2023-08-14
«Gli stipendi sono calati quando il Pd era al governo»
Giovanbattista Fazzolari (Ansa)
Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari: «A sinistra solo slogan sul salario minimo. Tassare gli extra profitti è giusto: le banche li hanno realizzati perché nel loro settore non c’è libero mercato».«Salario minimo? Dalla sinistra solo slogan. Sulle banche abbiamo sanato una stortura, nell’interesse dei cittadini e del libero mercato. Prossimo passo: il riordino delle concessioni pubbliche. Basta regali di Stato». Con Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, facciamo il punto sugli ultimi fuochi della polemica politica prima della pausa estiva.L’incontro con le opposizioni sul salario minimo non è finito benissimo. Ma in autunno il tema del «lavoro povero» andrà comunque affrontato. «Facciamo anzitutto una fotografia della realtà: siamo arrivati al governo ereditando una situazione disastrosa su salari e lavoro. Negli ultimi dieci anni, cioè durante i governi dei paladini del salario minimo, le retribuzioni italiane sono calate, mentre nel resto d’Europa salivano. Parallelamente, la crescita economica è rimasta prossima allo zero. È surreale che i responsabili di questo dramma scoprano oggi la ricetta miracolosa del salario minimo. Se fosse così semplice alzare i salari per editto, mi chiedo perché non l’abbiano fatto i governi precedenti: quelli che, sempre per editto, avevano già abolito la povertà. Bastava affacciarsi dal balcone di Palazzo Chigi una seconda volta, no?».Dunque possiamo escludere il compromesso sul salario minimo?«È una proposta molto forte sul piano comunicativo, in pratica un ottimo titolo. Ma le criticità restano. Dal nostro punto di vista, non esiste crescita dei salari senza crescita dell’economia. Chi pensa che le due cose siano scollegate, tradisce una visione ideologica, ed è per questo che, all’incontro con i rappresentanti delle opposizioni, quando battevamo sul tasto della crescita nessuno ci ascoltava. Abbiamo obiettato che fissare una soglia salariale per legge rischia di essere controproducente, ottenendo in cambio solo fragili dichiarazioni di fede».La proposta delle opposizioni prevederebbe, oltre a una soglia di 9 euro, di adottare i contratti collettivi più rappresentativi per ogni categoria, e applicare i minimi di quei contratti a tutti i lavoratori del settore.«Sì, ma non abbiamo un criterio oggettivo per stabilire quali sono i contratti collettivi o i sindacati più rappresentativi. Non vorrei che si stabilisca per legge che gli unici contratti validi sono quelli firmati dalla Cgil: e non sono il solo ad avere questo timore, vista la forte contrarietà delle altre sigle sindacali».Avete attivato il Cnel per studiare proposte alternative. Tra sessanta giorni cosa succederà?«Quanti verrebbero avvantaggiati o penalizzati dall’introduzione di un salario minimo? Il Cnel è l’organo giusto per trovare una risposta, analizzando tutte le idee sul tavolo per poi presentare una sintesi».La tassa sugli extraprofitti delle banche non è illiberale?«Chi si scandalizza dovrebbe fare un ripasso di liberalismo. Nel settore bancario non vige il libero mercato. È un settore con forti rigidità, nel quale opera un numero limitato di soggetti. In un contesto di questo genere, difronte a evidenti storture, l’intervento del governo è finalizzato esattamente alla tutela del mercato. In un sistema realmente libero, a fronte dell’aumento dei tassi sui prestiti, dovrebbe corrispondere in automatico un aumento degli interessi corrisposti alla clientela nei conti correnti. Cosa che, nonostante i ripetuti inviti, in Italia non sta accadendo».Gli interessi attivi e passivi non si allineano perché nel settore bancario non c’è abbastanza concorrenza?«Esattamente. E questo succede perché si tratta di un sistema regolato, al punto da prevedere, in caso di necessità, l’impiego di risorse pubbliche per salvare gli istituti in difficoltà. Se un imprenditore che produce bulloni va in sofferenza, fallisce; se il banchiere va in sofferenza, di solito non fallisce affatto, viene tutelato, proprio perché il settore è particolare».Davvero crede che il provvedimento governativo sulle banche tenderà a ripristinare il mercato?«Sì, perché se non fossimo intervenuti ne sarebbero uscite penalizzate le banche più virtuose, quelle che hanno adottato comportamenti più corretti nei confronti della clientela. Dunque, di fatto, stiamo cercando di sanare una distorsione, usando il buonsenso. L’intervento riguarda soltanto gli incrementi di margine, con una percentuale ragionevole e “cap” stringenti. Da questa operazione nessuna banca andrà in sofferenza».Non crede che le banche potranno scaricare i costi sui clienti, rendendo più difficile l’accesso ai mutui in futuro?«Questo è un rischio implicito in ogni settore economico. Qualunque imposta rischia di tradursi, teoricamente, in aumenti per i consumatori. Ma confido che non accadrà nel settore bancario, considerati gli elevati margini che ancora realizzano». Ci spiega la genesi del provvedimento?«Hanno scritto di un braccio di ferro tra Palazzo Chigi e Mef: niente di più distante dalla realtà. Non a caso il provvedimento è arrivato direttamente al Consiglio dei Ministri, se vi fossero state fratture o discussioni, qualcosa sarebbe filtrato nei giorni precedenti. Tengo a precisarlo: su tutti i dossier più importanti c’è assoluta sintonia tra il ministro Giorgetti e il premier, e anche con me per quello che può contare. Nei governi precedenti le cose andavano diversamente: spesso c’erano due centrali di potere che nella migliore delle ipotesi si guardavano in cagnesco».Al di là dei contenuti, ci sono state polemiche anche sul metodo con cui il governo ha gestito la pratica…«Sapevamo che un provvedimento del genere avrebbe innescato qualche tensione sulle borse. Ma portarlo in approvazione senza discussioni preventive è la cosa più seria che potessimo fare: se avessimo allungato i tempi, il rischio di speculazioni sui titoli sarebbe stato troppo alto».Vi accusano di aver messo mano a questioni delicate in maniera estemporanea. Perché non avete avvertito le banche della tassa in arrivo?«Escludo che il sistema bancario non sapesse che saremmo intervenuti. Banca d’Italia aveva già invitato gli istituti ad allineare i tassi, il ministro Giorgetti aveva già precisato che si aspettava correttezza da parte delle banche. Dubito che la classe dirigente del settore bancario, di assoluta professionalità, sia stata colta di sorpresa. Difatti la reazione delle banche è stata molto composta, non hanno gridato allo scandalo. Reazioni più scomposte, semmai, sono arrivate da personaggi meno preparati, soggetti politici e mediatici di sinistra».Si aspetta qualche bacchettata dalle istituzioni europee?«Non è un’ipotesi che escludo a priori. Ma in un contesto così complicato a livello globale, che senso ha continuare a consentire ingenti guadagni in conseguenza di scelte calate dall’alto, come quella della Bce di innalzare i tassi? Non conviene a nessuno, Bce compresa».Se le regole resteranno queste, che tipo di gettito prevedete di incamerare? Verrete incontro alle richieste di Forza Italia di modificare il testo?«Prevediamo di raccogliere due miliardi. Quanto alle proposte di modifica, nulla esclude che si possano prevedere meccanismi premianti legati all’acquisto di titoli di Stato. Ma l’impianto di fondo resterà quello».Come verranno spesi gli introiti? Si è parlato di mutui, ma anche di generici «aiuti» a famiglie e imprese.«La destinazione specifica non è stata ancora individuata, ma continuiamo a credere che le risorse vadano dirottate il più possibile nelle tasche dei cittadini. Il taglio del cuneo contributivo, la detassazione dei redditi, l’aumento delle pensioni minime sono scelte che rispondono a questa visione. Nel contempo, dovremo reperire nuove risorse per fronteggiare i disastri del passato».Si riferisce ai 20 miliardi che mancano all’appello nella prossima manovra?«Mi riferisco ai disastri creati dai governi Conte I e Conte II. Il superbonus pesa sulle casse pubbliche per 90 miliardi. Le truffe accertate sui bonus edilizi ammontano a 12 miliardi, esattamente la cifra che dobbiamo trovare per rinnovare la riduzione del cuneo fiscale a tutti i lavoratori italiani fino a 35.000 euro di reddito».Il superbonus di Conte ha sfasciato i conti?«È così. E ricordiamoci che una parte dei soldi del superbonus è andata proprio alle banche, attraverso il meccanismo dell’acquisto dei crediti. Il paradosso è che con i governi progressisti, di Pd e Cinque Stelle, sono stati fatti regali miliardari alle banche nuocendo alle casse pubbliche. Noi vogliamo ripristinare un rapporto sano tra governo e istituti creditizi». Dobbiamo aspettarci altri provvedimenti del genere?«Senza intenti punitivi, aspettiamoci che lo Stato torni a fare lo Stato, relazionandosi con ragionevolezza con i grandi soggetti finanziari, economici e industriali. Un altro settore in cui faremo ordine è quello delle concessioni pubbliche».Cioè?«Dopo il crollo del ponte di Genova, lo Stato ha acquistato dai Benetton la società autostrade per la bellezza 8 miliardi, 20 miliardi se si tiene conto dei debiti ereditati. Anche sulle concessioni aeroportuali i contratti sono stati stipulati tra istituzioni deboli e poteri economici forti. Non possiamo andare avanti così. Questo è un governo politico, che opera sulla base di un forte mandato popolare, e ha intenzione finalmente di riequilibrare questi rapporti, nell’interesse degli italiani».
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)