2023-02-17
Gli impostori verdi gettano la maschera
Paolo Gentiloni. Nel riquadro Alessandra Dal Verme (Getty Images)
Il direttore del Demanio esclude di rendere «green» gli edifici pubblici nei tempi stabiliti dalla Ue: «Mica ho la bacchetta magica». E suo cognato Paolo Gentiloni ammette: «Sulle auto elettriche fattibilità da verificare». Però intanto tirano dritto. E noi paghiamo il conto.Guarda il video del direttore dell’Agenzia del demanio Alessandra Dal Verme.Alessandra Dal Verme.«Non è pensabile che il demanio, con un patrimonio di 43.000 beni pubblici, riesca improvvisamente con la bacchetta magica a intervenire su tutti gli edifici». Le parole sono di Alessandra Dal Verme, direttore dell’Agenzia del demanio. Arrivano con un velo di ironia in risposta a un quesito molto semplice posto da Andrea Bertoldi, deputato di Fratelli d’Italia, che nel corso di un’audizione in commissione Finanze alla Camera le chiede: «Che ne pensate della direttiva green sugli immobili? Cosa avete intenzione di fare? Che impatto potrebbe avere sul sistema l’approvazione di questa direttiva?». Insomma il commento della direttrice è tranchant e inatteso: impossibile da realizzare nei tempi stabiliti e lo dice anche come se stesse dicendo una banalità. In effetti lo è, come La Verità scrive da tempo, non è pensabile che si possa applicare una direttiva così stringente nel panorama immobiliare italiano. Solo che finora ci avevano raccontato un’altra storia e lei, la cognata di Paolo Gentiloni, commissario proprio per gli Affari economici dell’Unione europea, finora non aveva pensato di dire nulla al riguardo. Si cala la maschera insomma e viene il sospetto che potrebbe essere solo la prima. Le ultime dichiarazioni di Gentiloni sullo stop alle auto nuove benzina e diesel nel 2035 fanno pensare: «È un obiettivo che sarà verificato nella sua fattibilità, ma è molto importante per le imprese dare un orizzonte. Noi non possiamo improvvisare trasformazioni di questo genere. Penso che dare alle imprese la certezza di un orizzonte sia molto importante perché consente a tutti di parametrarsi».Dal Verme il suo studio di fattibilità lo ha fatto: dice che su 43.000 beni demaniali sarà impossibile la trasformazione chiesta da Bruxelles, figuriamoci per i milioni di immobili privati. Le sue parole acquisiscono grande importanza soprattutto se si tiene conto della storia di Alessandra Dal Verme e del ruolo che ricopre. Di lei qualcuno dice che è sempre cascata in piedi, molti ne parlano con grande rispetto, come di una dirigente che ha sempre saputo gestire bene tutti i dossier che le sono capitati. Laureata in economia e commercio inizia la sua sfolgorante carriera nella Ragioneria generale dello Stato per poi passare a un incarico dirigenziale al ministero dell’Economia e delle finanze. Durante la formazione del governo Draghi era stata indicata da qualcuno come possibile sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Nel maggio del 2021 viene poi nominata a capo del Demanio dove di recente è stata riconfermata anche dall’attuale governo Meloni. La nomina a suo tempo fu denunciata in più interrogazioni parlamentari perché in pieno conflitto di interesse per il grado di parentela con Paolo Gentiloni, suo cognato nonché commissario europeo agli Affari economici. Il dubbio veniva sollevato perché come dirigente si deve occupare della redazione dei progetti per accedere ai fondi europei per il green deal, mentre la Commissione in cui il cognato siede dovrebbe approvarli. La riconferma della sua nomina è arrivata un po’ a sorpresa, era pronto già un altro manager, ma tra un anno la Dal Verme andrà in pensione e sembra che siano arrivate delle pressioni da Bruxelles affinché rimanesse al suo posto, doveva finire il lavoro iniziato tra cui, forse, uno in particolare: un’operazione su alcuni beni demaniali che ruotano attorno alla banca Crédit Agricole.È stata criticata e osteggiata per il suo agire tramite assegnazioni dirette, accusa da cui si è sempre difesa dicendo che in questo modo i progetti sarebbero partiti più velocemente. Nonostante le polemiche che l’hanno accompagnata, soprattutto circa il presunto conflitto di interessi con il cognato, la Dal Verme non ha mancato di sollevare chiare e precise obiezioni circa l’attuazione e l’applicabilità della direttiva sulle case green. Durante la sua audizione alla commissione Finanze della Camera infatti, per ben due volte, ha detto che pur con tutta la buona volontà è impossibile pensare di trasformare tutto il patrimonio di beni pubblici per renderlo sostenibile secondo gli standard fissati da Bruxelles in tempi così stretti. Il punto è che la Dal Verme ha pienamente ragione, come hanno ragione i proprietari degli 11 milioni di immobili italiani che dovranno adeguarsi alla direttiva Ue. Il prossimo mese, lo ricordiamo, il Parlamento europeo si dovrà esprimere circa questa direttiva la cui roadmap prevede: nuovi edifici pubblici a zero emissioni dal 2026; classe E/F per edifici non residenziali e pubblici entro il 2027; tecnologie solari per tutti i nuovi edifici entro il 2028; nuovi edifici residenziali a zero emissioni dal 2028; classe D/E per edifici non residenziali e pubblici entro il 2030; classe E entro per edifici residenziali entro il 2030; tecnologie solari per case in ristrutturazione entro il 2032; classe D per gli edifici residenziali entro il 2033. In Italia, in base ai dati Enea, il 34% delle abitazioni è in classe G, il 23,8% in classe F e il 15,9% in classe E, per un totale che ammonta al 74% delle abitazioni. In sostanza 11 milioni di edifici che si dovranno adeguare alla classe D entro il 2033, mentre il 57,8% di questi già dovrà pensarci entro il 2030. Classe G e classe F dovranno arrivare almeno alla E.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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