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2023-09-25
Genova torna capitale mondiale della nautica
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Ufficio stampa Salone Nautico di Genova
Si chiude domani la 63ª edizione del Salone nautico di Genova. Il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi: «Siamo primi al mondo con una filiera che dà lavoro a 200.000 persone. Un record di export pari all’88%, abbiamo superato l’Olanda e siamo davanti a Francia, Germania e Stati Uniti. Siamo primi produttori al mondo di barche sopra i 24 metri di lunghezza».
Possiamo farcela ad avere entro il prossimo anno il salone nautico più bello del mondo. Anzi, forse quello di Genova già lo è. Anche se, per ora, ancora non abbiamo gli spazi degli americani. Se le operazioni di ampliamento dell’esposizione previste entro il 2024 saranno concluse, più posti barca in acqua (già quest’anno +143 nei nuovi canali di Levante disegnati da Renzo Piano), e più spazi al chiuso faranno la differenza e, almeno per l’Europa, saremo noi italiani, con Genova, a dominare i saloni nautici. Come ha detto Saverio Cecchi, Presidente di Confindustria Nautica, salutando il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenuta all’evento, «Siamo primi al mondo con una filiera che dà lavoro a 200.000 persone. Un record di export pari all’88%, abbiamo superato l’Olanda, siamo primi al mondo davanti a Francia, Germania e Stati Uniti. Siamo primi produttori al mondo di barche sopra i 24 metri di lunghezza, primi nelle unità pneumatiche oltre i 10 metri e primi negli accessori. Abbiamo superato i 7,33 miliardi di fatturato, record storico, e stabilito un ulteriore primato per le esportazioni mondiali nel settore. E questo grazie ai nostri imprenditori, ai nostri manager, ai nostri designer e nostri architetti. Ma vorrei ricordare anche i nostri artigiani che curano i dettagli e su questo bisogna lavorare investendo di più in formazione».
Ma se nelle categorie di barche più grandi la posizione italiana è consolidata, ed anche se in vendita ci sono prodotti di ogni dimensione e prezzo, «il sentiment» tra i visitatori che puntano alla barca di primo accesso è quello di sentirsi ancora un po’ appesantiti da regole farraginose e disordine normativo, con adempimenti differenti tra mare e laghi, con regioni che applicano regole differenti tra loro e una cronica carenza di posti barca. Non si pretende (un sogno), di imitare la Francia, dove le piccole imbarcazioni a vela non pagano l’ormeggio, ma servono certamente investimenti per rendere la caccia al posto barca meno impegnativa e onerosa. Restano comunque aperte, molte questioni annunciate al governo nella primavera scorsa, quando lo stesso Cecchi aveva chiesto al viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Edoardo Rixi l’attuazione di differenti politiche a sostegno del turismo nautico, sul regolamento di attuazione al Codice della nautica e riguardo il nuovo titolo professionale del diporto. Politiche a parte, a Genova tra piccole barche completamente trasparenti, timonerie elettroniche che fanno dimenticare i problemi tipici degli impianti idraulici, come peso e perdite di fluido - perché tra fuoribordo e scafo c’è soltanto un cavo elettrico – tra motori elettrici e ibridi, sui moli e nei padiglioni abbiamo visto avanzare, almeno sulle per le barche di medie dimensioni, i propulsori diesel-elettrici ma anche soluzioni a idrogeno che nella scorsa edizione apparivano ancora in veste un po’ troppo sperimentale. Sul piano dell’idrodinamica i grandi protagonisti sono i «foil» ovvero i profili alari in grado di sollevare le chiglie dall’acqua già a velocità relativamente basse, riducendo la resistenza e aumentando la velocità, quindi rendendo più efficienti le imbarcazioni. Li troviamo ormai sulle tavole a vela come sui motoscafi d’altura e la grande sfida in questo caso sta nel realizzare il profilo giusto per ogni tipo di applicazione, in modo da ottenere il risultato voluto senza tuttavia ridurre la manovrabilità delle barche né limitare troppo l’utilizzo aumentando il pescaggio. Insomma, la migliore ricaduta dalle competizioni all’uso sportivo che cambia per sempre la nautica a vela come quella a motore. Ma l’evoluzione è soprattutto nei materiali, con molta attenzione alle emissioni nell’intero ciclo vita dei prodotti, fino agli scafi interamente riciclabili, a partire dalla progettazione integrata che vede, per esempio, la presenza di scalette e altre dotazioni essere ormai perfettamente incluse nelle forme anche più classiche dei gommoni con scafo rigido, altro settore, quello delle barche pneumatiche, in grande ascesa e in evoluzione verso dimensioni sempre maggiori. Non ci sono più tabù in fatto di proposte e anche forme classiche come quella del gozzo, simbolo della barca per la pesca in mare e del piccolo entrobordo, riappaiono in variante fuoribordo con spaziosi pozzetti (la zona posteriore) che si possono riconfigurare rapidamente per rendere confortevole un pranzo a bordo in compagnia degli amici come per una battuta di traina. In tema di ecologia, ormai i motori piccoli e quelli grandi hanno emissioni chimiche ridottissime mentre quelle acustiche sono ormai minime: anche da poca distanza il funzionamento di motori decisamente potenti, da 350 a 400 cavalli, si percepisce soltanto ai regimi più elevati ma sempre con una timbrica che si sta concentrando su toni medi, eliminando quindi la sensazione di affaticamento o fastidio che era propria delle frequenze udibili più basse e più acute se ascoltate per lungo tempo, come durante una attraversata. In questa tecnologia molto si deve anche ai nuovi profili a corda ampia usati per le eliche, campo nel quale, almeno per imbarcazioni di medie e grandi dimensioni, assistiamo a una nuova tendenza: la possibilità, in caso di danneggiamento, di sostituire soltanto le pale non facilmente riparabili (o non convenientemente) intervenendo per via subacquea senza più dover cambiare l’intera elica, similmente a quanto avviene sugli aeroplani. Sul fronte dell’elettronica di navigazione e di gestione delle barche è un proliferare di applicazioni per rendere i sistemi di navigazione installati a bordo sempre connessi con lo smartphone del comandante o dell’armatore, che molto rapidamente può controllare a distanza anche il livello di carburante e le riserve di acqua dolce a bordo qualora presenti, oltre ovviamente alle condizioni meteorologiche alla gestione di posti barca nei porti di tutto il mondo, minimizzando quindi i viaggi «di servizio» al porto. Volendo trovare un filo conduttore del 63° Salone Nautico di Genova, al tema del «green» contribuiscono tutti i segmenti di mercato e ogni tipo di accessorio, dimostrando che, in fatto di ecologia, tutto il settore nautico migliora in modo organico. Come dicono i numeri: quest’anno sono state esposte oltre 1.000 barche dai 2 ai 41 metri di lunghezza delle quali 183 erano alla loro prima apparizione a Genova, e hanno partecipato all’evento 1.043 aziende (+4,5% in più sul 2022). Quanto ai visitatori, la chiusura di domani tirerà le somme, ma passeggiando tra i padiglioni certamente sarà superata la cifra di 103.000 dello scorso anno.
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Si chiude domani la 63ª edizione del Salone nautico di Genova. Il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi: «Siamo primi al mondo con una filiera che dà lavoro a 200.000 persone. Un record di export pari all’88%, abbiamo superato l’Olanda e siamo davanti a Francia, Germania e Stati Uniti. Siamo primi produttori al mondo di barche sopra i 24 metri di lunghezza».Possiamo farcela ad avere entro il prossimo anno il salone nautico più bello del mondo. Anzi, forse quello di Genova già lo è. Anche se, per ora, ancora non abbiamo gli spazi degli americani. Se le operazioni di ampliamento dell’esposizione previste entro il 2024 saranno concluse, più posti barca in acqua (già quest’anno +143 nei nuovi canali di Levante disegnati da Renzo Piano), e più spazi al chiuso faranno la differenza e, almeno per l’Europa, saremo noi italiani, con Genova, a dominare i saloni nautici. Come ha detto Saverio Cecchi, Presidente di Confindustria Nautica, salutando il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenuta all’evento, «Siamo primi al mondo con una filiera che dà lavoro a 200.000 persone. Un record di export pari all’88%, abbiamo superato l’Olanda, siamo primi al mondo davanti a Francia, Germania e Stati Uniti. Siamo primi produttori al mondo di barche sopra i 24 metri di lunghezza, primi nelle unità pneumatiche oltre i 10 metri e primi negli accessori. Abbiamo superato i 7,33 miliardi di fatturato, record storico, e stabilito un ulteriore primato per le esportazioni mondiali nel settore. E questo grazie ai nostri imprenditori, ai nostri manager, ai nostri designer e nostri architetti. Ma vorrei ricordare anche i nostri artigiani che curano i dettagli e su questo bisogna lavorare investendo di più in formazione».Ma se nelle categorie di barche più grandi la posizione italiana è consolidata, ed anche se in vendita ci sono prodotti di ogni dimensione e prezzo, «il sentiment» tra i visitatori che puntano alla barca di primo accesso è quello di sentirsi ancora un po’ appesantiti da regole farraginose e disordine normativo, con adempimenti differenti tra mare e laghi, con regioni che applicano regole differenti tra loro e una cronica carenza di posti barca. Non si pretende (un sogno), di imitare la Francia, dove le piccole imbarcazioni a vela non pagano l’ormeggio, ma servono certamente investimenti per rendere la caccia al posto barca meno impegnativa e onerosa. Restano comunque aperte, molte questioni annunciate al governo nella primavera scorsa, quando lo stesso Cecchi aveva chiesto al viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Edoardo Rixi l’attuazione di differenti politiche a sostegno del turismo nautico, sul regolamento di attuazione al Codice della nautica e riguardo il nuovo titolo professionale del diporto. Politiche a parte, a Genova tra piccole barche completamente trasparenti, timonerie elettroniche che fanno dimenticare i problemi tipici degli impianti idraulici, come peso e perdite di fluido - perché tra fuoribordo e scafo c’è soltanto un cavo elettrico – tra motori elettrici e ibridi, sui moli e nei padiglioni abbiamo visto avanzare, almeno sulle per le barche di medie dimensioni, i propulsori diesel-elettrici ma anche soluzioni a idrogeno che nella scorsa edizione apparivano ancora in veste un po’ troppo sperimentale. Sul piano dell’idrodinamica i grandi protagonisti sono i «foil» ovvero i profili alari in grado di sollevare le chiglie dall’acqua già a velocità relativamente basse, riducendo la resistenza e aumentando la velocità, quindi rendendo più efficienti le imbarcazioni. Li troviamo ormai sulle tavole a vela come sui motoscafi d’altura e la grande sfida in questo caso sta nel realizzare il profilo giusto per ogni tipo di applicazione, in modo da ottenere il risultato voluto senza tuttavia ridurre la manovrabilità delle barche né limitare troppo l’utilizzo aumentando il pescaggio. Insomma, la migliore ricaduta dalle competizioni all’uso sportivo che cambia per sempre la nautica a vela come quella a motore. Ma l’evoluzione è soprattutto nei materiali, con molta attenzione alle emissioni nell’intero ciclo vita dei prodotti, fino agli scafi interamente riciclabili, a partire dalla progettazione integrata che vede, per esempio, la presenza di scalette e altre dotazioni essere ormai perfettamente incluse nelle forme anche più classiche dei gommoni con scafo rigido, altro settore, quello delle barche pneumatiche, in grande ascesa e in evoluzione verso dimensioni sempre maggiori. Non ci sono più tabù in fatto di proposte e anche forme classiche come quella del gozzo, simbolo della barca per la pesca in mare e del piccolo entrobordo, riappaiono in variante fuoribordo con spaziosi pozzetti (la zona posteriore) che si possono riconfigurare rapidamente per rendere confortevole un pranzo a bordo in compagnia degli amici come per una battuta di traina. In tema di ecologia, ormai i motori piccoli e quelli grandi hanno emissioni chimiche ridottissime mentre quelle acustiche sono ormai minime: anche da poca distanza il funzionamento di motori decisamente potenti, da 350 a 400 cavalli, si percepisce soltanto ai regimi più elevati ma sempre con una timbrica che si sta concentrando su toni medi, eliminando quindi la sensazione di affaticamento o fastidio che era propria delle frequenze udibili più basse e più acute se ascoltate per lungo tempo, come durante una attraversata. In questa tecnologia molto si deve anche ai nuovi profili a corda ampia usati per le eliche, campo nel quale, almeno per imbarcazioni di medie e grandi dimensioni, assistiamo a una nuova tendenza: la possibilità, in caso di danneggiamento, di sostituire soltanto le pale non facilmente riparabili (o non convenientemente) intervenendo per via subacquea senza più dover cambiare l’intera elica, similmente a quanto avviene sugli aeroplani. Sul fronte dell’elettronica di navigazione e di gestione delle barche è un proliferare di applicazioni per rendere i sistemi di navigazione installati a bordo sempre connessi con lo smartphone del comandante o dell’armatore, che molto rapidamente può controllare a distanza anche il livello di carburante e le riserve di acqua dolce a bordo qualora presenti, oltre ovviamente alle condizioni meteorologiche alla gestione di posti barca nei porti di tutto il mondo, minimizzando quindi i viaggi «di servizio» al porto. Volendo trovare un filo conduttore del 63° Salone Nautico di Genova, al tema del «green» contribuiscono tutti i segmenti di mercato e ogni tipo di accessorio, dimostrando che, in fatto di ecologia, tutto il settore nautico migliora in modo organico. Come dicono i numeri: quest’anno sono state esposte oltre 1.000 barche dai 2 ai 41 metri di lunghezza delle quali 183 erano alla loro prima apparizione a Genova, e hanno partecipato all’evento 1.043 aziende (+4,5% in più sul 2022). Quanto ai visitatori, la chiusura di domani tirerà le somme, ma passeggiando tra i padiglioni certamente sarà superata la cifra di 103.000 dello scorso anno.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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