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2025-08-23
Gimbe a scuola senza ok del ministero grazie alla raccolta fondi targata dem
Nino Cartabellotta (Ansa)
C’è un progetto che da qualche anno gira per le scuole italiane con la promessa di insegnare ai ragazzi a non farsi fregare dalle fake news sulla salute e a conoscere i diritti del Servizio sanitario nazionale. Lo hanno chiamato «La salute tiene banco». Un titolo che sa di campagna culturale e di slogan ministeriale. L’idea è della fondazione Gimbe, guidata dal sessantenne palermitano Nino Cartabellotta, medico internista specializzato in malattie dell’apparato digerente e appassionato, oltre che di fotografia e di giardinaggio, anche di statistica, strumento col quale, tramite la sua struttura, bacchetta governi e regioni sui conti della sanità. Dietro la facciata pedagogica del progetto, però, c’è molto di più. Ci sono numeri, raccolte fondi, un sistema di sostegno che passa da piattaforme di crowdfunding non estranee a frequentazioni politiche e un nucleo familiare che sembra il cuore pulsante della fondazione. La salute tiene banco parte da un assunto: i ragazzi italiani sarebbero analfabeti di sanità. Gimbe li interroga in classe e raccoglie i risultati: il 16,7 per cento non conosce il proprio medico di famiglia, il 53,6 non sa cosa sia il ticket e l’82,3 non ha mai usato il fascicolo sanitario elettronico. Solo uno studente su due sa che gli screening oncologici gratuiti previsti nei Livelli essenziali di assistenza sono tre. Una fotografia impietosa. Per Gimbe la diagnosi è chiara: i giovani vanno educati. E a pensarci non è lo Stato, ma una fondazione privata che, in assenza di trasparenza (sul sito web, come ha ricostruito ieri La Verità, i bilanci sono fermi al 2019), gira l’Italia con slide, quiz e slogan. Una bella missione. Ma senza alcun protocollo ufficiale con il ministero dell’Istruzione. Che infatti non compare mai sulle locandine. Eppure la fondazione, stando ai dati resi noti, è entrata in ben 243 classi di 190 scuole superiori, incontrando la bellezza di 5.500 studenti. In sostanza, un soggetto privato ha portato nelle aule italiane la propria agenda formativa, senza cornice istituzionale (eccetto il patrocinio della Regione Emilia Romagna, della Regione Puglia e di alcuni Comuni) né convenzioni ministeriali. Un corso parallelo legittimato dai dirigenti scolastici che hanno aperto le porte delle scuole che amministrano. Gimbe, da parte sua, con un catalogo che assomiglia più a un listino commerciale che a un servizio pubblico, non nasconde la sua attenzione per i giovani. Sul portale della fondazione è presente un’area intitolata «Gimbe4Young», che pubblicizza le borse di studio (30 in tutto) per partecipare al corso (dal costo di 1.300 euro) della stessa fondazione, «Evidence based practice», il Gimbe award, un riconoscimento assegnato al miglior contributo presentato alla Conferenza nazionale dell’organizzazione di Cartabellotta, la Borsa di studio Gioacchino Cartabellotta (padre di Nino, medico ad Alia, provincia di Palermo) per i progetti di ricerca indipendenti e Gimbe Education, altro corso di formazione con rette ridotte al 50 per cento e perfino «offerte last minute». Un protocollo, però, per la verità, per La salute tiene banco, Gimbe lo ha firmato, ma non con il ministero di Giuseppe Valditara. Il 17 luglio scorso, in occasione di un webinar nazionale, Cartabellotta ha siglato un’intesa con la Rete italiana Città sane dell’Oms (l’Organizzazione mondiale della Sanità). Il presidente della Rete, Lamberto Bertolé (area dem, presidente del Consiglio comunale di Milano), e Cartabellotta hanno sposato l’idea di «unire visione territoriale ed evidenze scientifiche» per portare la salute nelle scelte quotidiane di chi amministra. Il protocollo viene definito «solo il primo passo» di un percorso comune, che coinvolgerà Comuni, cittadini e, ovviamente, le scuole. In pratica, niente ministero dell’Istruzione, ma un’alleanza con un network di amministratori in gran parte di centrosinistra. Per sostenere «La salute tiene banco» Gimbe non si è affidata a bandi pubblici, ma al crowdfunding. La piattaforma scelta è Idea Ginger, fondata da Agnese Agrizzi. Una società bolognese, come Gimbe, che negli anni ha fatto parlare di sé per l’abilità nel far decollare campagne sociali e culturali. E con Gimbe i risultati sono stati straordinari. Per il 2024 l’obiettivo era 12.000 euro, ne sono stati raccolti 18.686 da 243 sostenitori. Per il 2025 l’obiettivo era 15.000, ne sono stati raccolti 20.948 da 259 sostenitori. Un successo costruito anche con un modello «tutto o niente»: se non si raggiunge la cifra, i soldi tornano indietro. Gli slogan sono convincenti: «Ogni 2.000 euro in più ci permetteranno di portare La salute tiene banco in una nuova scuola superiore. Più fondi uguale a più scuole. Più scuole uguale a più giovani che imparano a prendersi cura di sé, della propria salute e del nostro Servizio sanitario nazionale». A conti fatti, per le 190 scuole già raggiunte a 2.000 euro l’una, Gimbe deve aver raccolto 380.000 euro. Oltre alla raccolta fondi sul web, quasi su ogni locandina è presente il logo di uno sponsor o di un sostenitore, tra istituti di credito, casse mutue e altre fondazioni sanitarie. Il crowdfunding, quindi, è solo uno dei canali di finanziamento. Con Gimbe, comunque, Ginger ha sempre superato gli obiettivi. E non ci è riuscita solo con Gimbe. Nel 2014, a Bologna, in un evento chiamato «LaBo 2014», la fondatrice Agrizzi appariva in pubblico al fianco di Raffaele Donini, all’epoca segretario provinciale del Partito democratico e oggi assessore regionale emiliano alla Salute. La partnership era finalizzata a finanziare la scuola di formazione politica per i giovani amministratori del Pd bolognesi, dove si insegnava a fare i compiti a casa per il partito. Ma la prova che il progetto piace particolarmente all’area progressista arriva scorrendo l’elenco dei sostenitori, tra i quali compare la Cgil di La Spezia. Il capitolo più curioso, però, riguarda i nomi che compaiono tra i donatori. In mezzo a professionisti, aziende e associazioni, ci sono un paio di Cartabellotta. Nino, ovviamente. Ma anche Salvatore (probabilmente uno dei tre figli). Segno che il progetto è sostenuto dall’intera famiglia. Con il benestare ovviamente del vicepresidente di Gimbe, che è Giuseppina Drago, pediatra e moglie di Nino. In pratica, i due coniugi guidano insieme la fondazione, mentre tra i parenti c’è chi contribuisce a finanziare i progetti in un particolare modello di economia domestica. E, così, gli studenti imparano che la salute è un diritto universale grazie alla colletta di famiglia passata per il crowdfunding della piattaforma che, in passato, ha raccolto i fondi per la scuola di formazione Pd, a qualche bonifico firmato dalla Cgil e a un protocollo con la Rete delle Città Sane guidata da un esponente dem. Il senatore del Carroccio Claudio Borghi, che ha ingaggiato una battaglia sulla trasparenza di Gimbe, contattato dalla Verità, ha commentato: «C’è di che essere molto preoccupati nel pensare che per anni siamo stati in mano a Roberto Speranza come ministro e a questa organizzazione ascoltata come oracolo su tutte le reti tv nazionali. Se siamo ancora vivi è un miracolo».
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In virtù del sostegno della Cgil e di una rete guidata dall’esponente pd Lamberto Bertolé, la fondazione di Nino Cartabellotta è entrata in 190 istituti superiori. Un’operazione da 380.000 euro, reperiti anche tramite una piattaforma Web.C’è un progetto che da qualche anno gira per le scuole italiane con la promessa di insegnare ai ragazzi a non farsi fregare dalle fake news sulla salute e a conoscere i diritti del Servizio sanitario nazionale. Lo hanno chiamato «La salute tiene banco». Un titolo che sa di campagna culturale e di slogan ministeriale. L’idea è della fondazione Gimbe, guidata dal sessantenne palermitano Nino Cartabellotta, medico internista specializzato in malattie dell’apparato digerente e appassionato, oltre che di fotografia e di giardinaggio, anche di statistica, strumento col quale, tramite la sua struttura, bacchetta governi e regioni sui conti della sanità. Dietro la facciata pedagogica del progetto, però, c’è molto di più. Ci sono numeri, raccolte fondi, un sistema di sostegno che passa da piattaforme di crowdfunding non estranee a frequentazioni politiche e un nucleo familiare che sembra il cuore pulsante della fondazione. La salute tiene banco parte da un assunto: i ragazzi italiani sarebbero analfabeti di sanità. Gimbe li interroga in classe e raccoglie i risultati: il 16,7 per cento non conosce il proprio medico di famiglia, il 53,6 non sa cosa sia il ticket e l’82,3 non ha mai usato il fascicolo sanitario elettronico. Solo uno studente su due sa che gli screening oncologici gratuiti previsti nei Livelli essenziali di assistenza sono tre. Una fotografia impietosa. Per Gimbe la diagnosi è chiara: i giovani vanno educati. E a pensarci non è lo Stato, ma una fondazione privata che, in assenza di trasparenza (sul sito web, come ha ricostruito ieri La Verità, i bilanci sono fermi al 2019), gira l’Italia con slide, quiz e slogan. Una bella missione. Ma senza alcun protocollo ufficiale con il ministero dell’Istruzione. Che infatti non compare mai sulle locandine. Eppure la fondazione, stando ai dati resi noti, è entrata in ben 243 classi di 190 scuole superiori, incontrando la bellezza di 5.500 studenti. In sostanza, un soggetto privato ha portato nelle aule italiane la propria agenda formativa, senza cornice istituzionale (eccetto il patrocinio della Regione Emilia Romagna, della Regione Puglia e di alcuni Comuni) né convenzioni ministeriali. Un corso parallelo legittimato dai dirigenti scolastici che hanno aperto le porte delle scuole che amministrano. Gimbe, da parte sua, con un catalogo che assomiglia più a un listino commerciale che a un servizio pubblico, non nasconde la sua attenzione per i giovani. Sul portale della fondazione è presente un’area intitolata «Gimbe4Young», che pubblicizza le borse di studio (30 in tutto) per partecipare al corso (dal costo di 1.300 euro) della stessa fondazione, «Evidence based practice», il Gimbe award, un riconoscimento assegnato al miglior contributo presentato alla Conferenza nazionale dell’organizzazione di Cartabellotta, la Borsa di studio Gioacchino Cartabellotta (padre di Nino, medico ad Alia, provincia di Palermo) per i progetti di ricerca indipendenti e Gimbe Education, altro corso di formazione con rette ridotte al 50 per cento e perfino «offerte last minute». Un protocollo, però, per la verità, per La salute tiene banco, Gimbe lo ha firmato, ma non con il ministero di Giuseppe Valditara. Il 17 luglio scorso, in occasione di un webinar nazionale, Cartabellotta ha siglato un’intesa con la Rete italiana Città sane dell’Oms (l’Organizzazione mondiale della Sanità). Il presidente della Rete, Lamberto Bertolé (area dem, presidente del Consiglio comunale di Milano), e Cartabellotta hanno sposato l’idea di «unire visione territoriale ed evidenze scientifiche» per portare la salute nelle scelte quotidiane di chi amministra. Il protocollo viene definito «solo il primo passo» di un percorso comune, che coinvolgerà Comuni, cittadini e, ovviamente, le scuole. In pratica, niente ministero dell’Istruzione, ma un’alleanza con un network di amministratori in gran parte di centrosinistra. Per sostenere «La salute tiene banco» Gimbe non si è affidata a bandi pubblici, ma al crowdfunding. La piattaforma scelta è Idea Ginger, fondata da Agnese Agrizzi. Una società bolognese, come Gimbe, che negli anni ha fatto parlare di sé per l’abilità nel far decollare campagne sociali e culturali. E con Gimbe i risultati sono stati straordinari. Per il 2024 l’obiettivo era 12.000 euro, ne sono stati raccolti 18.686 da 243 sostenitori. Per il 2025 l’obiettivo era 15.000, ne sono stati raccolti 20.948 da 259 sostenitori. Un successo costruito anche con un modello «tutto o niente»: se non si raggiunge la cifra, i soldi tornano indietro. Gli slogan sono convincenti: «Ogni 2.000 euro in più ci permetteranno di portare La salute tiene banco in una nuova scuola superiore. Più fondi uguale a più scuole. Più scuole uguale a più giovani che imparano a prendersi cura di sé, della propria salute e del nostro Servizio sanitario nazionale». A conti fatti, per le 190 scuole già raggiunte a 2.000 euro l’una, Gimbe deve aver raccolto 380.000 euro. Oltre alla raccolta fondi sul web, quasi su ogni locandina è presente il logo di uno sponsor o di un sostenitore, tra istituti di credito, casse mutue e altre fondazioni sanitarie. Il crowdfunding, quindi, è solo uno dei canali di finanziamento. Con Gimbe, comunque, Ginger ha sempre superato gli obiettivi. E non ci è riuscita solo con Gimbe. Nel 2014, a Bologna, in un evento chiamato «LaBo 2014», la fondatrice Agrizzi appariva in pubblico al fianco di Raffaele Donini, all’epoca segretario provinciale del Partito democratico e oggi assessore regionale emiliano alla Salute. La partnership era finalizzata a finanziare la scuola di formazione politica per i giovani amministratori del Pd bolognesi, dove si insegnava a fare i compiti a casa per il partito. Ma la prova che il progetto piace particolarmente all’area progressista arriva scorrendo l’elenco dei sostenitori, tra i quali compare la Cgil di La Spezia. Il capitolo più curioso, però, riguarda i nomi che compaiono tra i donatori. In mezzo a professionisti, aziende e associazioni, ci sono un paio di Cartabellotta. Nino, ovviamente. Ma anche Salvatore (probabilmente uno dei tre figli). Segno che il progetto è sostenuto dall’intera famiglia. Con il benestare ovviamente del vicepresidente di Gimbe, che è Giuseppina Drago, pediatra e moglie di Nino. In pratica, i due coniugi guidano insieme la fondazione, mentre tra i parenti c’è chi contribuisce a finanziare i progetti in un particolare modello di economia domestica. E, così, gli studenti imparano che la salute è un diritto universale grazie alla colletta di famiglia passata per il crowdfunding della piattaforma che, in passato, ha raccolto i fondi per la scuola di formazione Pd, a qualche bonifico firmato dalla Cgil e a un protocollo con la Rete delle Città Sane guidata da un esponente dem. Il senatore del Carroccio Claudio Borghi, che ha ingaggiato una battaglia sulla trasparenza di Gimbe, contattato dalla Verità, ha commentato: «C’è di che essere molto preoccupati nel pensare che per anni siamo stati in mano a Roberto Speranza come ministro e a questa organizzazione ascoltata come oracolo su tutte le reti tv nazionali. Se siamo ancora vivi è un miracolo».
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.
L'amministratore delegato di SIMEST Regina Corradini D’Arienzo (Imagoeconomica)
SIMEST e la Indian Chamber of Commerce hanno firmato un Memorandum of Understanding per favorire progetti congiunti, scambio di informazioni e nuovi investimenti tra imprese italiane e indiane. L'ad di Simest Regina Corradini D’Arienzo: «Mercato chiave per il Made in Italy, rafforziamo il supporto alle aziende».
Nel quadro del Business Forum Italia-India, in corso a Mumbai, SIMEST e Indian Chamber of Commerce (ICC) hanno firmato un Memorandum of Understanding per consolidare la cooperazione economica tra i due Paesi e facilitare nuove opportunità di investimento bilaterale. La firma è avvenuta alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro indiano del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal.
A sottoscrivere l’accordo sono stati l’amministratore delegato di SIMEST, Regina Corradini D’Arienzo, e il direttore generale della ICC, Rajeev Singh. L’intesa punta a mettere in rete le imprese italiane e indiane, sviluppare iniziative comuni e favorire l’accesso ai rispettivi mercati. Tra gli obiettivi: promuovere progetti congiunti, sostenere gli investimenti delle aziende di entrambi i Paesi anche grazie agli strumenti finanziari messi a disposizione da SIMEST, facilitare lo scambio di informazioni e creare un network stabile tra le comunità imprenditoriali.
«L’accordo conferma la volontà di SIMEST di supportare gli investimenti delle imprese italiane in un mercato chiave come quello indiano, sostenendole con strumenti finanziari e know-how dedicato», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. L’ad ha ricordato che l’India è tra i Paesi prioritari del Piano d’Azione per l’export della Farnesina e che nel 2025 SIMEST ha aperto un ufficio a Delhi e attivato una misura dedicata per favorire gli investimenti italiani nel Paese. Un tassello, ha aggiunto, che rientra nell’azione coordinata del «Sistema Italia» guidato dalla Farnesina insieme a CDP, ICE e SACE.
SIMEST, società del Gruppo CDP, sostiene la crescita internazionale delle imprese italiane – in particolare le PMI – lungo tutto il ciclo di espansione all’estero, attraverso export credit, finanziamenti agevolati, partecipazioni al capitale e investimenti in equity.
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