2022-09-27
Già entrate in azione le brigate dei partigiani da operetta
Roberto Saviano (Getty images)
L’autore di «Gomorra» parla di misteriose liste nere: «Mi “invitano” a lasciar l’Italia». Francesca Michielin: «Inizia la resistenza». Per Rula Jebreal invece: «Lo Stato è in pericolo».Come ampiamente previsto, è iniziata l’era del Grande Lamento. Manca probabilmente più di un mese alla nascita del nuovo governo di centrodestra, eppure già si odono le grida disperate di editorialisti, giornalisti, intellettuali e culturame assortito, in una grottesca gara a chi fa più la vittima. Il primo - e più ridicolo - della fila non poteva non essere Roberto Saviano. L’autore di Gomorra ha millantato più e più volte che avrebbe abbandonato l’Italia in caso di vittoria delle Forze Oscure della Reazione (che si tratti di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini o Giorgia Meloni fa poca differenza). Ieri, tuttavia, si è sentito in dovere di fornire chiarimenti sul possibile espatrio, ovviamente atteggiandosi a perseguitato politico. «Leggo #Saviano in tendenza perché gli elettori di Meloni mi “invitano” a lasciare il Paese», ha scritto. «Questi sono avvertimenti. Questa è l’Italia che ci aspetta. Stanno già stilando una prima lista nera di nemici della patria, alla faccia di chi diceva che il Fascismo è un’altra cosa». Chi stia stilando la famigerata lista non è dato sapere con precisione: la Spectre? Il circolino degli amici di Twitter? I ragazzi venuti del Brasile? Boh. Informiamo lo Scrittore Famoso che, finora, gli unici cacciati sono i politici del Pd rimandati a casa dagli elettori e dal loro stesso partito che li ha candidati in collegi perdenti. Comunque sia, par di capire che Saviano resterà qui, anche se ci risultava avesse casa a New York da un bel pezzo.L’uscita di Robertino resta emblematica, e dovrebbe raffreddare gli entusiasmi di chi - in queste ore - festeggia per l’avvento dei conservatori al potere. In tanti, probabilmente, hanno sperato nella riscossa destrorsa per togliersi la soddisfazione di spernacchiare gli impegnati in servizio permanente. E oggi sono in parecchi a gongolare per i pianti disperati degli intellettuali senza intelletto. Suggeriamo, però, di raffreddare (e parecchio) gli entusiasmi: non solo non ci si libererà dei tromboni sinistra, ma costoro vivranno nei prossimi mesi il loro momento di gloria. Come si diceva, sono già entrati in modalità da combattimento, hanno già cominciato la loro lotta immaginaria contro l’invasore. Una posa perfettamente sintetizzata ieri dalla cantante Francesca Michielin, che ha twittato: «Oggi inizia la resistenza». Ora, la poverina è senz’altro da compatire, poiché non si rende nemmeno conto di offendere chi il partigiano l’ha fatto davvero. Ce la vediamo proprio, la Michielin, a rifugiarsi sui monti con la bisaccia e la doppietta: alla prima unghia sbeccata correrebbe in lacrime a prendere la tessera del Pnf. Il suo delirio digitale, in ogni caso, è molto rappresentativo dell’aria che si respira in queste ore a sinistra.Le altre reazioni progressiste al trionfo elettorale di Fratelli d’Italia sono un filo meno pacchiane, ma ugualmente drammatiche. Ezio Mauro, scatenato su Repubblica, non aveva nemmeno visto i risultati definitivi e già paventava l’inizio di una nuova «stagione populista» guidata dalla destra irresponsabile. A suo dire, ha vinto una compagine di malfattori che cambierà la Costituzione, ci imporrà una «diversa declinazione della democrazia» (e sarebbe anche ora, visti i fallimenti della declinazione attuale) e svelerà finalmente il volto rabbioso e demoniaco che Giorgia Meloni fino a ora ha furbescamente occultato. Lucia Annunziata ha fatto anche di meglio: si è messa a frignare già domenica, approfittando del consueto piedistallo Rai. Dopo aver inutilmente cercato di sostenere che Fdi stesse offrendo una prestazione deludente, la conduttrice ha perso le staffette (partigiane) e ha escogitato un modo meraviglioso per accusare la Meloni d’esser fascista. Quando quest’ultima ha dichiarato che la campagna elettorale è stata violenta, la Annunziata ha ravvisato nell’affermazione tracce di «vittimismo tipico del fascismo». Commovente: se i vittimisti sono fasci, corriamo subito a nominare gerarchi Saviano, Michielin e compagnia singhiozzante. A dire il vero, la lista dei piagnoni è smisurata, sono troppi per elencarli tutti. Oliviero Toscani che paragona la Meloni a Wanna Marchi. Giorgia Soleri in Maneskin e il di lei fidanzato che si addobbano a lutto, e via delirando. Rula Jebreal l’attendevamo al varco e non ci ha deluso: «Meloni sembra intenzionata a smantellare la Repubblica democratica italiana. La sua agenda economica, politica e di politica estera», ha scritto, avrà «conseguenze catastrofiche per la Nato e l’Europa». Il tutto mentre il segretario di Stato americano, Antony Blinken, faceva sapere di essere impaziente di lavorare con il nuovo governo e descriveva l’Italia come una «democrazia forte». Del resto lo sappiamo, la gente come Rula crede di vivere in una serie tv, ha bisogno di fingersi eroicamente in lotta contro i cattivi per giustificare la propria esistenza. Purtroppo, l’unica serie in cui starebbero bene è Casalinghe disperate. A ben vedere, però, i nostri amici partigiani dell’ultima ora la disperazione la inscenano soltanto. Sotto sotto (anzi, nemmeno troppo sotto) sono felici come bambini alle giostre. Paolo Berizzi, fascistologo di Repubblica, ieri era eccitatissimo: «Esageravo, vero? Massì, quello vede solo fascisti», ha twittato. «Oplà: per la prima dal 1945 l’Italia avrà un governo di estrema destra. Guidato da un partito che ha celebrato la marcia su Roma. Auguri a ignavi, stolti e indifferenti. Sempre dalla stessa parte mi troverete». Già, probabilmente lo troveremo dalla stessa parte del bancone a ordinare champagne: se avesse vinto il Pd avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro. Se l’intellighenzia chiagne ma segretamente festeggia, il Pd sembra credere davvero a ciò che dichiara. Debora Serracchiani, la prima ad aprire bocca domenica sera, aveva il grugno delle occasioni disperate: «Indubbiamente non possiamo, alla luce dei dati visti finora, non attribuire la vittoria alla destra trascinata da Giorgia Meloni. È una serata triste per il Paese», ha scandito. Ma subito dopo, proprio come ha fatto Giuseppe Conte, ha specificato che la destra «ha la maggioranza in Parlamento ma non è la maggioranza nel Paese». Capito? Gli altri vincono le elezioni - anzi le stravincono - e loro li presentano come usurpatori. Sono fatti così, a sinistra: bramano di svegliarsi e trovare gli invasori. E dire che i bravi progressisti, per trovare chi si installa al potere senza consenso, non avrebbero che da alzarsi la mattina e guardarsi allo specchio.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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