2020-02-18
Gli amici «pakistani» di Matteo legati alla società di intelligenza artificiale
Con il Rottamatore c'erano il fondatore e membri del cda di Afiniti, specializzata in big data e interessata a lanciare il turismo sul Karakorum. Nel 2016 al gruppo sciistico dell'azienda si unì Alessandro Benetton.La scelta di presentare la propria lista alle regionali in Toscana può far perdere consensi a Eugenio Giani.Lo speciale contiene due articoli.Matteo Renzi si appresta a tornare dal Pakistan dove non si può escludere abbia aperto anche una sezione locale di Italia viva, almeno tra una sciata e l'altra. Perché il motivo del viaggio è di matrice turistica. Almeno così ha dichiarato sui social il diretto interessato. «Avevo preso l'impegno di incontrare il presidente della Repubblica, il primo ministro Imran Khan, il capo dell'esercito a Islamabad assieme all'ex premier spagnolo José Maria Aznar», ha scritto Renzi nella sua enews. «Un politico degno di questo nome ha anche relazioni internazionali. Se ad altri non capita non so che farci», ha aggiunto rispondendo a chi gli chiedeva perché nel mezzo di una simile crisi di governo fosse volato d'altra parte del mondo. E poi? «Con alcuni amici (compreso il top manager di Tim Federico Rigoni, ndr), siamo andati due giorni a sciare a 4.000 metri, in luoghi bellissimi. Posso fare due giorni sugli sci o devo chiedere il permesso al Tribunale dell'antirenzismo?». Nessun processo dell'inquisizione. Però alcune domande a un senatore della Repubblica italiana si possono porre. A dare la notizia è stato il primo ministro Khan che sabato sera ha postato una foto di gruppo dicendo espressamente che si tratta di turismo sugli sci e promozione del cime pakistane attorno all'Himalaya. Renzi appare vicino a manager italiano Rigoni (precedentemente in Ericsson) assieme ad Aznar, alla principessa Beatrice di York e a un folto gruppo di finanzieri. Syed Zulfi Bukhari, consigliere finanziario del premier pakistano, Muhammad Ziullah Chishti fondare della società Afiniti e da tempo residente anche negli Usa. A seguire si può vedere Ali Jehangir Siddiqui (ex ambasciatore pakistano negli Usa) già nel cda di Afiniti con David Cameron. Aznar conosce bene Chishti tanto da essere nel board di Afiniti, una grande società che si occupa di intelligenza artificiale e di big data. Basta andare sul sito di questo colosso per capire che è il legame che unisce quasi tutti i partecipanti alla foto di gruppo. Afiniti da almeno cinque anni ha iniziato un programma di rilancio delle vette pakistane (compreso il Karakorum), un modo per creare strutture e avviare un progetto di turismo sostenibile sugli sci attorno a vette tutte oltre i 4.000 metri. Non solo. Afiniti ha anche creato uno ski group, cioè un progetto attrattivo che porta comitive di investitori a sciare in loco direttamente con gli elicotteri. Il messaggio che Chishti condivide con i viaggiatori in elicottero è che ormai il Pakistan debba essere considerato un luogo sicuro in cui fare affari. Tutti i partecipanti diventano così sponsor del governo di Islamabad.Nella foto diffusa sui social, al di là di Khan (che è il padrone di casa), l'unico politico in servizio attivo risulta essere Renzi. Gli altri o sono ex (come Aznar) oppure sono investitori che fanno relazioni e lobby legittime. Andando a spulciare il lungo elenco dell'advisory board di Afiniti, si vede che in questo momento compaiono tre italiani. Il primo è Federico Ghizzoni, ex numero uno di Unicredit, passato alla recente storia politica per aver testimoniato in commissione banche sul tema di Etruria e Maria Elena Boschi. Il secondo è Fabio Corsico, uomo di Caltagirone, e infine Stefano Marsaglia, cofondatore del fondo Peninsula che tra i grandi sottoscrittori vede la Qatar investment authority e le famiglie reali del Golfo. Afiniti è una potenza nei settori del digitale e dell'uso dell'intelligenza artificiale soprattutto per i call center. Non a caso ha aperto una filiale anche in Italia, guidata da Cecilia Braggiotti, figlia di Gerardo Braggiotti, che ha tra i clienti appunto la nostra Tim. Un grande network mosso dalle capacità di Chishti che storicamente ha buoni rapporti con i governi degli Stati Uniti e con i vari premier pakistani che si susseguono. Il motivo, nel secondo caso, è semplice. Il manager porta in Pakistan squadre di investitori e fa promozione al Paese di origine. La domanda è che cosa ci faccia Renzi in quel consesso. L'ex sindaco di Firenze spiega di aver fissato un appuntamento con Khan e altre istituzioni locali, che - s'intende - dovrebbero riceverlo in qualità di senatore semplice di Scandicci, oppure di segretario di Italia viva, partito che arranca ad arrivare al 5%. Peccato che Khan, postando, la foto non abbia parlato di visite istituzionali, ma solo di un gruppo di turisti riuniti prima di infilare gli sci. A questo punto viene da chiedersi, in qualità di unico politico, che amicizie possa avere Renzi dentro Afiniti. Forse, il segretario di Italia viva si sarà fatto consigliare la trasferta sul vette pakistane da Alessandro Benetton che nel 2016 ha partecipato in prima fila all'Afiniti ski group e a quanto risulta alla Verità sarebbe dovuto andare anche quest'anno. Cosa che non è avvenuta. Meglio così, se i due si fossero incontrati sullo stesso elicottero sarebbe stato complicato fare una scampagnata assieme e poi discutere di revoca delle concessioni ad Autostrade spa. Ah no, scusate. Italia viva ha fatto un emendamento per lasciare ad Aspi le concessioni intonse.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-amici-pakistani-di-matteo-legati-alla-societa-di-intelligenza-artificiale-2645176542.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-ambizioni-di-italia-viva-in-toscana-azzoppano-il-candidato-della-sinistra" data-post-id="2645176542" data-published-at="1762785627" data-use-pagination="False"> Le ambizioni di Italia viva in Toscana azzoppano il candidato della sinistra Ormai è chiaro: il destino di Matteo Renzi passa dalla Toscana. Là dove tutto è cominciato. L'obiettivo della sopravvivenza politica di Italia viva è diventare l'ago della bilancia. Non si adombrerà se lo chiamano maliziosamente «l'ego della bilancia». Non dovesse riuscirgli il tira e molla con il governo Conte, gli resta comunque il test nella terra dove ha ancora amici. Lui spera anche molti elettori. E dove a maggio si voterà per le regionali. Qui il risiko può tornargli più semplice, nonostante il Pd cerchi di impedirgli di adottare la strategia che gli riesce meglio, quella del guastatore. Per ora Renzi, più che al suo ex partito, i problemi li sta creando al candidato del centrosinistra Eugenio Giani che, finché il centrodestra non si sveglia, il «rompiscatole» ce l'ha in casa. Il braccio di ferro fra due che, formalmente, sono dalla stessa parte, è sulle rispettive liste civiche che affiancheranno il Pd. Entrambi puntano agli elettori dell'area moderata. Per Giani sono un elemento di forza: ai dem quei voti farebbero comodo. Ma Renzi ha altri programmi. Siccome i sondaggi nazionali non sono proprio incoraggianti per Iv, fra il 3 e il 5 %, a Renzi non resta che scommettere sulla partita nella sua regione, dove spera di ottenere il massimo perciò non vorrebbe la lista Giani. Il Pd è di parere opposto. Il candidato sta nel mezzo, premuto dal partito che lo ha espresso pur fra mal di pancia della sinistra, eppure in ostaggio dell'uomo che ha lanciato il suo nome, per sostituire Enrico Rossi, addirittura prima di uscire dal Pd e a cui poi ha però rinnovato l'appoggio da leader di Italia viva. La concorrenza è esiziale, perché rappresenta il motivo, l'ennesimo, di scontro fra il Pd e Renzi, che ormai non se le mandano a dire dietro. Anche in Toscana, dove una buona parte degli esponenti di spicco dei dem è nata da una costola del renzismo, dunque in alcuni casi si profila come una guerra fratricida. Anzi, molti devono proprio a Renzi la grazia politica ricevuta, a cominciare dal segretario regionale Simona Bonafè, renziana della prima ora, poi spedita in Europa per non fare ombra a Maria Elena Boschi. Ma se la posizione della Bonafè può essere sfumata (anche se poi, mica tanto) da umana riconoscenza, assai più intransigente è l'atteggiamento del Pd romano. Zingaretti non ha certo voglia di concedere sconti a Renzi che, come fa i capricci nei confronti del governo, così altrettante bizze fa in Toscana. L'ex premier fiuta il sangue della contesa (politica), che è il clima che più gli piace: è vero che da qui può lanciare la sua ripartenza, ma può anche autoseppellirsi se le cose non andassero per il verso giusto. Perciò le sta provando tutte, compresa la tentazione (o la minaccia?) di mettersi lui stesso a capo della lista. Si è aperta la rassegna delle acide allusioni nel partito: «Bene, staremo a vedere se il Rottamatore, una volta eletto in consiglio regionale, si dimetterà o rimarrà anche al Senato, contraddicendo quello che ha sempre detto». In realtà il timore diffuso dalle parti del Pd è un altro: che un buon risultato personale dell'ex premier lo metta nelle condizioni di ascriversi l'eventuale vittoria. E qui tutti sanno che Renzi è uno scomodo e imprevedibile compagno di viaggio. Ma c'è un'altra spiegazione, che probabilmente è quella che Renzi ha messo al centro del suo progetto. Siccome per la prima volta il Pd corre il pericolo di non avere la trionfale maggioranza (i sondaggi accreditano ancora una certa contendibilità al centrodestra, nonostante a soli tre mesi dal voto non vi sia traccia di un candidato alternativo a Giani) che le consenta di decidere tutto da solo, Italia viva potrebbe detenere la golden share che le darebbe il diritto di condizionare le scelte della Regione. Compresa la composizione della giunta e le nomine per le poltrone connesse. La sfida non si sa come andrà a finire. Il Pd non molla e sottoscriverebbe un'operazione tipo quella che ha portato alla conquista dell'Emilia Romagna: una lista Giani dove ci sia posto anche per i candidati di Iv. Ma è molto difficile che Renzi si accontenti di entrare dalla porta di servizio nel governo che invece aspira a pilotare. E ovviamente con i suoi uomini.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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