2024-10-12
Giuli tira dritto e nomina al ministero l’attivista Lgbt che fu silurato da Fdi
Alessandro Giuli, ministro della Cultura (Ansa)
Francesco Spano è vicecapo di gabinetto, per il titolare del Mic «è bravo». Ma nel 2017 finì in uno scandalo svelato dalle «Iene».Meraviglie dei tempi che cambiano. Giusto ieri contro il centrodestra piovevano - dalle opposizioni - accuse violentissime di omofobia, intolleranza e terrapiattismo. Tutto perché Rossano Sasso, leghista, ha sparato a palle incatenate contro il corso di Teoria queer che si tiene all’Università di Sassari. Cosa che, ovviamente, ha suscitato le ire di chi pensa che promuovere la suddetta teoria sia questione di diritti e non di ideologia. Ebbene, proprio mentre va in scena questa polemica ecco che si verifica un fatto piuttosto curioso. Alessandro Giuli, nuovo e forbitissimo ministro della Cultura, presentato come un ferrigno esponente della «destra-destra», prima revoca l’incarico di capo di gabinetto al consigliere Francesco Gilioli perché «è venuta a mancare la fiducia». Poi nomina vicecapo Francesco Spano.Il nome, ai più, non dirà molto. Eppure qualche anno fa fu sulla bocca di tutti per qualche settimana dopo un rovente servizio delle Iene. All’epoca - era il 2017 - Spano era da poco diventato direttore dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l’Unar. Un organismo che fa capo alla presidenza del Consiglio, all’epoca feudo renziano (la referente era Maria Elena Boschi, allora sottosegretario). Sull’Unar se ne potrebbero dire di ogni: più che occuparsi di proteggere i discriminati, negli anni ha agito come una sorta di centrale di propaganda del pensiero unico, un propulsore del wokismo ante litteram. E già questo basterebbe per suscitare stupore riguardo alla scelta di Giuli.Ma ovviamente c’è di più. Le Iene, con un servizio di Filippo Roma, raccontarono che l’Ufficio antidiscriminazioni aveva finanziato una organizzazione chiamata Anddos, ovvero Associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale. Tale associazione riuniva circoli privati e associazioni Lgbt diffusi su tutto il territorio italiano. Dove stava il problema? In due particolari: per prima cosa, Spano era iscritto Anddos: lo negò più volte, ma la tessera con il suo nome dissolse ogni dubbio. Poi la parte più scabrosa. Le Iene mostrarono che in circoli associati a Anddos si svolgevano serate a base di sesso, anche a pagamento.La trasmissione di Italia Uno parlò esplicitamente di «un’associazione di imprenditori del mercato del sesso gay». Spano spiegò che Unar aveva attribuito finanziamenti alle associazioni che avevano i requisiti e disse di essersi basato su «quello che ci dichiara lo statuto delle associazioni». Insomma, affermò di non sapere nulla di festini, prostituzione e via folleggiando. Non fu sufficiente.Contro di lui insorsero in tanti, a partire da Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni annunciò di aver presentato una interrogazione urgente per «chiedere la chiusura immediata dell’Unar e le dimissioni del suo direttore Spano». Maurizio Gasparri di Forza Italia ci andò altrettanto pesante e così i Cinquestelle per bocca di Alessandro Di Battista (curioso anche che oggi i pentastellati abbiano l’accusa di omofobia molto facile). Risultato: Spano rassegnò le dimissioni. E con lui anche Marco Canale, presidente di Anddos.La faccenda finì alla Corte dei conti, che non rilevò illeciti sul versante dei finanziamenti pubblici: i bandi erano stati condotti in maniera pulita anche se Spano aveva la tessera Anddos. Rimaneva il tema politico, lo stesso che in parte viene sollevato ora. Allora, a nome del Family day, Filippo Savarese scoperchiò il calderone dei corsi nelle scuole, dato che Anddos svolgeva anche attività formative. «Lo scandalo dei finanziamenti Unar», disse Savarese, «assume caratteri ancor più raccapriccianti se si considera che le stesse associazioni sono proprio quelle che entrano nelle scuole italiane di ogni ordine e grado per rieducare i nostri figli e nipoti sui temi delicatissimi della sessualità e dell’affettività».A distanza di qualche anno, lo scenario è simile ma diversissimo. L’area pro vita, appreso della nomina di Spano, ha subito storto il naso, per usare un eufemismo. Pro vita e famiglia, ieri sera, ha lanciato una petizione. Simone Pillon, tutto sommato, la tocca piano: «Il mio consiglio al bravo ministro Giuli è di annullare la nomina di Francesco Spano nel suo staff», scrive. «Abbiamo di meglio di uno cacciato dalla Boschi (su richiesta della Meloni) per esser socio di un club Lgbt finanziato dall’Unar che presiedeva. Dopo la Concia, ancora si nominano esponenti di sinistra per una sorta di sindrome di Stoccolma. Caro ministro Giuli: niente inferiorità culturale please. E no cappotti rossi».Interpellato in proposito dalla Verità, il ministro Giuli è piuttosto diretto: «Prendo le persone brave che hanno dimostrato dedizione e lealtà lavorando con me, quelle in cui ho fiducia», dice. «Spano ha lavorato con me al Maxxi. Dopo un periodo di prova di un anno, visto che le cose hanno funzionato magnificamente, era stato riconfermato e sarebbe rimasto con me fino alla fine dell’incarico. Ha grandi qualità tecniche. È un cattolico progressista, tutto quello che fa nella sua vita privata riguarda lui».Su questo non ci sono dubbi. Sullo specifico del caso Unar, Giuli precisa: «Per quanto riguarda possibili reati, la vicenda si è risolta in suo favore. Dunque ribadisco la mia grande fiducia in lui e il mio totale disinteresse verso ogni ricostruzione tendenziosa. Ho sempre avuto ottimi rapporti con mondo pro life, ho anche diretto laicamente Tempi, rivista legata a Comunione e liberazione. Non ho conosciuto Simone Pillon e non condivido le posizioni che esprime come lui, immagino, non condivide le mie. Colgo un certo fermento in quell’area, leggo articoli in cui mi si dà del neopagano che porta la lobby gay al ministero. Rispondo che per me vale la legge della laïcité: se qualche vedova inconsolabile del Papa re vuole rodersi il fegato, è libera di farlo». Giuli spiega di avere «ottimi rapporti con tutte le religioni». E dice di aver agito «sempre guidato dal concetto che è la maestà delle istituzioni che conta e la bontà delle persone che le servono. Io rappresento una istituzione pubblica». Dal canto suo, ribadisce, non c’è «alcuna polemica, sono altri che si agitano. Non mi interessa», afferma, «il confronto con chi ha pregiudizi fondati su fanatismi religiosi».Il messaggio è chiaro. E chissà se piacerà a tutti.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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