2023-02-06
L’unica fluidità che conta al Festival sono i soldi liquidi della pubblicità tv
Concita De Gregorio (Ansa)
Il battage sul cantante «poliamoroso» serve soltanto a una campagna mercantile e propagandistica sostenuta, loro malgrado, dalle suffragette dell’identità di genere come Michela Marzano e Concita De Gregorio.E dunque a Sanremo, anche quest’anno, avremo le ormai imprescindibili celebrazioni della fluidità di genere, con opportuno corredo di frasi fatte, lustrini e tirate sui diritti da allargare. Nelle edizioni passate era toccato ad Achille Lauro recitare la parte dell’Androgino rock’n’roll, con la collaborazione dello stilista engagé Alessandro Michele (fresco di cacciata da Gucci) e fra gli applausi di tutta l’intellighenzia come-si-deve. Adesso è il turno di Rosa Chemical, all’anagrafe - per quanto ormai nulla conti - Manuel Franco Rocati, che di sé dice: «I miei amici mi chiamano Manu, ma io sono Rosa, mi piace, ormai è parte di me». La sua missione all’Ariston sarebbe quella di «raccontare la mia anima. Si parla di amore, di libertà, di sesso, di uguaglianza».Da un certo punto di vista è persino un passo avanti: almeno questo artista fa sul serio e non solo per posa, pare sia fluido davvero, si diletti col porno su Onlyfans e pratichi il poliamore. Maddalena Morgante di Fratelli d’Italia ha chiesto che l’esibizione di Rosa Chemical vada in onda in fascia notturna per non turbare i bambini all’ascolto del festival, e ieri si è scatenata la prevedibile reazione progressista con articoli belli densi e indignati il giusto. La filosofa Michela Marzano intima dalla prima pagina di Repubblica: «Nessuno tocchi l’identità di genere». Appena sopra, Concita De Gregorio spiega che «non solo a Sanremo conta la libertà di essere sé stessi». Ed è proprio il lungo testo di Concita a risultare emblematico della confusione che regna nel dibattito pubblico sulle questioni di genere. La De Gregorio inizia la requisitoria ricordando che vent’anni fa «Jeffrey Eugenides vinceva il premio Pulitzer con Middlesex la cui protagonista, Calliope, diventa finalmente Cal in seguito a una tardiva diagnosi di ermafroditismo». Come a dire: sono decenni che si parla di questi argomenti, inutile far troppa cagnara. Ed è senz’altro vero che quel romanzo di Eugenides anticipò l’era fluida dei confini che si sbriciolano. Solo che il protagonista di quel romanzo era intersessuale, cioè - come si diceva un tempo - ermafrodito. Aveva una diversità anatomica, non quella che oggi si indica come disforia di genere. Son dettagli, ma fondamentali e utili a spiegare come certo attivismo trans abbia inglobato e pervertito istanze ben più sensate e abbia trasformato questioni vere, reali, in istanze ideologiche (per intendersi: un conto è una persona che nasce intersessuale, un altro conto un bambino di nove anni che dice di essere femmina). In ogni caso, è difficile sostenere che tale attivismo oggi sia in qualche modo perseguitato o ostacolato. In realtà, si è imposto a livello globale con particolare forza, che ai governi piacesse o no. E infatti - nonostante il governo di destra descritto come omofobo e nonostante l’uscita di una parlamentare - Sanremo prosegue serenamente per la sua strada fluida, e di certo non ha in cartellone cantanti sovranisti, cori degli alpini o gruppi nazirock. Dunque è abbastanza grottesco lamentarsi di una mordacchia inesistente. Sanremo, in fondo, si limita a fornire la sua versione caricaturale e pacchiana del pensiero prevalente. A ben vedere, se all’Ariston apparirà Zelensky a chiedere più armi, non deve sorprendere che appaia pure Rosa Chemical a chiedere più tette e culi. Inoltre, i ragazzini oggi entrano in contatto con contenuti analoghi ogni giorno e in ogni modo su tutte le piattaforme digitali. Il punto, dunque, non è contestare questo o quel personaggio perché susciterebbe chissà quale turbamento, signora mia. La patina glitterata di cui è stato ricoperto l’Ariston risulta irritante e offensiva, semmai, perché è superficiale, e dunque propagandistica. A Sanremo non viene rivendicato alcun diritto aggiuntivo, di cui per altro non ci sarebbe bisogno: in Italia cambiare sesso è concesso già dagli anni Ottanta, e il percorso è sostenuto dalla sanità pubblica. Il festival non si occuperà nemmeno, realmente, dei problemi delle persone trans, che sono poi quelli di tutti: trovare un lavoro decente, avere una casa... Se si trattasse di parlare di questi temi, allora si potrebbe accettare di buon grado la sfida, magari pretendendo un dibattito serio. Ma così ovviamente non è. In buona sostanza, dunque, la fluidità esibita a Sanremo a che serve? A portare avanti un discorso commerciale, dunque propagandistico, che occulta la realtà del percorso di transizione che affrontano le persone transgender e che contribuisce a creare una assurda mescolanza di presunta libertà sessuale, finti diritti e showbusiness. Che di questo e niente altro si tratti lo dimostra ancora una volta la retorica utilizzata da Concita De Gregorio, specie quando richiama il diritto di essere sé stessi. Come ha ben rilevato Gilles Lipovetsky (ne La fiera dell’autenticità, Marsilio), questa formuletta ripetuta ossessivamente in ogni circostanza non è che l’evoluzione dell’insistenza sulla autorealizzazione individuale tipica del liberismo di ogni epoca. Un tempo era il self made man, ora è l’individuo che corregge la creazione ridefinendosi tramite la tecnica (farmaci, chirurgia) o l’acquisto di prodotti (vestiti, smalti e altre patacche di cui cantanti e vip si fanno testimonial). La sinistra, che un tempo si faceva vanto di essere critica riguardo a tale narrazione, ora ne è la principale sostenitrice. Difende e alimenta una rivoluzione che non riguarda la libertà sessuale o la ridefinizione degli stereotipi (veri o presunti), ma la commercializzazione del corpo - in specie quello dei minori che sono le prime vittime degli spot bugiardi - e la mistificazione della realtà in nome di interessi commerciali. L’unica fluidità di cui Sanremo si fa portabandiera, quindi, è quella del denaro liquido. Lo fa con i nostri soldi, e a spese dei più permeabili all’indottrinamento. E di tutto questo si farebbe volentieri a meno.
Jose Mourinho (Getty Images)