2020-12-01
I giallorossi all’attacco di Unicredit: Mustier lascia
Pier Carlo Padoan (Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images)
Il mercato resta scettico sulle nozze tra i due istituti. Idem l'ad che infatti conferma il suo addio. Mentre Padoan arriva a fare il sensale per Mps. La Borsa premia Siena.Il ventilatore continua a girare sul destino del Monte dei Paschi e le folate di vento in questi giorni raggiungono anche il vertice di un'altra big dello sportello, ovvero Unicredit. Domenica scorsa una riunione informale del cda per fare il punto sul rinnovo del board in scadenza a primavera ha fatto improvvisamente alzare le antenne del mercato su una uscita dell'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier che ieri ha fatto sapere che non si ricandiderà e lascerà il suo incarico in primavera. È addirittura già partito il toto successore e fra i nomi circolati è spuntato pure quello dell'ad di Poste, Matteo Del Fante (manager di forte stampo renziano), ma ieri dalla società è arrivata una secca smentita bollando l'indiscrezione come «destituita da ogni fondamento». Nel frattempo il ventilatore, però, mischia le carte. Da mesi, ormai, Unicredit viene disegnata da rumors e indiscrezioni (mai confermate) come l'unica candidata che può accompagnare all'altare Mps mettendo in campo con Siena uno schema simile a quello collaudato da Intesa Sanpaolo con le ex popolari venete. Questa strada, però, non è percorribile perché Unicredit non è una banca «di sistema» come Intesa e soprattutto perché quell'operazione passava attraverso una liquidazione coatta amministrativa che azzerava il valore di azioni e obbligazioni subordinate (e questo al momento non è il caso del Monte). Nel caso di Mps, inoltre, lo Stato è azionista e deve uscire colmando il gap tra il valore di carico della partecipazione (6,49 euro) e il prezzo del titolo in Borsa (attorno a 1,1 euro). Non solo. Senza avere la garanzia di poter sterilizzare i costi legali che zavorrano il bilancio di Mps, la dote rischia di diventare troppo ingombrante. Non è chiaro, quindi, se l'intervento di Unicredit sia più un desiderata del Mef o se qualche contatto tra i vertici di piazza Gae Aulenti ci sia stato veramente con l'arrivo alla presidenza dell'ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, a fare da sensale. Di certo, Mustier continua a voler ballare da solo. E nel frattempo ha pure accantonato il progetto di creare una subholding in cui racchiudere gli asset esteri del gruppo che avrebbe dovuto procedere in parallelo all'acquisizione italiana.Già dal 2019 sul mercato circolano con insistenza voci sui mal di pancia di alcuni azionisti dell'istituto per le scelte strategiche di Mustier di accelerare sulle dismissioni restringendo progressivamente il perimetro del gruppo: prima la polacca Pekao, poi Pioneer, la banca ucraina Ukrsotsban, gli immobili, la «gallina dalle uova d'oro» Fineco, senza dimenticare la storica quota posseduta in Mediobanca. I mugugni si sono intensificati. Mustier avrebbe quindi aver deciso di anticipare il redde rationem utilizzando la sponda del pressing su Mps alimentato dall'arrivo di Padoan. Che, ricordiamolo, non è solo è un ex deputato Pd eletto nel collegio di Siena ma è anche lo stesso che nel 2016, quando era ministro dell'Economia del governo Renzi, chiese all'allora ad di Mps, Fabrizio Viola, di farsi da parte con una telefonata. Intanto ad approfittarne è la speculazione: ieri a Piazza Affari il Montepaschi ha messo a segno un balzo del 3% mentre Unicredit ha lasciato sul terreno il 5 per cento. Quel che sarebbe una speranza per il Mef e per il Monte, diventa una condanna per Unicredit. Il mercato resta, infatti, scettico sulle nozze tra le due banche. Secondo gli analisti di Equita un deal di Unicredit con Mps potrebbe rivelarsi neutrale sotto il profilo del rischio e del capitale per Unicredit solo in caso di pieno riconoscimento delle Dta (ovvero le attività fiscali differite) di entrambe le banche (circa 3,6 miliardi ciascuna) oltre che con un aumento di capitale di 2,5 miliardi per l'istituto senese che di miliardi oggi ne capitalizza meno di 1,4 miliardi. Per i broker di Goldman Sachs «qualsiasi motivo di pressione per cambiare il ceo» di Unicredit «sarà probabilmente interpretato come una politicizzazione del processo Mps». Di certo, il fatto che Siena abbia un azionista di controllo un po' ingombrante dal punto di vista delle pressioni «di palazzo» e che sia i 5 stelle sia alcuni esponenti del Pd vogliano mantenere lo Stato azionista controllo del Monte, sta complicando una soluzione di mercato. Qualunque essa sia o sarà. Quello che manca però è il tempo perché la road map è già stata tracciata dalla Vigilanza europea e impone l'uscita del Tesoro entro il 2021. La Bce ha già chiesto a Mps di rafforzare il patrimonio con una iniezione di liquidità cui qualcuno dovrà provvedere. E il costoso cerino, in caso di mancata fusione con un partner privato, rischia di rimanere nelle mani dello Stato. Dove c'è Padoan gli ad non stanno tranquilli.