
Il settimanale critica il ricorso sempre più spinto ai trattamenti per il cambio di sesso nei bimbi. Una virata dettata dal mercato.Stridore di freni, scintille sui binari, il treno arcobaleno rallenta di colpo. La frenata sulle «magnifiche sorti e progressive» dell’ideologia transgender sta avvenendo nel vecchio continente che per primo aveva sposato ogni novità Lgbtq+, a cominciare dalla transizione di genere supportata dalla medicina. Lo ha scoperto l’Economist, bontà sua, che ha notato come il trattamento per il cambio di sesso applicato a bambini e adolescenti «può portare alla sterilità». Mentre nell’allegra America di Alexandra Ocasio Cortez gli interventi medici dovrebbero essere più accessibili, l’autorevole caposaldo mediatico del progressismo illuminato scopre che «in Europa diversi Paesi ora ritengono che tali interventi dovrebbero essere usati con parsimonia e necessitano di ulteriori studi». Sotto il titolo «Cosa ha sbagliato l’America sulla medicina gender», il giornale sintetizza a sorpresa: «Gli europei hanno ragione». Il vento sta cambiando, lo dimostra anche la durissima presa di posizione di Elon Musk in difesa della decisione del governatore della Florida, Ron DeSantis, di impedire il cambio di sesso si bambini del suo Stato. «Qualsiasi genitore o medico che sterilizzi un bambino prima che sia un adulto consenziente dovrebbe andare in prigione a vita», ha detto il patrono di Tesla e Twitter.La saggezza improvvisamente ritrovata dall’Economist non può passare inosservata sia perché il punto d’osservazione è originale, sia perché il sistema mediatico italiano - incline al conformismo da gregge ovino - si muove su input dei centri di potere e il settimanale londinese molto diffuso negli Stati Uniti (e partecipato dalla famiglia Elkann) lo è. La svolta ha colpito per prima l’associazione Pro Vita Famiglia che ha chiesto al ministro della Salute, Orazio Schillaci, di avviare ispezioni nei centri italiani dedicati al trattamento di eventuali disforie di genere, per verificare se si stiano «seguendo protocolli improntati a evidenza e prudenza scientifica». Lo spunto è interessante anche se, nel criticare l’aggressività del sistema sanitario americano, l’editoriale non parla di antiscienza gender ma di «tragedia delle buone intenzioni».L’Economist copre di melassa la critica per non urtare la suscettibilità genderfluid, ma non la nega. Rileva che nel 2021 ci sono state ben 42.000 nuove diagnosi per bloccare la pubertà con testosterone ed estrogeni, tre volte il conteggio del 2017. Lo sottolinea con una certa dose di allarmismo arrivando a teorizzare che «questo impulso ad allineare il corpo del paziente al modo in cui pensa se stesso è pericoloso. E se agli adolescenti viene offerta questa assistenza troppo ampiamente, i danni supereranno i benefici». Critica l’approccio troppo condiscendente dell’American academy of pediatrics, definisce i trattamenti «sperimentali» e invita i medici d’Oltreoceano a «procedere con grande cautela», a non farsi travolgere dall’ideologia. Passateci una chiosa autoreferenziale: sembra La Verità.La presa di posizione della Bibbia globalista non lascia spazio a equivoci. «Gli effetti a lungo termine dei bloccanti della pubertà rimangono sconosciuti, anche se ci sono preoccupazioni per lo sviluppo del cervello e la diminuzione della densità ossea», fa notare l’articolista. Addirittura si scopre che l’anno scorso, Rachel Levine, assistente segretaria alla Salute dell’amministrazione Usa, è stata molto chiara: «Non c’è discussione tra i professionisti medici sul valore e l’importanza delle cure che affermano il genere». La paura di essere bollati come retrogradi o reazionari, il timore di essere emarginati o offerti in pasto alle Erinni del genderfluid annulla il dibattito. Una constatazione che potrebbe essere tranquillamente attribuita a Viktor Orban. Solo qualche mese fa simili affermazioni «all’ungherese» non sarebbero mai state pubblicate, quindi è fondamentale capire cosa sta accadendo nella pancia del progressismo anglosassone in frenata, destinato a destabilizzare pasdaran non binari come Beppe Sala e il Pd di Elly Schlein. Da un lato è doveroso far notare che la presa di coscienza tardiva arriva da un caposaldo di quella lobby arcobaleno che fin qui ha spinto sui diritti universali «senza se e senza ma», giustificando pagliacciate come l’allattamento al seno maschile, la maternità dell’uomo, la propaganda della transizione sessuale nelle scuole dell’obbligo. Dall’altro si intuisce che l’autodafé dell’Economist deriva da una constatazione ben più prosaica rispetto al dissesto sociale e antropologico cavalcato da medici e sociologi fuori dal mondo; l’esasperazione Lgbtq+ si sta trasformando in un disastro economico.La gente comincia a reagire. Dopo la svolta gender Netflix perde migliaia di abbonati, Disney è costretta a licenziare, Budweiser vede annacquarsi i fatturati della birra, più di una griffe della moda ha cambiato i vertici dello stile troppo inclini ad allucinati smottamenti bisex. Sostenere l’ideologia trasformando le aziende (e le loro campagne, i loro spot) in un grande gay Pride ha funzionato per un certo periodo, ma quando il conto economico è in rosso perché il cliente abituale non si riconosce più nel messaggio, la virata diventa obbligatoria. E l’Economist, che ha solidi sensori per cogliere i fremiti del mercato, l’ha capito. Così gli riesce facile scoprire che «la scienza medica non dovrebbe funzionare in questo modo».Stridore di freni, scintille sui binari. Prima o poi qualcuno avverta Alessandro Zan.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






