2019-10-16
Gli assassini di Sana non si trovano più. La sua morte resterà senza colpevoli
Spariti dal Pakistan il padre e il fratello della ragazza, sospettati di averla uccisa perché troppo «occidentalizzata».Sana aveva 24 anni, era cittadina italiana e aveva un fidanzato che amava tanto da volerlo sposare. Viveva a Brescia, era «perfettamente integrata», come si usa dire. Di pakistano le erano rimasti il nome e i colori scuri dell'Oriente sul viso e sui capelli. Ora Sana Cheema è sepolta in Pakistan, vittima della ferocia dei suoi famigliari, i quali però rischiano di non pagare mai per il loro crimine. Sana era arrivata da bambina assieme ai genitori. Aveva frequentato le scuole in città, aveva trovato lavoro in un'autoscuola di via Bevilacqua. Pure il suo fidanzato era pakistano, italianizzato tanto quanto lei. I suoi genitori, invece, non hanno voluto adattarsi all'Italia. Si sono pure spostati in Germania, a un certo punto, ma hanno continuato ad avere in testa il Paese natale. Il padre e la madre non potevano sopportare l'idea che la figlia frequentasse un ragazzo dai modi tanto occidentali, che andasse in giro vestita come un'italiana. Così, nel 2018, dopo pressioni asfissianti, l'hanno sostanzialmente costretta a una «vacanza» nella terra natale, precisamente nel distretto di Gujrat. Un viaggio da cui Sana non ha più fatto ritorno. Perché l'hanno strangolata, spezzandole l'osso del collo. L'autopsia realizzata da un ambulatorio forense del Punjab ha dimostrato che la ragazza è stata ammazzata brutalmente, soppressa come una povera bestia perché aveva rifiutato il matrimonio che la famiglia aveva organizzato per lei. Del delitto sono stati accusati il padre, Mustafa Ghulam Cheema (50 anni), e il fratello Adnan (32 anni). Quest'ultimo pare che abbia anche confessato il delitto, salvo poi rimangiarsi tutto esattamente come il padre. La famiglia di Sana ha persino cercato di truccare l'esito dell'autopsia, pagando ai medici legali una mazzetta da 600.000 rupie, circa 7.400 euro. Il risultato fu un falso certificato in cui si spiegava che la giovane era «morta per arresto cardiocircolatorio in seguito a un malore». Toccò riesumare il corpo ed effettuare un nuovo esame autoptico, da cui emerse la verità: le avevano rotto il collo per ammazzarla. «Un disegno di Allah», commentò il padre. «Se il referto dei medici legali dice che Sana aveva l'osso del collo rotto è perché deve aver battuto contro il bordo del letto o del divano». E invece sembra proprio che le cose siano andate in maniera diversa. Durante l'ennesima lite, il padre avrebbe strangolato Sana con una sciarpa, mentre il fratello le premeva una mano sulla bocca per evitare che gridasse. La madre, gli zii e un cugino - a conoscenza di tutto - sono stati indagati perché avrebbero coperto gli assassini. Purtroppo, però, la giustizia pakistana - dopo mesi di tira e molla in aula - ha assolto sia il padre che il fratello per mancanza di prove.La comunità bresciana, tuttavia, non ha voluto rassegnarsi. Dopo la notizia dell'assoluzione in patria, il procuratore generale di Brescia, Pierluigi Maria Dell'Osso (ora in pensione), fece di tutto perché i due presunti assassini fossero processati anche qui. Fu aperta una nuova inchiesta per omicidio aggravato dalla premeditazione. Padre e fratello sono stati accusati «di aver cagionato la morte di Sana per asfissia meccanica violenta mediante strangolamento, annullando così diritti politici sociali fondamentali e assoluti della ragazza, uccisa per aver ripetutamente rifiutato il matrimonio deciso dai congiunti». Ora il momento di iniziare il processo in Italia si avvicina. Ma c'è un problema: padre e fratello di Sana non si trovano. Come ha rivelato ieri il Giornale di Brescia, i due sembrano spariti nel nulla, persino il loro avvocato d'ufficio non sa dove siano e non li ha mai sentiti nemmeno al telefono. Risultato: il processo rischia di saltare. «Ancora una volta il padre e lo zio di Sana potrebbero farla franca, come all'epoca della vergognosa sentenza del tribunale pakistano che li aveva assolti», commenta Francesca Ceruti, consigliere regionale della Lega in Lombardia. Oltre al fatto che un crimine orrendo potrebbe rimanere impunito, c'è anche da considerare il fatto che di potenziali vittime, in Italia, ce ne sono parecchie. Giusto ieri il Corriere della Sera informava che a Milano, alla scuola Francesca Annoni che si occupa di insegnare l'italiano a donne straniere di varie nazionalità, le iscrizioni sono in drammatico calo. Si sono dimezzate nel giro di un anno e la presidente, Roberta Larghi, spiega: «I mariti le costringono a restare a casa». Eccola qui, la tragedia dell'integrazione inesistente. Genitori che non accettano le figlie «italianizzate», mariti che impediscono alle mogli di imparare la lingua, padri che tolgono le figlie da scuola. Il tutto in Lombardia, una regione che dovrebbe essere tra le più avanzate d'Italia per quanto riguarda l'accoglienza e l'integrazione. Le belle favolette sul multiculturalismo, però, non hanno quasi mai un lieto fine.
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