2025-07-29
Gli intellettuali antifa gridano alla censura ma poi sono i primi a voler zittire gli altri
Antonio Scurati teme il complotto sul seguito della serie su Mussolini ma dimentica il bavaglio (quello sì vero) al direttore Gergiev.Domenica si è manifestata una coincidenza significativa che dice molto delle condizioni in cui versa la cultura europea. La gran parte dei media ha ripreso le parole pronunciate al festival del cinema Giffoni dallo scrittore Antonio Scurati, autore della celebre serie di romanzi su Mussolini (intitolata M) da cui Sky ha tratto una serie televisiva. «È altamente possibile che la seconda stagione di M non ci sia. Non è affatto certo che verrà realizzata», ha detto Scurati non senza rammarico. «È abbastanza incredibile che una serie di questa bellezza, di questa potenza, non abbia ancora una seconda stagione», ha aggiunto. «Al netto di qualsiasi polemica politica o ideologica, l’accoglienza critica all’estero, anche in Paesi esigenti come il Regno Unito, grida al capolavoro». E poiché la serie è un capolavoro, suggerisce lo scrittore, è un vero delitto che si possa anche solo pensare di non farla proseguire: «Bisogna chiedersi perché, ma io non voglio rivelare nessun retroscena», ha concluso Scurati, sibillino. Conoscendo la propensione al vittimismo degli intellettuali italiani e la frequenza con cui amano presentarsi come martiri del libero pensiero, supponiamo che Scurati stesse paventando l’esistenza di qualche complotto ai suoi danni, ordito magari dal feroce governo destrorso. Se la serie M fosse prodotta dalla Rai e quindi pubblica, potremmo persino sospettare che vi sia effettivamente qualcuno impegnato a tramare nell’ombra per colpire il romanziere. Ma Sky è una emittente privata, che giustamente ha (o dovrebbero avere) come unico metro di giudizio gli ascolti e i ricavi. E che anzi il più delle volte preferisce seguire la corrente e adattarsi alle mode culturali del momento. Comunque sia, in questa storia ciò che risulta più triste è il fatto che i nostri scrittori e creativi più famosi, per fare parlare di sé, non possano fare a meno di scomodare il fascismo: quello storico (che la serie M fa rivivere in modo decisamente discutibile e grottesco, cosa che la qualifica non come un capolavoro ma come un pasticcio un filo imbarazzante) e soprattutto quello immaginario. Non perdono occasione, i nostri fini intellettuali, per atteggiarsi a dissidenti osteggiati dal regime. La verità è che nessuno si li fila, talvolta nemmeno il pubblico, e solo la spintarella politica del mondo progressista riesce talvolta a cavarli dall'anonimato. Al Giffoni, tuttavia, Scurati una cosa giusta l'ha detta. «Se in Italia e nelle altre democrazie liberali d’Occidente europee e nordamericane è in atto uno scivolamento verso forme di autoritarismo, è possibile, se non probabile, che molti di noi siano ciechi», ha affermato. A suo dire esistono «micro censure, che si consumano all’interno delle persone, nella loro coscienza […] il momento in cui l’individuo inizia a censurare se stessa è la cosa più pericolosa». In Italia, insiste lo scrittore, ci sono dunque «migliaia di persone che si autocensurano».È davvero difficile, se si vuole essere sinceri, affermare che questo sia falso. L'autocensura e il conformismo sono le due principali malattie della nostra cultura, e gli intellettuali sono i primi a esserne pesantemente affetti. La serie M, in fondo, altro non è che un patente esempio di adesione al discorso dominante, un’operazione prova di originalità e spirito critico simile a mille altre dello stesso livello sfornate negli anni dai nostri registi e letterati. Costoro, proprio perché sono conformisti nel midollo e molto ben disposti all'autocensura, hanno poi un disperato bisogno di rifarsi un poco il trucco, di rendersi presentabili (prima di tutto a sé stessi). Ecco perché si fingono perseguitati: pensano così di ottenere la dignità che quotidianamente perdono piegandosi all'ideologia prevalente. Ma veniamo alla coincidenza significativa. Proprio mentre i media riprendevano lo sfogone scuratiano, alla Reggia di Caserta avrebbe dovuto tenersi l’esibizione del maestro Valerij Gergiev. Quella sì che è stata impunemente censurata, e a richiedere la censura è stata proprio la parte del mondo politico che solitamente magnifica le opere «antifasciste» nello stile di Scurati. Fior di intellettuali hanno firmato appelli e concesso interviste per chiedere che all'artista russo fosse vietato di esibirsi. Nessuno dei nostri coraggiosi libertari «antifa» ha alzato un dito per opporsi a questa operazione patetica e persino dannosa a livello di immagine.Gli illustri pensatori di casa nostra sono per lo più in prima fila quando c’è da oscurare e discriminare chi la pensa diversamente da loro, che si tratti di colleghi o di comuni cittadini. Chissà, forse è una strana forma di compensazione: visto che nessuno li censura davvero, si sentono in dovere di censurare gli altri così da far tornare i conti.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci
Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)