2023-02-27
Giordano Bruno Guerri: «La nostra cultura? Ferma all’Urss»
Giordano Bruno Guerri (Imagoeconomica)
Lo storico: «Aver gridato allo scandalo per la mia presenza al Salone del Libro è stato osceno. I continui allarmi sul fascismo mi sfiniscono. Sulle nozze gay la penso come Fedez, ma non do dell’idiota a chi è contro».«Sarà un Salone del Libro totalmente di parte, stile festa dell’Unità». Giordano Bruno Guerri, storico, giornalista, scrittore, presidente del Vittoriale degli Italiani, ancora fatica a spiegarsi la bufera sulla kermesse letteraria di Torino. «Cose del genere accadevano ai tempi del fascismo, oppure in Unione Sovietica». Breve sunto: Paolo Giordano rinuncia alla guida del Salone, lamentando un tentativo di «lottizzazione partitica». Dito puntato sul Ministero della Cultura, che proponeva la triade Bruno Guerri-Buttafuoco-Campi nel consiglio editoriale. Paginate di giornali sulla destra che scippa la cultura agli intellettuali. «E premetto che, già con questa intervista, mi sto giocando l’opportunità di essere simpatico a quelli del Salone». Detto questo, che idea si è fatto? «Ma che idea vuole che mi sia fatto: è un assurdo numerico. Il ministro Sangiuliano proponeva gentilmente, dietro richiesta dell’organizzazione del Salone, tre nomi di persone io credo rispettabili - perlomeno gli altri due. Questi nomi sarebbero stati inseriti in un consesso di 19 componenti. Insomma, avremmo rappresentato con Campi e Buttafuoco un’assoluta minoranza. Dunque il fatto che Paolo Giordano gridi alla mutilazione della sua autonomia mi sembra davvero fuori luogo, tanto da far pensare che ci siano altri motivi». Per esempio? «Non lo so. Forse non si considerava all’altezza del compito, e ha trovato la scusa nobile. Ma davvero non ho idea, perché tutto ciò non ha senso logico. In un uomo come Giordano, il cui mestiere afferisce, prima che alla scrittura, alle scienze esatte, io questo comportamento non me lo spiego». Su diversi giornali, il terzetto fuori dal coro proposto dal ministero è stato inquadrato come una pattuglia di commissari politici, una sorta di armata delle tenebre pronta a mettere la mordacchia alla cultura. «Io posso solo raccontare quello che ho fatto sin qui. Mi sono mantenuto all’università facendo il correttore di bozze per una casa editrice. Poi ho fatto il caporedattore dell’enciclopedia Garzanti, ho diretto una rivista, sono stato direttore editoriale della Mondadori, poi ho fondato una piccola casa editrice. Ho pubblicato una trentina di libri, conosco tutti gli editori e tutto il mercato. L’unico mestiere che non ho fatto nell’editoria è il libraio, che peraltro è il più difficile di tutti». Insomma?«Insomma, se dovessi occuparmi in qualsiasi modo del Salone del Libro, ritengo di essere a posto con il curriculum. Adesso però mi si deve spiegare perché non vado bene». Lei non va bene, per usare le parole di Concita De Gregorio su La Repubblica, perché a Torino avrebbe svolto «una servizio di tutela e sorveglianza» nei confronti del direttore del Salone. Come un agente dell’Ovra. «Spero almeno che la De Gregorio abbia avuto l’intelligenza di adoperare il condizionale. La verità è che stiamo andando verso un Salone del Libro a guida totalmente di parte. Ed è sbagliato. È così che si offende la cultura: con questa divisione tra buoni e cattivi. La cultura non si può dividere in parrocchie politiche, e la verità non può stare da una parte sola. C’è tanta gente a sinistra e anche a destra che la pensa diversamente da me, su tantissime cose. Dove sta il problema?».Cosa le brucia di più?«Che in queste polemiche io venga etichettato come “di destra”, quando almeno la metà delle mie idee disgusterebbero un vero conservatore. A differenza di chi mi ha accusa, non ho mai avuto tessere di partito. Ho sempre votato radicale, ma quando Pannella mi propose di tesserarmi, io gli risposi: “No, perché sono troppo radicale”». Sarà dunque una kermesse editoriale concettualmente antidemocratica? «E allora lo si dica in un modo aperto e chiaro: anziché Salone del Libro, si chiami “Salone dell’Unità”, come una volta c’erano le feste dell’Unità». È anche una questione di difesa ideologica del territorio? «Potrei capire se un torinese dicesse “Il Salone è roba mia”, in virtù d’una appartenenza geografica affine a un certo ambiente culturale. Ma sostenere che il Salone è politicamente “roba nostra”, è osceno sul piano umano prima ancora che intellettuale. Dire “la cultura sono io” è il gesto più anti-culturale che esista. È offensivo per gli stessi uomini di cultura». È una tendenza già vissuta in Italia?«Cose come queste accadevano durante il fascismo. Accadevano in Unione Sovietica. Accadono sempre, là dove non c’è libertà». Con un governo dichiaratamente di destra al potere in Italia, questo genere di resistenza intellettuale alle voci non di sinistra le pare più ostinata? «Probabilmente sì, perché oggi quelli in buona fede credono davvero al pericolo autoritario. Chi non è in buona fede, può cogliere l’occasione per perseguire i suoi interessi». Insomma, la cappa di conformismo è più opprimente oggi?«Quella c’è sempre stata, fin da quando si condannava D’Annunzio per le sue inclinazioni lussuriose». L’allarme fascismo è risuonato anche nelle aule scolastiche. A Firenze studenti di destra picchiano studenti di sinistra. Solo una rissa, o come dice il sindaco Nardella, un «atto squadristico»?«Di questa storia penso tutto il male possibile. Certamente il fatto va condannato, è un atto di violenza per motivi politici. Però è veramente sfinente questo richiamo continuo e quotidiano al pericolo fascista. Un giorno per una frase di La Russa, un altro per la storia del liceo di Firenze. Da par mio, l’unico pericolo fascista che vedo è la Russia di Putin, non solo in Italia ma nel mondo. Questa in Ucraina è la loro guerra d’Etiopia». La preside di un liceo fiorentino ha scritto agli studenti: «È in momenti come questi che nella storia i totalitarismi hanno preso piede. Chi decanta il valore delle frontiere, chi richiama il sangue degli avi, va chiamato con il suo nome». «È chiaramente un eccesso ideologico. Attacca le tradizioni, ma la conservatrice è lei, quando si appella a una difesa rituale dell’antifascismo, che in questo contesto appare totalmente fuori luogo». Il ministro Valditara ha minacciato provvedimenti, parlando di lettera impropria. Ha ragione? «Sì. Certamente è una lettera politica, che trasmette un messaggio subdolo, senza avere neanche il coraggio di citare Meloni o Salvini. Non rientra tra le funzioni degli insegnanti lanciare appelli politici, sia di destra che di sinistra. Il ministro fa benissimo a censurare». La sinistra disarticolata a livello politico, si rifugia nelle ridotte culturali, editoriali, scolastiche, persino musicali? «Il Festival di Sanremo l’ho seguito attraverso i giornali. Condivido l’analisi di Aldo Cazzullo sul Corriere: siamo passati da Sandra e Raimondo a Fedez e Ferragni». Un cambio svantaggioso?«Non è che voglia incensare l’Italietta borghese di Vianello e Mondaini, ma certo loro non facevano della provocazione un’arte redditizia come fanno gli influencer di oggi. E lo dico io, che su molti temi, come il matrimonio gay, mi trovo d’accordo con i Ferragnez. Ma a differenza loro, non ho mai pensato di catalogare come idiota, o politicamente sospetto, chi la pensa diversamente». Però lei ha definito Gabriele D’Annunzio come un influencer ante litteram.«Sì, ma lui ha scritto l’Alcyone, Il Piacere, nonché la rivoluzionaria Costituzione di Fiume. Fedez e quelli come lui scrivono al massimo un tweet. È preoccupante che qualcuno li elevi a punti di riferimento culturali». Se a Fedez si toglie il gusto della provocazione, cosa resta?«I tatuaggi?». Bonaccini o Schlein: la sinistra è a una svolta?«Se vince Bonaccini, avremo un partito comunista postdemocristiano. Se vince Schlein avremo un Pd postcomunista radicale, più spostato a sinistra. Credo che quel partito, per sopravvivere, dovrebbe ritrovare la sua identità di lotta. Ma invece vincerà Bonaccini, e il partito guarderà verso il centro». Stesse tendenze anche a destra?«Sì, a dispetto degli allarmi autoritari, Meloni sta conducendo una politica prudente e saggiamente moderata. Probabilmente nascerà il famoso grande centro, costruito sulle spoglie di un centrodestra e un centrosinistra in fondo non così dissimili». Adesso di cosa si occuperà?«L’11 marzo al Vittoriale inizieranno le celebrazioni per i 160 anni di D’Annunzio. Abbiamo restaurato e messo in sicurezza la nave Puglia, inaugureremo due mostre e presenteremo alcune iniziative digitali mai viste al mondo. Si conserva il passato per portarlo nel futuro, con un occhio anche al pubblico più giovane, quello che la nostra scuola, ogni tanto, abbandona». Inviterà anche Fedez alle celebrazioni?«Se viene lo abbraccio volentieri. Ma sia chiaro: non lo bacio».
Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
Continua a leggereRiduci