2020-10-29
Gli sfascia-piazze fanno il gioco di Giuseppi
Commercianti e ristoratori che sfilano in protesta pacifica sono le prime vittime dei soliti teppisti che menano le mani. La violenza infatti aiuta la sinistra ad appiccicare alle manifestazioni il marchio del «fascismo». E l'avvocato ringrazia perché così non si schioda.I baristi le bottiglie le stappano, non vanno in giro a lanciarle piene di benzina, incendiando auto o dando fuoco a negozi. E ai ristoratori capita talvolta di rompere piatti e bicchieri mentre sparecchiano i tavoli, non certo di sfondare le vetrine. Lo preciso perché non vorrei che passasse il concetto che dietro i disordini scoppiati in questi giorni in diverse città italiane ci siano esercenti inferociti con il governo a causa delle misure adottate per contenere l'epidemia di coronavirus. Barman e osti sono giustamente imbestialiti, perché non riescono a comprendere la logica dei provvedimenti presi da Giuseppe Conte. Chiudere i locali pubblici alle 18, come se il Covid si svegliasse a quell'ora, è una decisione da Tso, perché se in trattoria o al bar si rischia il contagio è presumibile che accada anche la mattina. Dunque, nel caso gli esperti avessero ritenuto indispensabile vietare le consumazioni al banco o al tavolo onde evitare il diffondersi del virus, la serrata avrebbe dovuto essere intera e non limitata a mezza giornata. A meno che la decisione non sia una furbata del presidente del Consiglio per evitare di pagare dazio, cioè di indennizzare chi viene penalizzato dalle misure restrittive.Chiariti dunque i dubbi che alimentano la rabbia della maggioranza delle persone (ce ne sarebbero molti altri e riguardano i numerosi provvedimenti che avrebbero dovuto essere presi dal governo e che invece non ci sono stati, tant'è che adesso ci troviamo nell'attuale situazione, cioè a rischio), torniamo però a ciò che sta accadendo nelle piazze, ovvero alle rivolte. A scatenare i tumulti non è certo la maggioranza silenziosa degli italiani, che dagli anni Settanta, quando i sessantottini scendevano in strada per scatenare la rivoluzione, è nota per sfilare in maniera composta, senza scontri con la polizia e senza impugnare bastoni. I commercianti, i baristi e gli osti sono troppo occupati a tirar su la serranda ogni mattina per poter trascorrere la serata a tirare bottiglie molotov o infrangere vetrine. I cortei violenti li organizzano i soliti gruppettari, di destra e sinistra, ultrà della piazza che si sentono realizzati solo quando fanno a botte con poveri agenti che non possono nemmeno manganellarli a dovere, pena il rischio di finire immortalati in qualche tg della sera. Così sono i poliziotti a dover subire le ingiurie e anche le sassate, divenendo il tiro al bersaglio di una banda di violenti, che si sente realizzata solo quando ha messo a ferro e fuoco la città. Che non si tratti di ristoratori con il vizietto delle molotov o baristi esperti nel lanciare sanpietrini lo dimostra anche il fatto che tra i fermati di questi giorni non c'è neppure un esercente. In manette sono finiti un po' di anarchici, alcuni esponenti dei centri sociali, altri di organizzazioni di estrema destra, ma anche un certo numero di ultrà del calcio, cui si sono uniti un po' di extracomunitari, perché, come si sa, anche a loro piace fare casino. Sì, le persone che oggi vengono presentate come commercianti che si ribellano alle norme anti Covid in realtà sono quelli che in Francia chiamano casseurs e che noi potremmo tranquillamente definire scasseurs, cioè teppisti, vandali, estremisti che partecipano a manifestazioni di piazza al solo scopo di sfasciare e danneggiare auto, vetrine, bancomat ecc. I contestatori che abbiamo visto all'opera non c'entrano nulla con i tassisti che protestano, con i baristi che si lamentano, con gli osti che si disperano. Sono la solita marmaglia che trovano buono ogni argomento per scatenare il caos. Il che non vuol dire che non ci sia motivo di essere inferociti con il governo. Di motivi ce ne sono a dozzine, ma non sfociano e non devono sfociare nella violenza. Lo preciso perché ho già capito l'andazzo. Di fronte ai primi fuochi in piazza, gli intellettuali fighetti con la puzza sotto il naso come Gianrico Carofiglio e Concita De Gregorio già parlano di marmaglia fascista che si scatena in piazza, bollando le contestazioni con un marchio preciso. Con il risultato che invece di riuscire a mandare a casa Giuseppe Conte e la sua banda, per evitare che facciano altri danni, rischiamo di tenerceli per chissà quanto. Il caos rafforza sempre chi sta al potere, il quale disponendo di un mandato speciale come quello che gli è stato attribuito con lo stato di emergenza, è legittimato a dare un giro di vite. Per di più se in tv si comincia ad accreditare l'idea che la sommossa sia di stampo fascista. Sì, insomma, ci siamo capiti: a far casino non si fa traballare la poltrona di Conte, ma anzi la si stabilizza. È un gioco vecchio come il mondo, che in genere fanno i dittatorelli quando le cose vanno male. Ora, il presidente del Consiglio non è un dittatorello da strapazzo, ma anche a lui non dispiace rimanere attaccato alla poltrona, dunque il centrodestra farebbe bene a stare alla larga da un certo tipo di manifestazioni, pena finire per aiutare Conte a risalire nei sondaggi che lo danno in caduta libera. Andreotti con le piazze è campato una vita. Non vorrei che ci campasse pure Giuseppi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci