2020-04-27
Pierluigi Battista: «Gli esperti? Non sanno niente. Ma si compiacciono del potere»
Pierluigi Battista (Ansa)
L'editorialista: «Stiamo vivendo un esperimento sociale disumano. La politica ha ceduto la sovranità a un'oligarchia tecnosanitaria. E noi ci siamo ormai abituati all'illiberalità».Pierluigi Battista, storica firma del Corriere della Sera, si considera un «liberale preoccupato»: «La politica ha ceduto la sovranità a un'oligarchia tecnosanitaria e noi ci stiamo pericolosamente abituando all'illibertà».Quindici task force, 450 esperti. Le è chiara la catena di comando?«C'era una volta l'utopia della Repubblica di Platone, con il re filosofo: non aveva nulla di democratico, ma almeno era un sapiente».E adesso?«Questi dell'oligarchia tecnosanitaria non sanno niente».La democrazia però è salva.«È sempre più indebolita».Vede rischi di autoritarismo?«Almeno nei regimi autoritari si creano sistemi di decisione rapidi ed efficaci, sul presupposto che chi comanda conosca cose che il popolo ignora. La nostra oligarchia tecnosanitaria è incredibilmente popolosa e tutta la sua presunta scienza si condensa in due raccomandazioni».Quali?«State a casa e lavatevi le mani».Che poi, gli esperti, di cantonate ne hanno prese parecchie. C'è chi sostiene che l'errore della Lombardia sia stato di fidarsi dei protocolli nazionali sui tamponi, mentre il Veneto, che ha fatto test a tappeto infischiandosene delle direttive, ha quasi debellato il virus.«È vero. E non si sono limitati a dire che bisognava limitare i tamponi. Walter Ricciardi, il burocrate delle linee guida dell'Oms, ha attaccato duramente il Veneto per qualcosa su cui era lui ad avere torto».Come rimediare?«Bisognava ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa. Invece loro fanno finta di niente».Un'emergenza di questa portata era imprevedibile.«Quando dicono di essere stati travolti da un'ondata inattesa, mentono. Andrea Crisanti ha cominciato da gennaio a procurarsi i reagenti per fare i tamponi in Veneto. Adesso parlano di piano segreto, ma se c'è un virologo che aveva previsto tutto, significa che gli altri sono come minimo degli imprevidenti».Pure i politici hanno sbagliato.«Loro, però, avevano lo spettro delle chiusure, della crisi, il problema del consenso. Certo, con “Milano non si ferma", Beppe Sala ha sbagliato. Giorgio Gori ha sbagliato quando diceva di essere contrario alle zone rosse nella Bergamasca».Dopo ha rinfacciato ad Attilio Fontana di non averle istituite.«Anche Fontana ha sbagliato tante cose. Matteo Salvini voleva riaprire tutto subito. Giorgia Meloni s'era fatta un video in inglese per invitare i turisti a venire in Italia, perché era tutto sotto controllo. E Roberto Speranza…».Il ministro della Sanità.«Andava in tv a dire: “I tamponi sono una fotografia istantanea. Uno risulta negativo e poi magari s'infetta il giorno dopo". Può darsi: ma intanto, per un caso del genere, scoprivi altri nove positivi».I politici non li condanna?«Ripeto: hanno ceduto sovranità a un'oligarchia tecnosanitaria - il comitato tecnico-scientifico, le task force - che ha dimostrato di non avere alcuna competenza».Trincerarsi dietro l'oligarchia degli esperti non è servito?«Il paradosso è che abbiamo rinunciato a un pezzo di democrazia, ma senza ottenere l'efficienza dei regimi autoritari».Il primo atto della task force di Vittorio Colao è stato cercare di procurarsi lo scudo penale.«Assurdo. Se è un organo solo consultivo, che senso ha? Però da un lato è comprensibile questa paura degli interventi della magistratura. Prenda le banche».A che allude?«Non erogano i prestiti, vogliono lo scudo penale».Il problema non è la burocrazia?«Se devi snellirla e limiti i controlli, poi rischi di prestare soldi a un'impresa in odore di mafia. Dopodiché, come ti difendi?».Anche la scienza ha dei limiti. Forse il problema vero è che ci avevano convinti che avesse tutte le risposte bell'e pronte.«Sì, ma questi presunti esperti sono sempre perentori. Nessuno, umilmente, ammette di non saperne un cacchio. Stanno lì a pontificare nei talk show e al massimo si schermiscono dietro il: “Nessuno lo può escludere, non è detto". Ma se non è detto, allora non dirlo!».Perché si comportano così?«Perché pur non capendoci nulla, quella di imporre le chiusure è la manifestazione di un potere». Perciò insistono per prolungare il lockdown?«No, non sono un complottista. Dico solo che quando finirà tutto, rimarranno senza più una tribuna. Non li vorremo più vedere. Nella clausura generalizzata, invece, loro sono il potere».Diversi giuristi, intanto, contestano la condotta di Giuseppe Conte: limitare le libertà fondamentali via Dpcm, esautorando il Parlamento e pure il capo dello Stato. Che ne pensa?«Non essendo un giurista, non so se questi decreti siano incostituzionali. A occhio, mi pare di sì. Il punto però non è questo».Qual è?«L'abitudine all'illibertà. All'emergenza permanente».Cioè?«Da due mesi stiamo vivendo un esperimento sociale disumano».Addirittura?«Non abbiamo più vita sociale, di lavoro, un contatto con il mondo esterno. Siamo chiusi dentro quelle che a volte sono capsule, perché la stragrande maggioranza della gente non vive in delle regge».Con quali conseguenze?«Molta gente comincia a pensare: “Che fortuna che arrivino le forze dell'ordine sul quad a beccare uno che sta prendendo il sole in spiaggia!". “Ah, maledetti runner!". “Ah, maledetti bambini!". “Ah, maledetti cani!"».Inquietante.«E sento intellettuali sostenere che da tutto questo dobbiamo imparare una lezione. Ma quale lezione? Stiamo vivendo una condizione disumana».Lei ha contestato l'idea di segregare gli anziani fino a dicembre.«Una misura iniqua, inutile, vessatoria, odiosa, discriminatoria, insensata. Questi stessi over 60, che non dovrebbero mettere piede fuori di casa, secondo la legge Fornero, che peraltro io condivido, devono continuare a lavorare. Possono lavorare, ma per il resto sono una specie protetta?».Un paradosso.«Dire a queste persone che devono stare chiuse in casa fino a Natale induce alla depressione. Significa trattarle come strumenti».Anche se è per il loro bene?«Pure i lager, i gulag, i roghi dell'Inquisizione erano per il bene del popolo. Badi, non voglio fare paragoni del genere. È il principio a restare uguale: ti salvo da te stesso. È questa visione che mi terrorizza».E l'incertezza sulla durata del cosiddetto distanziamento sociale la turba? Conte dice: «Fino al vaccino». Ma per alcuni il vaccino arriverà verso fine anno, altri parlano addirittura di due o tre anni...«Infatti: non puoi dire alle persone “forse fino a settembre", “forse fino a Natale"… Forse che? Il sessantacinquenne al quale mancano due anni per la pensione, che fa? Lo licenziano? E come campa? Ma con questo torniamo al discorso sulla cessione di sovranità».Che intende?«La democrazia presuppone che si decida tenendo conto della complessità della società. Ma se affidi le decisioni a gente che vede solo un pezzetto di realtà, ti ritrovi così».Così come?«Con un governo e una maggioranza parlamentare che non corrispondono alla maggioranza degli elettori. Con un'Europa che decide la politica economica a prescindere dalla volontà popolare: il Parlamento europeo, d'altronde, ha eletto la presidente della Commissione senza tener conto degli esiti del voto, visto che sono stati determinanti i consensi dei grillini. E con un'oligarchia che ti impedisce di muoverti da casa».Alla luce di ciò, viene da chiedersi: la campagna mediatica imbastita sugli elicotteri che sgominavano le arrostate di Pasquetta, allora, serviva a distrarci dagli errori di governo ed esperti?«Ma certo. Il meccanismo del capro espiatorio: chiunque viola il principio dello “state a casa" è un nemico del popolo. Se le cose vanno male, è colpa di chi va a correre, di chi porta a pisciare il cane, di chi tira fuori un bambino per fargli prendere aria. Pura vessazione. Un'ondata delatoria».Addirittura?«Non voglio apparire lassista, ma perché chiudere i parchi? Basta qualche agente che controlla se si creano assembramenti e che, eventualmente, li separa. Invece guardiamo a quei poliziotti come se stessero beccando un delinquente. Tanti posti di blocco con i mitra non si videro nemmeno ai tempi del rapimento di Aldo Moro».In effetti, ci si potrebbe domandare: perché questi mezzi non si dispiegano nella lotta al crimine?«Questo però è un discorso che non mi piace. Non mi piace il drone che presidia la città. Non voglio sacrificare la libertà nel nome della sicurezza».Lo stesso vale per l'app che traccia i contagi?«Io l'app la scaricherei. Mi sembra una misura ragionevole. Ma a due condizioni».Quali?«Che si facciano i test a tappeto. Altrimenti non servirà a nulla».E poi?«Il mio timore è che questa roba resti anche a emergenza finita».Ovvero?«Lo Stato moderno deve avere poteri limitati. Chi mi dice che tutto questo non sarà usato contro di me? Lo Stato non deve sapere tutto di me. Già sa troppo».Sa troppo?«Controlla i conti bancari, gli acquisti effettuati con le carte, con il Telepass può vedere dove sei andato, con le tessere dei supermercati magari può scoprire pure quello che mangi. Gli manca solo questa roba qua: seguirti con il drone e con l'app».Tanto i dati già ce li sottraggono i big del Web…«Sono soggetti privati che li usano per la pubblicità. Qui si tratta di potere politico».Ci garantiscono che il sistema rispetta le norme sulla privacy.«E ci fidiamo? Nel Paese del trojan?».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)