2021-05-04
Folla in piazza Duomo. Sala prima dorme poi si nasconde dietro le scelte del prefetto
Non avendo saputo gestire il prevedibile entusiasmo dei tifosi dell'Inter per lo scudetto, il sindaco se l'è presa con Matteo Salvini«Non c'ero e se c'ero dormivo», secondo noi il sindaco di Milano a proposito del folle assembramento dei tifosi interisti domenica in piazza Duomo avrebbe fatto bene a dire così. Giuseppe Sala, detto Beppe, in questo caso potrebbe dirsi anche Peppino, proprio quello di Totò, Peppino e la... malafemmina, girato proprio in piazza Duomo a Milano nel 1956. Rivediamo Beppe-Peppino che chiede a un ghisa (così si chiamano i vigili urbani a Milano): «Scusi, nojo volevom savuar l'indriss del prefet». Infatti, dopo una bella pausa di silenzio e riflessione, se ne è uscito ieri sui social, dopo il prefetto Renato Saccone, il quale ha spiegato le ragioni per le quali ha deciso di non impedire la manifestazione domenica: di fronte a 30.000 tifosi esultanti, circa 100.000 nel picco in piazza Duomo, non si usano idranti, né ha senso transennare una città». Non fa una grinza, se non fosse che quotidianamente, sempre a Milano, prima di domenica - cioè della zona gialla - non c'era bar, caffè o ritrovo che fosse stracolmo di persone a godersi un bel aperitivo. Del resto Beppe-Peppino anche lui all'inizio del Covid, per far vedere che non c'era, lo prese insieme all'ex segretario del Partito democratico, il compianto Nicola Zingaretti. Avrà pensato: «Volevom savuar se nojo potevam prender un aperitiv in tranquillitat». Ma possibile che veramente non ci fosse modo in tutta Milano di trovare un luogo, che non fosse quello ristretto di piazza Duomo, da indicare giorni prima dove convogliare le persone? Non occorreva il mago Otelma per prevedere che l'Inter avrebbe vinto lo scudetto e, comunque sia, anche solo nell'ipotesi ciò andava fatto. E il sindaco non può tirarsene fuori rispondendo a Matteo Salvini, che proponeva di convogliare i tifosi in uno stadio che ne contiene 80.000, che gli stadi sono chiusi e che: «Come entrano ed escono 20.000 tifosi senza assembrarsi?». Con l'organizzazione, con la previsione, con mille accorgimenti che per tempo avrebbero potuto essere presi. Ma come, signor sindaco, è riuscito a fare andare in fila indiana le auto in corso Buenos Aires combinando un disastro e forse ci riuscirà a farlo anche in viale Monza, pesando che chi viene al lavoro da Sesto San Giovanni lo possa fare in bicicletta o sul monopattino, e non poteva pensare come incolonnare e organizzare i tifosi interisti? Può darsi che la proposta di Salvini sia totalmente irrealizzabile, non ce ne intendiamo e quindi non giudichiamo. Ma è altrettanto irragionevole per un sindaco di una città come Milano aggrapparsi alla giacca del prefetto, perché ciò non lo esime dalle sue responsabilità e in più gli imporrà di compragliene una nuova perché gli si è attaccato talmente forte che gliel'ha certamente strappata. Il 25 aprile assembramenti ovunque: tutto ok. Vince lo scudetto l'Inter (complimenti) i tifosi si assembrano in piazza Duomo: tutto ok. I bar stracolmi di gente che prende l'aperitivo assembrata: tutto ok. I ristoratori italiani si riuniscono in piazza a Montecitorio in una manifestazione per dire che non ce la fanno più e scoppia un casino: manifestazione con infiltrazioni fasciste (purtroppo vero) della quale i ristoratori non avevano alcuna responsabilità e relative cariche della polizia: tutto ok? E poi, è stato proibito anche ai figli di andare a trovare i genitori anziani, perché non si poteva proibire un assembramento per la pur importante vittoria dello scudetto, o rimandarlo, o riorganizzarlo in modo diverso? I cinesi proprietari della squadra credo che avrebbero capito meglio degli italiani, perché nel loro Paese si discute un pochino di meno che qui sugli ordini che arrivano dall'alto e sono abituati a eseguire puntualmente ciò che viene loro comandato di non fare. Non chiediamo tanto, bastava dire: «Forse in qualcosa abbiamo sbagliato»; oppure «Potevamo pensarci prima»; oppure ancora «Forse avremmo potuto organizzare il tutto un po' meglio». Non è proibito in politica, se non riconoscere un errore, almeno avvalersi della possibilità del dubbio, che non è una giustificazione, ma che talvolta rende le dichiarazioni almeno più ragionevoli.