2024-09-13
Fitto va bene al Pd se fa come dicono i dem
Da Giorgio Gori a Nicola Zingaretti, sui giornali la sinistra rilascia interviste a una sola voce: via libera al ministro a patto che si professi europeista e rinneghi il sovranismo. In realtà al Nazareno temono il politico pugliese perché in Europa è stimato e sa fare rete.A reti quasi unificate. Diversi esponenti del Pd si sono cimentati nel rilasciare interviste a Corriere, Repubblica e Stampa. Raffaele Fitto va bene come vicepresidente se si veste da piddino. Al di là del neo deputato Antonio Decaro , che prima di essere dem è pugliese e conosce Fitto molto bene, gli altri, soprattutto Nicola Zingaretti, ci hanno tenuto in totale trasparenza a dettare la linea, cosa che avviene da anni indipendentemente dai risultati del voto. «Rinnegare il sovranismo». «Prevalga l’europeismo». «Il Pd lo sosterrà solo se dice sì alle politiche dell’Unione». Che per Giorgio Gori, a cui va attribuita la paternità del virgolettato, significa aderire ai diktat della componente socialista della maggioranza pro Ursula von der Leyen. Puntare il dito contro il modello di transizione green voluto da Frans Timmermans e che sta sbriciolando il mercato dell’automotive vuol dire - evidentemente - essere sovranisti. Ma a ben guardare, tra le righe delle interviste finite ieri in edicola, aderire alle politiche dell’Unione è qualcosa di più metafisico. Non vale solo per specifici dossier già analizzati, ma si può estendere a tutte le future scelte. Insomma, Fitto per i dem sarà un buon vicepresidente solo se la penserà come loro. Al di là del concetto un po’ criticabile di approccio alla democrazia, la posizione nel suo complesso fa un po’ sorridere. Appare chiaro a tutti che il «No» alla Von der Leyen del 16 luglio si era basato su un accordo sottostante. Tra Ursula, Giorgia Meloni e l’Ecr, il partito dei conservatori a cui Fdi aderisce. Fitto probabilmente è elemento principale di quell’accordo che si basa sulla forma più classica di realpolitik. I socialisti non avrebbero mai accettato una coalizione con Ecr e la Von der Leyen senza socialisti non sarebbe stata eletta. Ricordiamo anche che un manipolo di deputati di Ecr ha votato per l’Ursula bis. Ai rappresentanti del Pd varrebbe la pena ricordare anche altri dettagli. Il ministro Fitto ha gestito in modo impeccabile la pratica del Pnrr. Al di là delle valutazioni di merito del pacchetto di aiuti a debito, l’approccio ha creato un link diretto proprio con i vertici di Bruxelles. Forse anche questo è europeismo? Non solo, su alcuni temi Fitto è stato persino troppo europeista. Molti ricorderanno la battaglia in Aula sulla riforma delle concessioni idroelettriche. Si tratta di una riforma infilata da Mario Draghi nel pacchetto più ampio del decreto Concorrenza. Una mossa che potrebbe mettere a rischio il sistema delle rinnovabili ad acqua, visto che nessun altro Paese Ue ha voluto saperne. Nessuno ha messo a gara le concessioni. Nessuno vuole darle ad aziende straniere. Il pacchetto Draghi non è però stato smontato. Solo in minima parte prorogato. E ciò si deve anche al ministero di Fitto , che così ha potuto mantenere attivo il canale con Bruxelles. Sicuramente per il Pnrr. Probabilmente in vista dell’attuale candidatura. Chi adesso per favorire il proprio partito, manovra contro una carica importante e quindi contro il Paese non sembra entrare nel merito delle questioni. Non entra nei dettagli dei dossier, ma sorvola la realtà grazie a una lunga lista di slogan. Ciò che il Pd si guarda bene dal segnalare è la storia di Fitto. Il ruolo che ha avuto in Europa per il rialncio di Ecr e la sua conoscenza della macchina tecnica di Bruxelles. Non solo quella politica. Eletto per la prima volta eurodeputato nel 2014, passa da Forza Italia a un nuovo partito e poi in Fdi. A giugno del 2019 diventa copresidente di Ecr, gruppo in cui aveva già militato. Sono tre le figure in Italia che conoscono bene le dinamiche del trilogo Ue, al di là dei Prodi boys che ovviamente militano a sinistra. Una purtroppo non è più con noi: Franco Frattini. L’altro è Antonio Tajani. Il terzo, per i motivi detti sopra e per i risultati conseguiti, è appunto Fitto. E questo fa intrinsecamente paura alle forze socialiste, abituate prima con Romano Prodi e poi con Angela Merkel a piazzare loro uomini nei ruoli chiave. Tecnici, dirigenti, sherpa.I funzionari che negli ultimi 15 anni hanno fatto carriera nelle istituzioni europee sono tutti in qualche modo legati a Francia o Germania o al Partito democratico. Dai tempi di Prodi, non sono cambiati di tanto. E questo porta un pregiudizio nei confronti del nostro Paese. C’è tutto un mondo dentro i corridoi delle istituzioni Ue che è legato da sempre a un ambiente molto di sinistra. Che non sopporta la destra su un piano ideologico e ritiene un imperativo morale combatterla. Chi siederà in quota Italia nel gabinetto del nuovo presidente? Ricordiamo infatti che con la Commissione si azzerano anche i gabinetti dei commissari: 300 posizioni apicali tutte da definire. Questi sono i posti chiave di cui deve occuparsi, e di corsa, il governo. Se l’Italia non può modificare la governance europea, sta comunque all’Italia nominare i propri uomini dentro le istituzioni. Il Pd conosce bene queste dinamiche il fatto che non ne parli mai indica quanto il tema sia sensibile.
Emmanuel Macron e Pedro Sánchez (Getty Images)
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
Paolo Mazzoleni e Stefano Lo Russo (Ansa)