2018-06-20
«Le banche tradizionali non devono temere le startup ma i big come Google»
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Intervenuto alla presentazione del Libro bianco su fintech e pagamento digitale, il professor Alberto Dell'Acqua spiega le sfide del comparto: «I giganti del Web possono contare sulla fiducia dei clienti. E se decidessero di entrare nel settore molti sarebbero attratti. In quel caso però, il legislatore dovrebbe intervenire per difendere i posti di lavoro».Una rivoluzione equiparabile alla fondazione delle banche moderne da parte della famiglia Rothschild, alla deregolamentazione del settore negli anni Ottanta e al crollo finanziario globale del 2007-2008. È a questo che spesso viene paragonato il settore fintech, crasi tra financial e technology, una profonda trasformazione tecnologica che offre, attraverso lo smartphone, i servizi della finanza tradizionale - dalle semplici transazioni ai pagamenti, fino all'intermediazione e alla gestione del rischio - ma anche attività esclusive come, per esempio, quelle legate al bitcoin.Un'innovazione che ha reso la finanza «a portata di tutti» e che sta per compiere dieci anni. Infatti, la nascita della prima community fintech dedicata allo sviluppo tecnologico nel settore finanziario è datata 2009, quando fu creata la Swift Innotribe a Londra, nel quartiere di Canary Wharf, diventato poi uno dei cuori delle startup di settore a livello mondiale. L'unione tra tecnologia e finanza è stata ben riassunta dall'amministratore delegato di Banca Sella, Pietro Sella, intervenuto in commissione Finanze alla Camera: «la tecnologia fintech consente, potenzialmente, l'allocazione più efficace delle risorse, costi più bassi, tempi rapidi, servizi nuovi e migliori, l'aumento dell'inclusione finanziaria, nuove fonti di finanziamento e di investimento e alla fine, supporto allo sviluppo economico del Paese».Il settore attrae «finanziamenti per 25 miliardi di dollari l'anno ed è temuto dall'83% dell'industria della finanza tradizionale che vede il proprio business finire nelle mani delle nuove imprese tecnologiche», sottolineano dati Moneyfarm emersi durante la prima riunione del Fintechnology forum 2017-2018. Ciò in un mercato che Goldman Sachs stima possa valere 4,7 trilioni di dollari. Lo scenario mondiale del 2016 ha visto il mondo del Fintech tradursi complessivamente in 1076 investimenti globali per 24,7 miliardi di dollari anche se per l'Europa i numeri sono molto piccoli con 242 investimenti e 10 miliardi di dollari totali.Lunedì a Milano è stato presentato il Libro bianco su fintech e pagamento digitale, alla libreria Open in collaborazione con Start magazine. Abbiamo fatto qualche domanda ad Alberto Dell'Acqua, direttore del master in Corporate finance alla Sda Bocconi, intervenuto all'evento.Professore Dell'Acqua, possiamo dire che il fintech si è affermato colmando un vuoto?«Più che colmare un vuoto, sta accelerando un cambiamento. La rivoluzione digitale, infatti, sta permeando in molti settori cambiando il modo in cui interagiamo con i fornitori di prodotti e servizi. Alcuni ambiti si sono adeguati con più lentezza e ciò ha permesso a nuovi servizi finanziari di emergere. Tuttavia, questi ultimi hanno un limite: non possiedono quel patrimonio di pratiche consolidate e esperienza tipiche dei servizi tradizionali. Ma c'è da fare un distinguo tra fintech e sistema dei pagamenti, poiché in quest'ultimo ancora oggi non esiste una moneta universale nonostante i tentativi di costruire una valuta virtuale comune».Le startup del settore sono una minaccia per le grandi banche?«Non c'è oggi una reale minaccia perché le startup mantengono un impatto marginale, e così sarà per i prossimi anni. L'utilizzo di questi strumenti, infatti, richiede non soltanto l'accesso ma anche conoscenze e capacità d'uso che molti non posseggono. Una minaccia vera, invece, può venire dalle aziende big tech come Amazon, Apple o Google. Se, per esempio, Google dovesse decidere di aprire una sua banca è assai probabile che molti ne sarebbero attratti. Questi colossi hanno infatti, un importante capitale di fiducia. Basti pensare che riponiamo molta fiducia in Google: lo usiamo per ricerche e diamo i nostri dati attraverso la mail. Perché non serve soltanto il capitale tecnologico ma anche quello relazionale».L'Italia, Paese del G7 che ha fatto dell'attrazione degli investimenti e dell'innovazione un suo mantra, non ha ancora una legge sul fintech. «A parte le prime disposizione sul social lending, i prestiti fra privati, fatte dalla Banca d'Italia, il legislatore italiano non si è ancora mossa. Va comunque sottolineato che il fintech ha aspetti che la politica può toccare soltanto in parte. Molte delle competenze ricadono, infatti, sulla Banca centrale europea e sulla Banca d'Italia. Se si decide di intervenire, bisogna fare attenzione a non uccidere le startup impedendo loro di entrare nel mercato. Difficilmente credo potranno competere con le grandi banche tradizionali. Al contrario, sarebbe inevitabile, se, per esempio, Google decidesse di scendere in campo, che il regolatore intervenga per salvaguardare posti di lavoro».
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