2025-07-07
«Se non cede a Mosca adesso, Kiev collassa tra pochi mesi»
Gianandrea Gaiani (Imagoeconomica)
L’analista Gianandrea Gaiani: «Haftar può unificare la Libia, oltre al sostegno di Putin ha ottenuto credito da Usa e Turchia. Trump ha salvato Netanyahu e ora la politica su Gaza la decide lui».Gianandrea Gaiani, direttore di analisidifesa.it, stimolo la tua attenzione su tre scenari di guerra. Parto dalla Libia. Cosa sta accadendo da quelle parti? Gli sbarchi di clandestini sono in aumento di circa 4.000 unità rispetto al primo semestre del 2024.«C’è molta confusione ad Ovest, in Tripolitania. Lì le molte milizie hanno avuto un ruolo istituzionale e sono spesso in lotta tra loro. È l’area con le maggiori partenze di flussi migratori illegali verso l’Italia. Qualcosa si era registrato anche in Cirenaica, la parte a Est controllata da Haftar, che però nel complesso ha fatto un buon lavoro nel fermarle. L’instabilità a Tripoli e dintorni cresce, così come la sfera di influenza di Haftar; forte anche di una rinnovata collaborazione con la Russia e la sua Africa Corps. Una volta Wagner. Haftar è diventato però un interlocutore di riferimento anche per gli Stati Uniti e per la Turchia, da sempre vicini all’altra parte; quella di Tripoli. Anche per l’Italia, Haftar si sta rivelando importante. Rimane un forte alleato dell’Egitto e della Russia».I russi spostano tutto quello che avevano in Siria, nella zona controllata da Haftar? «La gran parte l’hanno riportata in casa. In Siria avevano truppe e mezzi che stavano sul terreno al fianco dei soldati di Bashar Assad. Però una buona parte del materiale è stato portato in Libia e da lì serve per operare nella fascia del Sahel. A supporto della presenza militare russa e filorussa. Mi riferisco a Burkina Faso, Mali. E Niger. Diciamo che non è ancora detto che i russi debbano lasciare del tutto le basi in Siria. Ora sono meno strategiche».La Tripolitania a Ovest contro l’Est di Bengasi, dove sta Haftar? È questa la situazione in Libia? Oppure grande confusione solo dentro la Tripolitania?«Dopo la suddivisione del territorio intorno a Sirte, non c’è più uno scontro fra Est ed Ovest in Libia. La conflittualità è interna a Tripoli. Si stanno stringendo accordi fra milizie della Tripolitania, alcune di Misurata e con il governo della Cirenaica legittimato dal Parlamento di Tobruk».In pratica, milizie dalle parti di Tripoli a Ovest che fanno accordi con Haftar a Est. Giusto?«L’idea di poter superare questi conflitti tribali e unificare la Libia comincia a prendere piede. Haftar è l’unico oggi in grado di dare alla Libia una struttura di Stato. Grazie al controllo del territorio».Se così fosse, come italiani dovremmo tirare un sospiro di sollievo? «Qualcuno sosteneva che i russi organizzavano flussi migratori dalla Libia per destabilizzarci. Io non ci ho mai creduto. È un business gestito a livello tribale. Gli stranieri non si intromettono e neppure ostacolano il traffico, però».Per quieto vivere.«Una Libia unificata e stabile è positiva per noi dal punto di vista del controllo dei flussi. Non possiamo però trascurare l’allargamento della sfera di influenza russa. L’Italia si fa portavoce da tempo di questa preoccupazione sensibilizzando Nato e Ue. Preoccupatissimi della Russia che combatte in Ucraina e non di quello che avviene in Libia. Ritengo che molto presto anche in Europa dovremmo fare i conti col fatto che la Russia è comunque geograficamente e geopoliticamente un nostro vicino. Dovremo ristabilire rapporti. Anche energetici».Cosa accade in Ucraina? «Putin ha detto che va avanti per la sua strada. Conquista terreno tutti i giorni. In giugno quasi 600 km” di territorio in diverse regioni inclusa Donetsk, densamente fortificata dagli ucraini a partire dal 2014. E l’appetito vien mangiando. Penso alle regioni di Sumy, Karkiv, Dnipro dove i russi stanno avanzando. A parte Micheal Carpenter su Foreign Affair, nessun analista militare valuta possibile la riconquista da parte dell’Ucraina dei territori perduti. E neppure nessuno che escluda il fatto che Mosca possa conquistare ulteriore terreno».Bel dilemma per Kiev…«L’Ucraina ha due possibilità. Accetta una pace in cui perde quattro regioni più la Crimea, ma sopravvive come Stato. Entrerà nell’Ue e non nella Nato. Posto che sia accettabile dai Von der Leyen, Macron, Merz e Starmer. Quelli che vogliono la guerra, tanto crepano gli ucraini. Sostengono la guerra per salvare le loro “cadreghe”, perché l’Europa non ha più nulla da dare all’Ucraina. Militarmente non ha un senso continuare questa guerra. Oppure ne perde otto scegliendo di continuare la guerra altri sei mesi e quindi collassando».L’America non manda più armi a Kiev. Hanno gli arsenali vuoti? O è una scelta politica precisa?«Io credo che le due cose siano collegate. Trump ha preso atto del fallimento strategico della politica della precedente amministrazione che voleva armare l’Ucraina per logorare la Russia. Ma questa non è stata destabilizzata. Putin è più forte di prima. I russi arruolano più di 30.000 volontari per combattere in Ucraina ogni mese. Gli ucraini devono arruolare la gente a forza di calci per strada. Una strategia che ha impoverito le riserve di munizioni americane per le quali non c’è solo l’Ucraina. Anche Israele ne ha assorbite negli scontri con l’Iran e per distruggere Gaza. Israele l’anno scorso ha ricevuto 10 miliardi di dollari in più oltre i 9 che già riceve ogni anno di aiuti militari, per lo più in munizioni, artiglieria, razzi, missili e proiettili per i carri armati. Gaza ha comportato un grosso dispendio di munizioni. Il Pentagono prevede che gli Stati Uniti possano sostenere contemporaneamente due conflitti convenzionali in due aree diverse del mondo. Ma con gli arsenali pieni. Cosa che non hanno più. Il consumo di munizioni pregiate è stato elevatissimo. Parlo di missili antiaerei o i missili antimissili. Anche la difesa del Mar Rosso contro gli Huthi ha contribuito a svuotare gli arsenali»Chiaro…«Poi c’è anche una valutazione politica. 200 o 300 missili Patriot in più a Kiev non cambierebbero le sorti del conflitto. I russi - lo dicono i servizi segreti militari ucraini - producono ogni anno circa un migliaio di missili balistici Iskander, usati contro l’Ucraina, e circa 200 Khinzal ipersonici: 1.200 missili in tutto. Per provare a fermarli, l’Ucraina dovrebbe ricevere almeno 1.500-1.600 missili Patriot all’anno. La cui produzione annua in America raggiungerà fra un po’ i 650 missili. È una guerra insostenibile. Trump e il Pentagono ne hanno preso atto».In uno scenario di guerra prolungato, la superiorità tecnologica dell’Occidente non sembra così soverchiante.«L’Occidente fa i conti con produzioni sofisticate che costano troppo e che vengono prodotte in quantità molto bassa rispetto alle esigenze. Poi ti trovi un Iran con più di 3.000 missili balistici. E tu non ce li hai 4.000 missili antimissile per fermarli. Gli americani han tirato fuori dai guai Netanyahu con quel bombardamento sui tre siti nucleari perché Israele stava finendo i missili antimissili. Russia, Iran e Huthi hanno missili ipersonici in servizio. L’Occidente no. Nel conflitto India-Pakistan, sul campo, hanno stravinto le armi aeree cinesi. Oggi un carro Leopard tedesco costa 29 milioni. Con quei soldi ci compri sette T 90 russi. E alla fine bruciano tutti allo stesso modo».Che succede in Medio Oriente? Fra Israele, Iran e Gaza?«Colpo da maestro di Trump. Non mi piacciono i suoi metodi brutali. Ha trattato Rutte e la Nato da servi. Ma qua ha calato il jolly. Netanyahu è partito con la campagna contro l’Iran con l’obiettivo di trascinare l’America in guerra al suo fianco. Ha distrutto Gaza ma non Hamas. Cisgiordania, Libano del sud, Siria ed Huthi erano altri teatri di guerra. Cinque fronti, zero risultati. Trump gli ha salvato la faccia con un raid sui tre siti. Un’azione a uso politico. Bombardati i bunker sotterranei, il “Damage Assessment” (valutazione danni) la fai dopo 12-24 ore coi satelliti. Trump ha invece cantato vittoria subito, quando i suoi bombardieri erano ancora nello spazio aereo iraniano. Netanyahu ha colto la palla al balzo dicendo che gli iraniani avevano perso le capacità nucleari. In realtà era Israele ad aver svuotato gli arsenali. Il porto di Haifa è stato devastato. E Israele ha cacciato i giornalisti stranieri da lì perché non documentassero la cosa. L’Iran ha, a sua volta, “telefonato” la sua riposta avvertendo con largo anticipo che avrebbe bombardato la base americana di Cal Udeid in Qatar, da sempre in contatto con Washington. Ed ora la politica israeliana la decide Trump. E infatti si sta negoziando a Gaza. Cosa prima impensabile».
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)