli hanno eretto un monumento, altrove gli hanno intitolato strade, ci sono marce in suo onore».Questa storia starebbe a significare che un po’ di ragione la Russia ce l’ha?«Significa solo che la storia va conosciuta. I giornalisti freelance Maurizio Vezzosi e Patrick Lancaster hanno fotografato nel sotterraneo di una scuola di Mariupol il corpo di una ragazza torturata con una svastica sulla pelle. In tv, la cantante ucraina Uliana Kinash ha detto si tratta di un simbolo che rappresenta il sole, le cose buone, poi trasformato in qualcosa di negativo da Hitler. Invece di dire che è una vergogna. Non c’è alcuna bellezza in un corpo torturato e nella guerra. La mostruosità della guerra c’è da una parte e dall’altra del fronte».Quando è ampio il fenomeno dei gruppi neonazisti nel Paese, secondo le sue ricostruzioni? Lei di svastiche ne ha mai viste con i suoi occhi?«Io sono stata nella parte controllata dalle Repubbliche del Donbass, ma lavorando con materiale d’archivio ho ottenuto immagini del 2014: nella principale piazza di Kiev, durante la rivolta di Euromaidan, sventolavano bandiere di Pravij Sektor accanto a quelle europee». Un partito politico di estrema destra, corretto?«Letteralmente “settore destro”, sì. Non è un’opinione, le immagini esistono. Non ci sono svastiche nella piazza, ma quelle sono le stesse bandiere dei collaborazionisti di Hitler».
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