2018-04-09
Condannato a ricordare tutto: «Continuo a rivedere le occasioni perse»
Giovanni Gaio soffre di ipertimesia, cioè una funzione mnemonica prodigiosa. «Ci sono vantaggi ma a volte non dimenticare è una maledizione. Ricordo tutto, però donne e scarpe restano misteri».Esistono uomini in grado di mantenere un basso profilo anche quando il loro mosaico genetico ne decreta in maniera inconfutabile l'eccezionalità. Ecco che, allora, tendono ad apparire come individui rari, specie da riserva protetta che per fortuna, o per disgrazia, non hanno fatto della propria eccellenza biologica il fondamento sul quale costruire un'esistenza esibita. Al contrario. Giovanni Gaio si presenta in tono quasi dimesso come consulente freelance per la sicurezza. «Free-lance, nel senso che la mia è una battaglia continua col mondo», commenta con spirito asciutto questo ragazzotto veneto dallo sguardo trasognato e affilato come una spada. Come se fosse alla ricerca di un qualcosa nel suo interlocutore che lo aiutasse a metterlo a fuoco. Nato a Feltre, in provincia di Belluno («Io preferisco definirla provincia di nessuno, una realtà ai confini dell'impero»), compirà 36 anni quando l'estate sarà un ricordo ancora vivido. La carta d'identità recita 28 settembre 1982: «Una data palindroma, se analizzata numericamente. Riflettendoci, suona come un presagio». Con questo aplomb da profeta locale, Gaio intende richiamare l'attenzione su una condizione, la sua, che accomuna non più di un centinaio di persone sparse per il mondo. La definizione esatta è ipertimesia, termine che al di fuori dell'ambito scientifico è volgarmente rimpiazzato dall'espressione «super memoria». Ufficialmente diagnosticata per la prima volta nel 2006 dal neurobiologo americano James McGaugh, della University of California Irvine, la sindrome ipertimesica, sintetizzata dall'acronimo inglese Hsam (Highly superior autobiographical memory), si riferisce a quegli individui dotati di una memoria così portentosa da permettere loro di ricordare nei dettagli pressoché ogni giorno dell'esistenza. Il drammaturgo inglese John Osborne sosteneva che una cattiva memoria preservasse da tanti rimorsi. Quale occasione migliore per verificarlo.Quanti rimorsi ha accumulato nella sua breve vita?«Parecchi. Poco fa, pensavo alle occasioni che ho perso. Vuoi per mancanza di coraggio, vuoi per concause. Tante piccole gocce disperse, come un acquedotto bucato. Come disse un mio collega mentre, in macchina, continuava a collezionare semafori arancioni: “Significa che sono nato cinque secondi dopo". Era il 29 gennaio 2013, un martedì».Si considera un talento sprecato?«Dipende dallo stato d'animo del momento. Per certi versi sì, ho avuto tante opzioni davanti e le ho buttate al vento».Perché?«Forse mi manca la determinazione. Arrivo a un passo dal raggiungere l'obbiettivo, ma non riesco a concludere. Con le donne è la stessa storia».Uno dei difetti che le donne rimproverano più spesso ai loro compagni è quello di scordare attimi importanti del rapporto. In questo lei dovrebbe essere un maestro.«Da persona complicata, posso dirle che l'universo femminile è ancora più complicato. Quando pensi di essere entrato nella testa di una donna, non ti sei avvicinato: ti sei allontanato ancora di più».Quando si è accorto di possedere una memoria fuori dal normale?«Intorno ai nove anni. Alle elementari, durante i corsi estivi, facevamo dei test di logica in cui dovevamo collegare momenti vissuti nell'anno scolastico. Mi rendevo conto che, per me, era tutto semplice. Quanto alle relazioni, invece, la questione era ben diversa».In che senso?«Faticavo. Dissero che avevo difficoltà nel socializzare. Mi mandarono da una psicologa infantile. Col tempo, ho capito perché ragionavo in maniera differente rispetto alle altre persone».Si considera «diverso», Giovanni?«Osservando i miei amici che si sposano e comprano casa, mi sento un pesce fuor d'acqua. O non sono abbastanza maturo, oppure non sento la spinta per garantire la trasmissione dei miei geni. Del resto, quando sento parlare di black friday mi incazzo a morte. Siamo un'umanità in piena adolescenza, ci manca il salto evolutivo».Quando le è stata diagnosticata la sindrome ipertimesica?«Il 5 ottobre 2014, partecipai a un test dell'università La Sapienza: 30 domande relative a eventi da collocare temporalmente. Con 27 risposte esatte, risultai il primo in Italia. La media degli altri esaminati era 20. Nel 2016, presso la fondazione Santa Lucia, sempre a Roma, fui sottoposto al medesimo test. Questa volta, alla presenza di medici specialisti e macchinari in grado di rilevare quali zone del mio cervello si attivassero nel ricercare un ricordo e rievocarlo».La definizione di ipertimesia parla di una memoria autobiografica superiore. Ciò esclude i ricordi riguardanti le vite degli altri?«Non se suscitano in me un'emozione. In questo sono piuttosto normale. Le emozioni, comunque, restano fondamentali. Mi dica la sua data di nascita».31 luglio 1979.«Era un martedì. Ogni 28 anni, i giorni della settimana si ripetono con esattezza. Sommando il numero 28 a 1979 si ottiene 2007. Il 31 luglio di quell'anno era il giorno prima che cominciassi un tirocinio universitario. L'emozione determinata da quell'ansia ha fatto sì che fissassi nella memoria quel martedì».Senta, per lei la scuola sarà stata una passeggiata.«Nient'affatto. Ancora maledico di aver scelto una scuola tecnica, essendo la mia manualità prossima allo zero. A 9 anni non avevo ancora imparato ad allacciarmi le scarpe. Mi diplomai con 77 su 100, complice un otto in condotta. In compenso, vinsi tre volte su cinque le olimpiadi di matematica della scuola».È stato soprannominato «calendario umano». La cosa la lusinga o la infastidisce?«Mi diverte».Non la fa sentire un fenomeno da circo?«No, grazie al cielo l'autoironia non mi manca».Mi racconta i suoi primi ricordi?«Un giorno in cui mi tagliai una mano, avevo 2 anni. Sempre in quell'anno, il pupazzo Rockfeller: era uno dei primi Fantastico e quel corvo mi terrorizzava. Un altro evento molto vivido risale ai miei 3 anni, estate 1986. Un camion ribaltato sulla strada provinciale che porta ad Arina, ultimo avamposto veneto prima del Trentino Alto Adige. Ricordo che mamma e papà mi tenevano la mano per tranquillizzarmi».Nel 1944, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges descrisse, nel libro Finzioni, il personaggio di Ireneo Funes, uomo la cui memoria prodigiosa ne devasta la vita condannandolo all'isolamento. Prova un senso di fratellanza verso Funes?«In parte sì. Certe volte il rimembrare troppo mi condiziona la vita: ripensare a determinate situazioni o eventi acuisce una condizione d'animo già precaria, tormentata. Per fortuna sono fasi temporanee».Ma, alla fine, vede l'ipertimesia come un dono o una condanna?«È una bilancia che pende da una parte o dall'altra, a seconda dell'umore. Posso sentirmi sprecato o poco riconosciuto, è un gioco di specchi». C'è un ricordo del quale vorrebbe liberarsi?«Più di uno, purtroppo. Situazioni tristi che preferisco tenere per me. Un amico, una volta, mi disse: “Per fortuna io dimentico". Una riflessione che mi descrive piuttosto bene».Il premio Nobel per la pace, Albert Schweitzer, ha detto: «La felicità non è niente più che una buona salute e una cattiva memoria». «Quanto a salute fisica non mi lamento. Dopo la nascita, nessun ospedale mi ha mai avuto tra le sue braccia. La salute morale oscilla. Una persona a me cara mi disse: “Impara a dimenticare"».Ingannare la sua memoria non dev'essere facile.«Già. L'unico modo è distrarla facendo dell'altro».«Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare». A dirlo fu Primo Levi. Lei ha dovuto perdonare molto nella sua vita?«È un esercizio difficile, il perdono. Ho sempre dato una seconda possibilità, dopodiché ho troncato i rapporti. Certe persone preferisco incontrarle nei ricordi che per la strada». In un'intervista, lei ha dichiarato: «Non ho avuto una vita leggera, e allora viaggiare nel tempo a volte mi aiuta». Cosa intendeva dire?«La mia vita ha subito deviazioni più marcate rispetto ai miei coetanei, sono stato messo alla prova. Giocare con la mente viaggiando nel tempo attraverso le date mi ha aiutato a fuggire dal gravoso del presente».Detto da uno che di cognome fa Gaio, suona come un calembour.«Spassoso, non trova? Pensi che, di solito, firmo con la sigla “G.G.": posso dire di essere un uomo col doppio punto G».Senta, ma esiste qualcosa che non le rimane in testa?«Le normative tecniche applicate al mondo dell'ingegneria e della sicurezza in particolare. Mi mandano in bestia, dicono tutto e il contrario di tutto. Per questo gli avvocati sguazzano così bene in Italia».Un uomo capace di incasellare ogni giorno della propria vita che rapporto ha con la morte? Crede in Dio?«Credo nell'esistenza di una regia, di un filo impercettibile che collega gli esseri umani. Vedo la morte come un passaggio obbligato. Un pensiero che mi genera un certo malessere, se penso che dovremo abbandonare tutto ciò che abbiamo costruito. Ma dev'esserci uno scopo».Si dice che, al momento del trapasso, i ricordi di una vita scorrano davanti agli occhi. Lei non ne avrà bisogno.«No, ma sarà un potenziamento dei sensi. Noi siamo il misero e di fronte abbiamo il mistero. A separarci c'è solo una T».