2024-04-14
L’ultima follia woke: vietato dire «bambini»
Secondo gli esperti di discriminazione, i più piccoli soffrirebbero di «childism», ovvero dei pregiudizi degli adulti che li credono inferiori. Un trucco per sdoganare l’«infanzia trans» e spazzare via ogni ostacolo all’autodeterminazione gender in tenera età.Occorre prestare grande attenzione perché tempo fa è stata scoperta l’esistenza di una forma di discriminazione di cui fino a qualche anno fa non si conosceva l'esistenza. Si chiama childism, o infantilismo (o ancora adultismo in alcune versioni). Si tratta, come spiega un prospetto informativo del Childism institute co-ospitato presso l’università di Stavanger (Norvegia), la Rutgers university (Stati Uniti) e l’università di Roskilde (Danimarca), di una forma di oppressione esercitata nei confronti dei bambini. In buona sostanza sarebbe «il pregiudizio nei confronti dei più piccolini considerati inferiori agli adulti». Interessante, non trovate? Certo, ci sarebbe da considerare il fatto che, a ben vedere, i bambini sono inferiori agli adulti semplicemente perché devono ancora svilupparsi, ma ciò chiaramente non rileva agli occhi degli illuminati combattenti per la giustizia sociale. Il termine childism, apprendiamo sempre dagli esperti dell’istituto che lo studia, può essere utilizzato pure con una valenza positiva. Cioè come movimento di lotta contro la discriminazione dei piccini: «È come il femminismo, ma per i bambini. È emerso nella letteratura accademica come un termine per descrivere gli sforzi per potenziare le esperienze vissute del terzo dell’umanità composto da bambini attraverso la critica sistemica radicale delle norme accademiche, sociali e politiche». Ai piccoli, insomma, bisogna garantire una «uguaglianza radicale». Si dirà che è la consueta esagerazione anglosassone, che qui da noi certe derive non giungono, che per adesso siamo al riparo. Beh, mica tanto. Queste singolari teorie arrivano anche qui, in grande pompa. Scopriamo, giusto per riportare un esempio, che il portale di formazione per psicologi e psicoterapeuti Psicologia.io fornisce corsi (che garantiscono appunto crediti formativi) i quali tengono in grande considerazione il childism, e non solo. Psicologia.io è stato acquisito qualche anno fa da Giunti psychometrics, una società del gruppo editoriale Giunti che «ha la missione di mettere la conoscenza scientifica al servizio dello sviluppo e del benessere di persone e organizzazioni» e si deduca alla «formazione dei professionisti della salute mentale». Il 14 giugno questi professionisti potranno partecipare a un seminario online intitolato «Childism. Decostruire i pregiudizi verso l’infanzia trans* nella pratica clinica», tenuto dalla dottoressa Francesca Fadda. Quest’ultima si definisce «psicologa queer, psicoterapeuta sistemico relazionale, specializzata in psicosessuologia», «ha una formazione sul trattamento del trauma ad approccio corporeo» e «si occupa di studiare l’impatto traumatico sui corpi di violenze e microaggressioni di natura enby-transfobica». Già così potrebbe bastare ma è decisamente il caso di approfondire. Il workshop in questione, leggiamo nella presentazione, «si propone di utilizzare la lente del childism per ampliare l’approccio e le pratiche cliniche nel lavoro con le persone piccole e adolescenti trans* e le loro famiglie. L’espressione childism è stata coniata dalla psichiatra Elisabeth Young-Bruehl nel 2012 per individuare il fenomeno che per la prima volta definisce le persone piccole come gruppo target di attribuzioni sociali basate su stereotipi e pregiudizi». Fate molta attenzione alle parole: non bisogna dire bambini, ma persone piccole. O comunque è opportuno utilizzare un linguaggio rispettoso della pluralità dei generi. Andando avanti nella lettura capiamo che durante il breve corso, «a partire da un’analisi delle asimmetrie di potere che operano nel rapporto adult* - bambin* nelle relazioni di cura, si esplorerà, con una prospettiva intersezionale del lavoro psico-educativo, l’interazione tra le dimensioni di oppressione legate all’ageismo e alla prospettiva adultocentrica con quelle più ancorate a una visione cisnormativa del genere». A quanto risulta, «l’obiettivo è quello di riportare nella costruzione e narrazione dell’infanzia e dell’adolescenza la centralità dei concetti di bisogno, autonomia e autodeterminazione quali bussole per orientarsi nelle relazioni in modo non adultocentrico. Ritenere la persona piccola e adolescente come competente rispetto alla propria esperienza promuove il riconoscimento del suo valore, proprio per la sua sua età e per il suo rapporto creativo e di scoperta con il genere e il corpo».Ora, lungi da noi fare ironia inopportuna o stigmatizzare il lavoro di professionisti che devono come tutti noi sbarcare il lunario. Resta però leggermente inquietante l’idea che gli specialisti della salute mentale italiani possano adottare prospettive di questo tipo, soprattutto se hanno a che fare con bambini. Al netto delle fumisterie woke, qui si dà per assodato che esistano «bambini trans». Nemmeno adolescenti confusi o ragazzi con disforia di genere. No, direttamente bambini e bambine transgender, i quali vanno trattati come se esistesse la totale sicurezza riguardo alla loro necessità di cambiare sesso. Motivo per cui vanno assecondati, di modo che - sbriciolando i pregiudizi cisnormativi (secondo cui esistono due sessi) - essi possano venire liberati dalla oppressione sistemica che li colpisce in virtù della loro tenera età e del loro genere «creativo». Si stabilisce dunque il concetto che i bambini vadano trattati come gli adulti, considerati in grado di decidere per sé stessi e di «affermare» il proprio sesso diverso da quello di nascita. Il che è semplicemente allucinante.Non vogliamo, intendiamoci bene, negare che ci siano ragazzini che non si trovano bene nel proprio corpo e di sicuro non ci sogneremmo mai di sentenziare che essi non meritino ascolto e attenzione. Ma appunto perché meritano attenzione è assurdo che possano venire affidati a chi in realtà non teorizza la comprensione ma la certezza, a chi sostiene che vadano distrutte le norme solo perché intende imporne altre più rigide e intolleranti. Ritenere che un bambino - il quale ovviamente non ha ancora fatto esperienza completa del corpo - non sia in grado di autodefinirsi appartenente a un sesso diverso non è discriminazione, ma buonsenso. E chi dice il contrario avrebbe bisogno, lui sì, di una assistenza psicologica. Seria, però.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.