2022-06-30
Il G7 abbaia perché non riesce a mordere
Mario Draghi (Getty images)
I governanti riuniti in Baviera fanno i gradassi e sparano battute sul leader russo. Ma la verità è che sulla crisi energetica non hanno cavato un ragno dal buco.L’esperienza mi ha insegnato che più si alzano i toni e più dietro le dichiarazioni roboanti o provocatorie si nasconde il nulla. La sensazione è rafforzata dopo il vertice del G7 in Baviera, che i grandi della Terra hanno tenuto in maniche di camicia in un resort a 5 stelle. Il più tenero è stato Boris Johnson, il quale a una televisione tedesca ha detto che Putin è un esempio di mascolinità tossica e se a Mosca ci fosse stata una donna l’invasione dell’Ucraina non sarebbe mai avvenuta. Il suo ministro della Difesa, Ben Wallace, ex militare di carriera, ha rincarato la dose, sostenendo che il presidente della federazione russa ha la tipica sindrome di chi è basso di statura, lasciando intendere che chiunque sia sotto il metro e settanta debba essere tenuto d’occhio perché potenzialmente pericoloso. Volodymyr Zelensky, oltre a dire che lo zar è malato (lo sostiene da tempo e tuttavia, nonostante in molti l’abbiano dato per moribondo, questo non gli ha impedito ieri di recarsi in Turkmenistan e in Tagikistan) ha esteso la malattia a tutta la Russia, aggiungendo che l’intera federazione è uno Stato terrorista. Insomma, più che un giro di vite, i grandi sono usciti con un giro di voce, cioè con una raffica di dichiarazioni invece di adottare misure concrete.Intendiamoci, Putin resta una carogna, ma lo era anche prima che cominciasse a bombardare l’Ucraina e tuttavia, nonostante i suoi agenti andassero in giro per l’Europa ad avvelenare gli oppositori e le sue truppe facessero piazza pulita in Cecenia e in Georgia, radendo al suolo intere città, nessuno sembrava preoccuparsi troppo. Anzi, tutti continuavano a riceverlo stendendogli il tappeto rosso e, qualche volta, adattandosi a far pure il tappeto. Tuttavia, che lo zar sia una canaglia non cambia di una virgola la situazione: o si è in grado di sconfiggerlo o, prima o poi, con un tipo del genere bisogna farci i conti e alzare i toni non sembra il modo migliore per ottenere un risultato di qualsiasi tipo. Perché questo equivale a prolungare la guerra e ad aumentare le vittime. Non mi sembra infatti che dal G7 sia uscita qualche decisione. Da Johnson a Draghi, passando per Biden, i rappresentanti dei cosiddetti Paesi democratici hanno chiuso l’incontro con molte parole, ma quasi nessun fatto. E per capirlo è sufficiente leggere il commento via Twitter del principale esperto di Bloomberg in materie prime, Javier Blas: «Come si dice nel linguaggio del G7: non abbiamo trovato l’accordo? Il modo più tipico di dire è: noi abbiamo dato incarico ai nostri ministri di esplorare ulteriori idee e approfondirle». Come dicevo, chiacchiere. Dietro le fumose parole non c’è lo sbandierato tetto al gas russo, che il nostro presidente del Consiglio chiedeva e che qualche giornale ha preso per fatto. Il «price cap» è affidato alle formule arzigogolate della diplomazia: studieremo, faremo, valuteremo. Il tutto declinato al futuro, per spostare il problema un po’ più in là ed evitare di ammettere che per il momento non si è trovato un accordo che consenta di evitare di finanziare la guerra di Putin. Del resto, se qualcuno ha dubbi sul giudizio sarcastico dell’esperto di Bloomberg, è sufficiente leggere quello che ha dichiarato Ben van Beurden, chief executive officer di Shell. Per l’amministratore delegato di una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo, «è impossibile sostituire le forniture di gas russo in Europa con il Gnl (il gas liquido, ndr) e dunque quest’inverno sarà problematico per la Ue, con turbolenze per i mercati dell’energia». Mentre il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, dice che le nazioni europee stanno pagando il prezzo della libertà, il numero uno della Shell si incarica di raccontare ciò che ci aspetta. Altro che tetto al prezzo del gas: «L’incertezza su mercato rimarrà per qualche tempo poiché la capacità inutilizzata è bassa, mentre la domanda è in ripresa, il che si traduce in un mercato del petrolio e del gas sempre più ristretto, mettendo più pressione sui prezzi del petrolio per il tempo a venire». Beurden, a causa della riduzione dei flussi di gas russi, prevede un inverno «molto cruciale». Così, mentre i grandi della Terra discutono e rilasciano dichiarazioni baldanzose, l’indice di borsa del gas naturale nel mercato dei Paesi Bassi rimane al più alto livello degli ultimi tre mesi con una quotazione di 129,17 dollari e l’indice del greggio è in risalita, ritornando a sfiorare, una volta finito il G7, i 120 dollari al barile. In pratica, invece del «price cap» siamo col cappio al collo.